03.01.2025

The Substance: il corpo, il suono e la reinvenzione del body horror 

Coralie Fargeat ridefinisce un genere con una fusione disturbante di corpo e suono. La musica di Raffertie e il sound design immergono lo spettatore nella pelle del body horror creando una vera e propria anatomia sensoriale.

Il suono può riscrivere la forma intrinseca di un genere? Nel cinema contemporaneo, in cui ogni elemento scenico è sempre più alla ricerca di una veridicità estetica, capace di trasportare lo spettatore direttamente nella mente del regista, non sorprende come la funzione acustica e musicale odierna racchiuda molteplici elementi che determinano un film nella sua forma più alta, rendendo l’esperienza unica e perfettamente tridimensionale.

Molteplici registi e sound designer nel corso della storia del cinema hanno forgiato un modus operandi unico, permettendo oggi di recepire la colonna sonora come qualcosa di specificatamente indispensabile. Ma cosa succede quando il suono comunica direttamente con noi stessi? Con tutte le incongruenze sociali, politiche e storiche della nostra società?

una rivoluzione sensoriale

Uno dei casi cinematografici più interessanti del 2024 è stato senza dubbio The Substance, seconda opera della regista francese, Coralie Fargeat. Vincitore del premio per la Migliore Sceneggiatura al Festival di Cannes, fin dalla prima sequenza cerca di riscrivere la forma archetipa del body horror, indagando in modo viscerale e anatomico gli inquietanti standard di bellezza femminili imposti dall’industria di Hollywood e dalla società dell’intrattenimento. La stella di Elisabeth Sparkle, interpretata magistralmente da Demi Moore, che vediamo inizialmente formarsi per poi diventare  carne da macello non più in linea con i canoni estetici, subisce una trasformazione fisica estrema dopo essere stata esclusa dal suo programma televisivo a causa dell’età, ponendo le sue ultime speranze in un nuovo farmaco, denominato The Substance, le cui premesse sembrano preannunciare la possibilità di costruire un nuova versione di sé più giovane e bella.

Elisabeth genera Sue (Margaret Qualley), facendola emergere dalla sua schiena in una sequenza generativa in cui avviene la sua trasmigrazione sia fisica che sonora in nuovo corpo e in cui anche lo stesso spettatore viene invaso da una nuova possibilità di ascolto sensitivo e sensoriale. Il modo per mantenere attive entrambe le parti richiede uno sforzo non indifferente: per sette giorni, solo una di loro vive mentre l’altra rimane in uno stato di incoscienza, sopravvivendo per via endovenosa grazie al misterioso contenuto del kit settimanale. Come sempre, c’è un avvertimento: devono scambiarsi ogni sette giorni – senza eccezioni – il tempo deve essere rispettato. “Ricorda sei solo uno”.

Come analizzato da Alissa Wilkinson sul New York Times, il film sembra riflettere, forse più di ogni altra cosa, su quello che è stato spesso definito come lo “sguardo maschile”. La camera che qui osserva apertamente il corpo di Qualley, che prenderà il posto di Elisabeth nel suo programma televisivo, con inquadrature molto strette e dettagliate, sembra seguire i molteplici movimenti ritmici e sinuosi del suo corpo sotto le note di Pump It Up con un fare decisamente lussurioso. “Abbiamo visto decine di attrici – e, ultimamente, attori – ripresi in questo modo. Ma l’esaltazione e l’esagerazione lo rendono satirico, soprattutto per ricordarci come molti film abbiano alterato la nostra percezione in merito a come dovrebbe essere rappresentato un corpo. Alla fine è quello che The Substance sa fare meglio: non solo ricordarci gli standard assurdi di bellezza femminile e il potere distruttivo delle celebrità, ma rivolgere lo specchio su di noi. La critica più aspra non riguarda i corpi, ma il modo in cui ci siamo allineati al pensiero di guardare quei corpi e l’effetto che hanno su noi”. Ma in che modo tutto questo può essere rappresentato sensorialmente?

Body horror design

Dalla fotografia di Benjamin Kracun, che applica un’estetica deliberatamente alienante che sembra prendere vita unicamente al di fuori dello spazio e del tempo, attingendo da alcuni classici del genere come Shining, Videodrome e The Elephant Man, alla musica di Raffertie, glitch, sincopata, concentrica e ipnotica, in un corpo in continuo mutamento anatomico, ogni elemento visivo e sonoro contribuisce ad accrescere una tensione che trascina lo spettatore in un luogo familiare eppure estraneo, dove ogni percezione diventa la chiave per esplorare il deterioramento fisico e mentale della protagonista. La musica suggerisce un turbinio di sensazioni in cui diventa difficile non perdersi, entrando nel corpo madre di Elisabeth ed esplodendo in quello di Sue. Una vera e propria anatomia del suono.

“È stato affascinante guardare il film insieme al pubblico e vedere come reagivano in maniera viscerale rispetto a ciò che gli veniva mostrato”

Infatti il sound design, curato da Valérie Deloof e Victor Fleurant, in combinazione con la musica originale, gioca un ruolo fondamentale nel tracciare il percorso psicofisico di Elisabeth, rappresentando il corpo della protagonista come l’esoscheletro sonoro in cui ogni aspetto ne evidenza la sua trasfigurazione sia corporea che uditiva. Il film sfrutta inquadrature strettissime e primi piani intensi, accompagnati da suoni chirurgici, raschianti e deformati, che accentuano il carattere disturbante della manipolazione corporea. I momenti di silenzio sono calibrati con cura per enfatizzare la tensione crescente, così come il nuovo percorso uditivo della nuova Elisabeth, mentre l’elettronica oscura e stratificata di Raffertie crea un contrasto destabilizzante, soprattutto nelle sequenze che vedono la comparsa del suo alter ego Sue.

Intervistato da Crack Magazine, Raffertie ha affermato che la musica che ha composto per The Substance esplora la sua tematica in modo vivido e intenso:

“Volevo che il tutto avesse anche una sua riflessione musicale. La violenza, le emozioni profonde, il pensiero faustiano insito nella narrazione. Tutti questi elementi mi hanno aiutato perfettamente nel comprendere ciò che mi apprestavo a realizzare. È stato affascinante guardare il film insieme al pubblico e vedere come reagivano in maniera viscerale rispetto a ciò che gli veniva mostrato, e penso che la mia colonna sonora sia stata parte integrante del coinvolgimento del pubblico e della sua conseguente estasi. Coralie è stata una collaboratrice perfetta. La sua direzione, la sua perfetta conoscenza musicale, mi ha aiutato ancor di più nell’aprire la mia mente rispetto alle varie idee compositive che le avevo sottoposto. Abbiamo discusso della violenza del film, così come dei suoi protagonisti, e tutto questo mi ha permesso di essere ancora di più audace con la composizione”.

Suono, corpo e de-umanizzazione

Nell’odissea anatomica che la porterà a concepire su di sé più stati corporei, è il suono che ne determina l’evoluzione. Le viscere del suo corpo risuonano ciclicamente, svuotandola letteralmente da dentro in un costante sbilanciamento sonoro e percettivo. Il tempo sonoro così come quello musicale determinano l’esperienza modificando la densità dello spazio. I processi di variazione si susseguono a velocità diverse, facendo perdere la cognizione del tempo.

Ciò che Raffartie concepisce attraverso la sua composizione di matrice techno si collega direttamente agli ideali di Cyber music e alla de-umanizzazione della musica stessa, così come avviene per lo stesso corpo di Elisabeth. Come spiega Valerio Mattioli nel suo libro, Exmachina (Storia musicale della nostra estinzione), citando l’antiumanista Kodwo Eshun: “il potere emancipatorio della techno non stava solo nella sua opera di demolizione dello Human Security System, ma nel mondo in cui veniva messa in atto attraverso il ballo. Con questa dottrina ci si poteva liberare del proprio corpo inteso come gabbia in cui precipitavano secoli e secoli di rapporti di potere, genere e razza. Il sogno di Eshun era di creare una musica che potesse, con la sua ferocia artificiale, dilaniare, lacerare e umiliare le carni”.

Per questo motivo si può dire che il suono possa scavare nell’inconscio e riscrivere conseguentemente un genere? Nell’opera della regista Coralie Fargeat, il corpo e il suono si intrecciano in una danza disturbante e affascinante.

Il suono, con le sue infinite possibilità espressive, si configura oggi non solo come un elemento fondamentale del cinema, ma come un vero e proprio acceleratore del linguaggio intrinseco di un genere. Il paesaggio acustico si trasforma in una delle chiavi principali per ridefinire l’esperienza cinematografica.

Per questo motivo si può dire che il suono possa scavare nell’inconscio e riscrivere conseguentemente un genere? Nell’opera della regista Coralie Fargeat, il corpo e il suono si intrecciano in una danza disturbante e affascinante. Raffertie e il comparto sonoro di The Substance concepiscono un viaggio auditivo e sensoriale che non si limita a illustrare la manipolazione fisica e psicologica della protagonista, ma lo rende palpabile, invasivo, quasi tangibile. La techno, con la sua disumanizzazione, e i suoni chirurgici, frammentati e distorti, costruiscono un paesaggio sonoro che riflette il caos interno ed esterno di Elisabeth ridefinendo l’estetica e la funzione narrativa del body horror.

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