19.03.2025

Il mito di Sisifo tra gaming e cultura pop: l’assurdo è contemporaneo

Il mito di Sisifo non è mai stato così vivo: dal videogioco ai meme virali, la sua condanna eterna a spingere un macigno ci rivela qualcosa: una frustrazione contemporanea e, forse, una riflessione profonda sull’assurdità della vita e sulla perseveranza. Bisogna immaginare Sisifo felice?

Trascorrendo un po’ di tempo su Twitch, piattaforma di live streaming particolarmente amata dai gamer, è facilissimo incappare nel video di qualcuno che ha deciso di sbattere (metaforicamente) la testa per ore su un videogioco che sembra impossibile da battere. Magari hanno davanti uno dei titoli di Dark Souls, serie nota per la sua difficoltà punitiva e l’allarmante frequenza con cui ci si trova a morire, e morire, e morire ancora. Magari si stanno cimentando in Getting over it with Bennett Foddy, un gioco talmente ridicolo nelle sue premesse – il giocatore deve riuscire a portare il protagonista, che non ha le gambe e si sposta dentro a un grosso calderone di metallo, su per una ripida montagna aiutandosi soltanto con un martello da alpinismo – da aver ispirato un’intera corrente di titoli assurdamente difficili, i “giochi foddiani”.

O magari stanno impersonando un pallido uomo in mutande intento a spingere un gigantesco sasso su per un monte, stando attenti a evitare i vari ostacoli lungo il cammino, consapevoli che quasi di sicuro lo vedranno a un certo punto scivolare dalla loro presa e rotolare drammaticamente ai piedi del monte, pronto per essere spinto su di nuovo.

Sisifo, da Omero ai meme

Se quest’ultima immagine vi è familiare non è un caso. Il gioco, pubblicato nell’aprile del 2024 dalla casa di produzione sudcoreana Cream Games, è ispirato apertamente a uno dei miti più memorabili dell’antica Grecia: quello di Sisifo, “il più furbo dei mortali”. Fondatore e re di Corinto, a seconda del mito a cui si guarda ci sono varie ragioni per cui Zeus, alla fine, infligge a Sisifo la punizione di spingere per l’eternità un macigno su per un monte, facendo leva sulla testa, soltanto per guardarlo rotolare giù una volta raggiunta la cima.

Nel mito più celebre Sisifo viene condannato a morte da Zeus e consegnato al dio Thànatos, personificazione della Morte: lui, in tutta risposta, riesce a imprigionare Thànatos, liberando peraltro l’umanità dalla morte per un breve periodo. Dopo la liberazione di Thànatos sembra che Sisifo sia effettivamente diretto nell’aldilà: riesce però a sfuggirvi un’altra volta convincendo la moglie a non rendergli gli onori funebri e lamentandosi poi con Persefone, la regina dell’Oltretomba, dell’oltraggio subito. Persefone, ingannata dalle false lamentele, gli permette di tornare tra i vivi per punire la moglie, ma Sisifo ne approfitta per scappare nuovamente alla morte. Beffato più volte, Zeus gli impartisce quindi una punizione esemplare, non dissimile da quella di Prometeo (legato in eterno a una roccia, costretto a guardare mentre una gigantesca aquila gli mangia il fegato ancora e ancora e ancora).

Un gruppo di sviluppatori sudcoreano ha deciso di metterlo al centro di un videogioco tanto incentrato sull’esperienza umana della frustrazione da diventare sostanzialmente un esercizio spirituale.

L’immagine di Sisifo che spinge il macigno su per la montagna, ancora più che quella di Prometeo dilaniato dall’aquila, è rimasta impressa di generazione in generazione: dipinta su vasi greci, e poi etruschi, e poi romani; raccontata e rielaborata da Omero («Rotolava di nuovo a terra quel masso dannato. Ancora una volta spingeva, con il corpo teso, dalle membra scorreva il sudore, dal capo saliva la polvere»), Ovidio, Platone, Franz Kafka e, ovviamente, Albert Camus; riproposta in migliaia di vignette satiriche e, più di recente, uno straordinario quantitativo di meme. Non stupisce troppo, allora, che un gruppo di sviluppatori sudcoreano abbia deciso di metterlo al centro di un videogioco tanto incentrato sull’esperienza umana della frustrazione da diventare sostanzialmente un esercizio spirituale.

La capacità di giocare con i livelli di frustrazione del partecipante – di provocarla, dosarla sapientemente, indicare una via d’uscita – è una delle qualità di un buon game designer: ne esistono di giochi dove tutto viene facile, dove non c’è una sfida da sormontare, ma sono una nicchia, per quanto molto amata. Da Risiko! al calcio, da un cubo di Rubik a SuperMario Bros, tantissimi giochi hanno tra le proprie premesse il fatto di richiedere costanza, impegno, strategia o quanto meno una sistematica botta di fortuna per vincere: per arrivare a essere bravo ci devi mettere ore di impegno, intenzione, sudore (letterale o meno). Per tantissimi appassionati il punto dei giochi è proprio questo: come si legge in un canale Reddit dedicato alla filosofia dei videogame, «molti giochi, se non tutti, non sono altro che esercizi strutturati in modo da frustrare il giocatore e poi portarlo a provare un senso di realizzazione una volta superato l’ostacolo».

Filosofia della frustrazione

The Game of Sisyphus – il videogioco di Cream Games, appunto –  porta agli estremi questo esercizio. Molti degli streamer che ci giocano su Twitch o YouTube, naturalmente, lo fanno perché sanno che al centro del loro modello di business c’è la passione degli spettatori per le reazioni e le emozioni esagerate, ed è facile mettere in scena la disperazione quando vedi il masso che hai amorevolmente spinto su per una montagna sul tuo PC per un’ora scivolarti dalle mani. 
Altri, però, ci hanno trovato un’esperienza di gioco straordinariamente profonda: il critico Patrick Klepek, per esempio, ha scritto che «spingere il masso è piacevole e gratificante, gli ostacoli sono divertenti e intelligenti, e il senso di tradimento personale e cosmico che si prova quando il masso scivola via e accelera già per la collina a una velocità che farebbe arrossire un pilota di Formula1 è inebriante. Quando sono arrivato in cima alla collina volevo strapparmi via i vestiti di dosso e urlare». Il gioco, spiega Klepek, è diviso in livelli ma, al contrario della maggior parte dei videogiochi, completare un livello non vuol dire necessariamente avanzare nel gioco, ma soltanto passare alla sezione successiva: se il macigno sfugge di mano, insomma, non è detto che a un certo punto smetta di rotolare. «La sensazione è affascinante: i giocatori non possono mai essere sicuri dei loro risultati», scrive il critico. «Ci sono livelli in cui è probabile, ma non garantito, che il masso si blocchi se rotola indietro e che il giocatore lo possa recuperare. È la cosa più vicina a un checkpoint che esiste nel gioco, ma tutto dipende dalla fisica: la palla potrebbe rimbalzare di lato e saltare il checkpoint, oppure muoversi troppo velocemente e oltrepassarlo».

Il gioco è pensato specificatamente per replicare quanto possibile l’assurdità dell’impresa di Sisifo, intrinsecamente inutile.

Cream Games aveva già pubblicato un paio di giochi con l’obiettivo di mettere alla prova il senso di frustrazione dei partecipanti: nel 2021 hanno pubblicato Slow and Steady, in cui una tartaruga devastantemente lenta cammina con calma verso una lontanissima linea del traguardo; nel 2022 Into the sinkhole, in cui un robot cerca di scavare sempre più a fondo nel terreno nonostante tutto, attorno a lui, cerchi di impedirglielo. Nel caso di The Game of Sisyphus, il gioco è pensato specificatamente per replicare quanto possibile l’assurdità dell’impresa di Sisifo, intrinsecamente inutile: nella descrizione del gioco, gli autori stessi spiegano che «il gioco non può essere giocato in modo particolarmente veloce, nemmeno da chi dovesse diventare particolarmente bravo a giocarci. Non fornisce particolari sfide ai giocatori più esperti. È, semplicemente, un’esperienza sisifea». Richiede un gigantesco sforzo (sebbene ben minore rispetto a quello di portare davvero un sasso su per una montagna, chiaramente), e non garantisce alcun risultato soddisfacente.

Il momento più filosofico del gioco – che è apertamente ispirato a Il mito di Sisifo, celebre saggio di Albert Camus pubblicato nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale – arriva alla fine, quando il giocatore si trova a faccia a faccia con Zeus, che gli chiede cosa ha imparato nel suo percorso. Le risposte possibili sono quattro: «aspetto la morte», «spingerò di nuovo questo macigno altre diecimila volte», «gli dei mi daranno la libertà» o «riconosco l’inutilità del tutto». La risposta corretta, nell’intenzione degli sviluppatori, è l’ultima: cliccandoci sopra il giocatore guarda il sasso sorvolare tutti i livelli oltrepassati, tornando all’inizio, ma soprattutto legge un messaggio degli sviluppatori: «Non ti sei arreso nemmeno davanti a infinite, ripetitive sfide. E in questo processo hai scoperto la vera felicità. Tifiamo per la tua vita e per i tuoi sforzi costanti, simili a quelli di Sisifo».
Benché a ricordare questo gioco siano principalmente gli spettatori di Twitch ossessionati dall’osservazione di emozioni forti a una distanza di sicurezza, The Game of Sisyphus è forse la più brillante e approfondita esplorazione di questo mito da anni. Per il resto, la punizione eterna di Sisifo riverbera in un milione di deconstesualizzatissime immagini in giro per il web, accompagnata quasi sempre dalla celebre frase di Camus «il faut imaginer Sisyphe heureux», che ci chiede di immaginarlo felice nell’atto di riconoscere l’assurdità della propria esistenza.

Internet e la risignificazione del mito

Soltanto negli ultimi mesi ho visto tutte queste cose: la foto di un gattino che urla guardando una serie di elettrodomestici e prodotti per pulire la casa con la scritta «WHY IS IT SO SYSYPHEAN»; il video di un ragazzino che cerca di portare una grossa palla di gomma su per le scalette di un castello gonfiabile («One must imagine Sysyhpus happy»); l’illustrazione di una donna che spinge due giganteschi seni su per un monte («One must imagine Sysyphus with great tits»); un cartello che invita i dipendenti a mettere via il cellulare in orario di lavoro a meno che non vogliano essere «assegnati a mansioni più pesanti», con tanto di illustrazione di Sisifo che spinge un masso e la scritta «If you can scroll, you can roll»; un m&m giallo che parla al microfono sul palco con la scritta «One must imagine Sisyphus doing it for the plot»; un meme pienissimo di layer e riferimenti a paradossi famosi che dice «Sisifo sta spingendo il suo masso verso il Grand Hilbert Hotel. L’hotel ha un numero infinito di stanza, ma sono tutte occupate, quindi non c’è posto né per lui né per il suo masso. Se scegli di reindirizzarlo verso l’altro binario [un riferimento al problema del carrello ferroviario], distruggerà la Nave di Teseo. Ma tutti i pezzi della nave sono già stati sostituiti, quindi non è chiaro se si tratta della stessa nave. Sisifo è felice?». Insomma, dobbiamo immaginarci internet colmo, stracolmo di battute su un mito greco di più di duemila anni fa.

Alcuni, come gli autori di Coming Back to the Absurd: Albert Camus’s The Myth of Sisyphus: 80 Years On, lunga collezione di saggi che rivistano il saggio del filosofo francese in chiave contemporanea, ritengono che la figura di Sisifo – e in particolare la sua interpretazione da parte di Camus – abbia molto da dire sulla condizione umana contemporanea. I professori Peter Francev e Maciej Kałuża, per esempio, scrivono che le domande poste da Camus ai suoi tempi – tra guerre, lotte anticoloniali, genocidi e la pressante sensazione di essere stati lasciati soli in un universo freddo e indifferente dopo secoli di fede collettiva in una divinità superiore – suonano ancora più pressanti oggi. «Il cambiamento climatico ci pone di fronte a questioni di giustizia globale, di come vivere, di come pensare alla scienza e alla politica, di come muoverci, interagire con gli altri e comportarci come individui», scrivono. All’epoca di Camus, «poteva sembrare che l’universo rispondesse con un enorme silenzio alle domande umane sul senso della vita. Ma oggi lo stesso universo sembra gridarci contro, invitandoci all’azione, alla solidarietà e alla cura dell’ambiente. In questo contesto, il sentimento di assurdità descritto da Camus sembra risuonare bene con la nostra crescente ansia».

La trasformazione delle fatiche immani di Sisifo in un contenuto motivazionale ha fatto uscire di testa vari utenti di Twitter

Ma sarebbe assurdo (…) pensare che l’attuale popolarità di Sisifo come meme nasca in modo deliberato dalla volontà di criticare in modo costruttivo la società contemporanea, individuando nella potenziale ribellione di Sisifo un modello da seguire. La sua fama digitale ha con ogni probabilità un’origine più banale: è uno dei personaggi più riconoscibili della storia della mitologia mondiale e la scomodità della sua situazione è immediatamente leggibile. Poche persone vorrebbero spingere un masso su per una montagna per dieci minuti, figuriamoci l’eternità.

Con un po’ di astrazione, anzi, sia il masso che la montagna possono diventare qualsiasi cosa, allontanandosi tantissimo sia dagli intenti originali del mito, ormai persi nei meandri della storia, quanto dall’interpretazione di Camus. Un esempio su tutti: la tiktoker che nel 2023 è arrivata a dire che, dal suo punto di vista, «il punto del mito di Sisifo è che alla fine diventa più forte», «capace di spingere un masso su per una montagna ogni giorno». La trasformazione delle fatiche immani di Sisifo in un contenuto motivazionale per gente che fatica ad andare in palestra ha fatto uscire di testa vari utenti di Twitter. Uno ha scritto che «il suo cervello si è surriscaldato come un vecchio computer soltanto al pensiero» di un’interpretazione così stupida. Un altro: «C’è una certa malata ironia nel fatto che la gente oggi non riesca a vedere cosa ci sia di così orribile nel fatto che Sisifo è costretto a svolgere un compito che non potrà mai portare a termine, ogni singolo giorno, per il resto dei tempi. Quella che un tempo era una punizione divina oggi è un lavoro d’ufficio».

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