La Stazione Termini è uno dei luoghi più attraversati e stratificati di Roma – non solo per la sua architettura complessa e spesso disorientante, ma per il flusso costante di persone che la attraversano ogni giorno. Nel tempo, è cambiata insieme alla città, diventando uno spazio in cui coesistono realtà sociali, estetiche e culturali molto diverse.

Per il fotografo romano Niccolò Berretta, Termini si è trasformata in un punto d’osservazione privilegiato: da oltre dodici anni ne fotografa i passanti, costruendo un archivio visivo che racconta l’identità mutevole della stazione e del quartiere che la circonda.
Termini Lookbook raccoglie centinaia di ritratti realizzati tra binari, ingressi laterali e piazze adiacenti, combinando l’approccio della fotografia documentaria con la sistematicità di un lookbook.In questa intervista, realizzata in collaborazione con Average Italian Kid, Berretta ripercorre la genesi del progetto, il metodo dietro le sue immagini e i cambiamenti osservati nel tempo attorno alla stazione.
Ore e ore ad aspettare
SM: Qual è il tuo primo ricordo legato alla stazione, anche prima che diventasse parte del tuo lavoro fotografico?
NB: Mi sto sforzando, ma non mi vengono in mente ricordi da bambino. Una volta, con Maurizio e Federico di ARTCOCK, tornammo dalla Sagra del Vino di Marino. All’uscita del treno attraversammo in diagonale vari binari, poi prendemmo un autobus e ci perdemmo. Ci siamo risentiti il giorno dopo.
SM: Com’è nata l’idea di fotografare le persone che passano per Termini? È stata una scelta pensata fin dall’inizio o un’intuizione maturata con il tempo?
NB: Il tempo mi ha aiutato a credere di più nel progetto. La visione era chiara fin dall’inizio. Nel 2006 avevo fondato insieme a Federico Tribbioli, Filippo Silli e Maurizio Montesi il gruppo ARTCOCK con i quali abbiamo dato vita a una grossa produzione di immagini che poi attaccavamo per le strade di Roma. Il lavoro collettivo ha molti aspetti positivi, lo cerco tutt’oggi ma nel 2009 avevo la necessità di concentrarmi su un progetto da solo e la produzione di questo progetto volevo che durasse per anni. Animato da questa necessità, dopo lunghe passeggiate con Gabriele Silli constatiamo che Termini era il luogo con il numero di passanti più intenso. Era perfetto.
SM: Come ti muovevi dentro Termini durante le sessioni di scatto? Avevi dei punti fissi oppure ti lasciavi guidare dalla casualità?
NB: Le sessioni erano simili all’interno di alcuni mesi, ma poi mutavano negli anni. In alcuni periodi ho preferito scegliere dei luoghi e appostarmi li. I miei preferiti erano l’ingresso della stazione su Via Giolitti o Via Marsala. È qui che ho conosciuto Bruno, il tassinaro. In seguito ho preferito girare e cercare le persone in movimento. Una specie di inseguimento. Dopo l’uscita del libro volevo rivivere un po’ quella sensazione di stare ore e ore ad aspettare che succedesse qualcosa, così ho realizzato la fanzine, Futuro 90.

SM: Hai fotografato anche nei quartieri adiacenti alla stazione? E che ruolo hanno avuto, se l’hanno avuto, nel progetto?
NB: L’unica area al di fuori del triangolo Via Marsala – Via Giolitti – Piazza dei Cinquecento che ho frequentato è Piazza Vittorio. Il libro è stato realizzato tutto nel quadrante di Stazione Termini e in generale nell’Esquilino. Altri quartieri non sono presenti nel libro e non sono inclusi nel progetto.
SM: C’erano momenti specifici della giornata o periodi dell’anno che preferivi per lavorare? Quanto contavano l’affluenza e il contesto?
NB: La gente con il sole è più predisposta. Con troppo sole è stanca. Se piove gli rode il culo. Ci sono giornate sì e giornate no.
SM: La posa che ricorre in tutti i ritratti ha una struttura precisa e ripetitiva. Come hai definito questo schema e cosa volevi ottenere?
NB: Se vedi “Uomini del XX Secolo” è chiaro che ho provato a ispirarmi a quello schema di catalogazione. Avendo poi lavorato per tanti anni nella moda come assistente, mi è venuto spontaneo aggiungere al titolo la parola “Lookbook” per ironizzare su una prassi – quella del lookbook – che è abbastanza rapida. Io ci ho messo 12 anni a chiudere Termini.

Riflessioni sui cambi generazionali
SM: Come ti approcciavi alle persone che ritraevi? Che tipo di relazione si creava, anche solo per pochi secondi, tra te e chi finiva davanti alla tua macchina fotografica?
NB: Dopo un’attenta osservazione dei passanti, individuavo un soggetto e provavo a fermarlo, abbattendo il muro della timidezza che, alla fine, è l’ostacolo più grande. In pochi secondi spiegavo che il mio obiettivo era realizzare un libro con tanti personaggi di Termini, persone di ogni tipo. C’era chi mi stava a sentire e chi mi mandava a fanculo.

SM: In dodici anni di lavoro hai visto e fotografato centinaia di persone. C’è qualcuno che rappresenta per te il cuore del progetto?
NB: C’è un barbone che ho fotografato circa otto volte. Ho potuto assistere alla sua trasformazione fino a quando è morto. La ricerca su di lui mi ha fatto seguire altri personaggi negli anni. Il tempo è un valore aggiunto.
SM: Nel tempo hai osservato dei cambiamenti all’interno della stazione? Quali sono, secondo te, le trasformazioni più evidenti? Anche i quartieri che circondano Termini – come l’Esquilino – hanno vissuto cambiamenti notevoli. Hai notato uno spostamento o un’evoluzione dell’identità urbana intorno alla stazione?
NB: Alla Stazione hanno fatto molti lavori. È cambiata, ma non si è trasformata perdendo la sua identità. Le zone limitrofe, in particolare Piazza Vittorio ha subito in parte un’ondata di attività ricettive. Ho potuto assistere alla chiusura di Mas all’interno del quale avevo girato diverse cose. Sono nati diversi bar ed enoteche, e hanno riqualificato il parco. Rimane una delle zone più belle di Roma.



SM: Quanto è cambiato, invece, il profilo umano di chi attraversa Termini ogni giorno? Hai notato nuovi volti, nuove abitudini, nuove dinamiche?
NB: Ho notato ultimamente dei cambiamenti nel mio approccio. Ho spostato l’attenzione su altri soggetti. A Termini ora bevo di meno, o per niente. Prima era un macello. L’esperienza a Termini è sempre molto ricca. Non ho ancora fatto riflessioni sui cambi generazionali, preferisco mantenere sempre lo stesso atteggiamento di quando ho iniziato a scattare le prime volte. Mi piace riflettere sui cambi di stagione al massimo. Prima ero più attratto dalle persone anziane o molto più grandi di me, ora ho spostato l’attenzione anche sui più giovani. Proviamo a rifare questo discorso tra altri 10 anni.

SM: Come è nata la collaborazione con Drago per la pubblicazione del libro? Ho avuto la possibilità di mostrare a Paulo Von Vacano le immagini stampate. Erano le stesse foto con cui, in seguito, avrei fatto la selezione e disposto le coppie. Tenevo molto a quella scatola, credo di averla ancora.
NB: Paulo da subito mi è sembrato interessato al progetto. È stato un bellissimo viaggio con Drago, grazie soprattutto anche ad Alice Ghinolfi e Nicola Veccia Scavalli. Abbiamo fatto vedere il libro a molte persone. Anche la collaborazione con Red Valentino è stata frutto di un lavoro di squadra molto bello che ci ha portato un’ottima comunicazione.

SM: Con oltre 500 pagine e centinaia di immagini, il libro è un progetto editoriale imponente. Com’è avvenuto il lavoro di selezione? Quali criteri hai seguito per decidere cosa includere e cosa no? E che tipo di confronto c’è stato durante la realizzazione editoriale?
NB: Avevo consegnato a Nicola di Drago i 490 ritratti, più alcuni testi. Mi chiese se quello fosse l’ordine del libro. In maniera ingenua e stupida, mi ero convinto che avrebbero fatto loro la selezione. Mi ritornano indietro le foto. Le stampo e le attacco in questa stanza molto grande e vuota dove abitavo. Era il periodo del primo Covid, così avevo molto tempo a disposizione. Attaccai tutte le foto sulle pareti e con dei marker cominciai a stabilire un ordine di importanza. Alcune coppie sono ironiche, altre celano dei piccoli segreti. Ogni coppia è voluta e anche il ritmo del libro ha una sua idea. C’è anche da dire che è un libro che puoi sfogliare pure al bagno, partendo da dove vuoi. Pare che aiuti molto le persone stitiche.

SM: Dopo più di dieci anni di lavoro, consideri il progetto concluso o credi possa evolversi ancora?
NB: Non ho uno studio fotografico, mi piace pensare a Termini come il mio studio. Scatto di meno lì, perché la mia attenzione si è spostata su molteplici ricerche e collaborazioni, tra cui un nuovo progetto che vedrete presto. Non posso dire ancora nulla.
SM: Hai intenzione di estendere questo approccio ad altri luoghi, magari altre stazioni o altri spazi pubblici ad alta densità urbana?
NB: Quella Inquadratura ricorrente a Stazione Termini mi ha rotto veramente il cazzo. Mi sono anche un po’ scocciato di dire la stessa cosa a tutte quelle persone. Ci ho provato a Milano, ho circa 180 ritratti che per ora non ho voglia di pubblicare. Ultimamente ho scattato a Tor Bella Monaca ad agosto. Ripeterò questo esercizio in altri quartieri di Roma. Roma ad agosto è stupenda: vi togliete tutti dal cazzo e rimangono i migliori!