È un giovedì sera di metà novembre, la linea gialla della metropolitana di Milano è piena ma non troppo, e il mio vagone ha quella puzza umidiccia di corpi stanchi che un po’ mi disgusta e un po’ mi intontisce. È una sera di quelle in cui non so decidere se sono più annoiata o più eccitata, e allora prendo in mano il telefono e clicco sull’iconcina gialla di Bumble, l’app di dating femminista (?) che ti cura entrambi gli stati d’animo. Su Bumble sono le donne a fare la prima mossa e a decidere se aprire o meno una conversazione con un match, per cui, dopo anni di Tinder e delusioni, io, donna, ho aperto da un paio di mesi il mio profilo anche qui, sperando in un cambio di passo. Le foto sono le stesse di sempre, l’attitudine più intraprendente. Che ormai i 30 li ho passati da un pezzo e l’orologio biologico ticchetta.
Sinistra, sinistra, sinistra, sinistra, sinistra. Il mio pollice continua a cestinare verso sinistra le foto di uomini più o meno attraenti, swipando No e No e No, mentre la mia testa pensa a quanto sia squallido tentare la propria sorte sentimentale sulla linea gialla di giovedì sera. Ma che cosa cerchi Agnese? Questo è molto carino, questo ha una bio divertente, questo sfoggia un bel sorriso, e quest’altro sembra un tenero vero. E invece no, decide il pollice, e via verso sinistra, scartando un profilo dopo l’altro.
I tre livelli della moda
Che cosa cerco? La verità è che credo di star cercando il moda-match. E mi sento frivola a dirlo ad alta voce alle mie amiche, figuriamoci a scriverlo in un articolo, però ci credo fortemente, e quindi continuo. Dopotutto sempre di catalogo si tratta qui, nel fantastico mondo dell’online dating, per cui da qualche parametro inconsistente bisognerà pure iniziare. C’è chi guarda l’altezza, chi gli interessi, chi il lavoro (qualche medico là fuori?), e chi, come me, quello che indossano. O forse più che altro come lo indossano. Prendo l’abbigliamento come fattore determinante per il mio match, e così ho sempre fatto.
C’è chi guarda l’altezza, chi gli interessi, chi il lavoro (qualche medico là fuori?), e chi, come me, quello che indossano. O forse più che altro come lo indossano.
Ma in amore conta davvero qualcosa lo stile? Guardare alla moda mentre si cerca un partner nella giungla dell’online dating serve effettivamente a raggiungere l’obiettivo? E soprattutto, è un modo eticamente giusto di fare selezione? O dovrei essere meno superficiale? Me lo sono chiesta spesso, mentre guardavo il mio pollice muoversi di vita propria. E mi sono risposta che forse non importa quanto dividersi equamente i lavori in casa, o essere allineati sull’avere o meno dei figli, o trovare l’intesa perfetta durante il sesso. Ma continuo a credere che quello che decidiamo di indossare abbia la sua parte nel gioco della scelta, e che non sia neanche una parte da poco.
In fin dei conti, la moda è un linguaggio. Lo disse per primo il semiologo Roland Barthes, teorizzando l’idea della moda come codice di comunicazione già nel 1967, e lo afferma ancora oggi Miuccia Prada, con la sempre citata affermazione “la moda è un linguaggio istantaneo”. Il sistema moda è un insieme di segni che veste i nostri corpi di senso. E basta pensare a quanto questi segni abbiano cambiato di significato nel corso della storia, per capire che attraverso l’abbigliamento la società comunica. Comunica ciò che pensa del mondo. Comunica le sue idee e i suoi desideri. E allora perché non mettersi in ascolto?
Con Roland e Miuccia dalla mia, sempre seduta sulla linea gialla, metto via il telefono e inizio a riordinare i pensieri. Mancano ancora sei fermate, ho tutto il tempo di ascoltare la moda-linguaggio a modo mio e dimostrare quanto la ricerca del mio moda-match abbia davvero un senso. Organizzo mentalmente le mie argomentazioni in tre livelli.
Al primo livello, la moda ha a che fare con l’attrazione. Lo stile è la prima cosa che mi attrae in un uomo, e anche nelle donne per quel che vale. Quello che indossiamo, insieme a come ci muoviamo nello spazio o all’odore dei nostri corpi, è una componente decisiva per l’attrazione fisica, ben più dell’aspetto in sé. Fa parte di quella chimica che non riusciremo mai a spiegare del tutto, quel “non abbiamo idea del perché ci piaccia una persona piuttosto che un’altra” di cui parla sempre il mio psicologo. Certo dallo schermo del mio iPhone non posso vedere come si muove, né sentire il suo odore, né ascoltare la sua voce, ma posso guardare come sceglie di vestirsi e iniziare da lì a nutrire o meno la mia attrazione verso di lui. E allora qui, al livello uno, mi dico che va bene cercare il moda-match: è un istinto naturale e eticamente accettabile, ed è lo stesso tipo di scannerizzazione che farei in un locale, per cui deve funzionare. Lo stile contribuisce a formare quella inevitabile prima impressione che ci facciamo di qualcuno, forse sbagliata, approssimativa, e ideale, ma anche necessaria e determinante per quello che verrà in seguito.
Di P. mi sono innamorata dello stile da primo livello. L’ho intravisto a un festival, con i suoi dread scuri, i cargo verde militare, la sigaretta in bocca, le Etnies ai piedi, i tatuaggi sulle braccia. E poco importava tutto il resto: la borghesotta col vestitino a fiori wannabe alternativa che ero, era già conquistata. I lineamenti di P., così come il suo corpo, il suo carattere, i suoi gusti e la sua storia, avevano giocato ben poco nella partita dell’attrazione immediata. Li avrei scoperti col tempo, ne avrei amati alcuni e odiati altri, ma, quel giorno, galeotto fu lo stile.
Dal suo stile devo cercare di capire se frequenterà i miei stessi posti, se mi accompagnerà nei negozietti vintage, se è un tipo da città come me, e se gli piace andare a ballare al Cocoricò o invece far serata techno in un capannone fuori Milano.
Al secondo livello, l’abbigliamento di una persona può già darci un’idea del suo stile di vita, di quello che le piace fare, dei suoi gusti, di come ama spendere il proprio tempo (e i propri soldi). Se l’attrazione è un parametro del tutto personale, questa percezione è invece segnata dalle convenzioni sociali e dal nostro modo di categorizzare le persone. Riconosco che nel mondo reale la persona che sono non dovrebbe mai essere giudicata sulla base di ciò che indosso, ma nel mondo parallelo delle app di dating per forza l’abito deve fare il monaco, no? Dal suo stile devo cercare di capire se frequenterà i miei stessi posti, se mi accompagnerà nei negozietti vintage, se è un tipo da città come me, e se gli piace andare a ballare al Cocoricò o invece far serata techno in un capannone fuori Milano. Devo farlo, o sono perduta. E ammetto che significa scegliere di credere deliberatamente nei cliché, ma qui bisogna scremare, e c’è poco altro a cui appigliarsi. Quindi sì, il moda-match continua ad avere senso, diventa più discutibile, certo, ma continua a funzionare.
Di G. mi sono innamorata dello stile da secondo livello. Si è presentato al nostro primo appuntamento con un Barbour chiaramente vintage, i mocassini col calzino rosso, i pantaloni sartoriali, un paio di occhiali tondi e la bicicletta a mano. Come poteva non amare l’architettura, le mostre di arte contemporanea, i vinili di Battiato e il parquet a lisca di pesce? Era sicuramente un tipo da vinello in enoteca e non da cocktail in discoteca. E mi bastò poco tempo per scoprire che ci avevo visto giusto su tutto.
Lo stesso piacere estetico
L’attimo in cui mi convinco che il moda-match conti davvero qualcosa però, è il momento in cui penso a quanto quello che indossiamo sia la manifestazione visibile del nostro approccio estetico alla vita. E qui si va al terzo livello. Dopo quello fisico e quello sociale, questo è quello emotivo, il mio preferito e forse il più difficile da dimostrare. Qui la moda agisce come fattore di riconoscimento di una sensibilità comune, di uno stesso modo di vedere, e vivere, la realtà— che penso sia la base solida di ogni relazione riuscita. È un po’ la vecchia storia della bellezza che salverà il mondo: non una bellezza universale e univoca, ma la propria concezione di bellezza, personale e unica, che salverà il proprio di mondo. Quella bellezza ti farà guardare negli angoli giusti, meravigliare di certe cose e non di altre, e cercare il bello dove sai di trovarlo. E se incontri qualcuno che guardi negli angoli giusti con te, si meravigli delle stesse cose, e trovi il bello dove lo cerchi anche tu, beh allora la vita diventa un po’ più facile. Il piacere è il fine della vita felice, diceva Epicuro: se vogliamo trovare qualcuno che sia perlomeno sereno, se non felice, insieme a noi, partire da uno stesso piacere estetico mi sembra una buona strategia. E quindi io torno a cercare il moda-match, ancora più convinta che mi darà risposte. Perché se il suo stile matcha il mio, forse riusciremo a trovare il bello della vita insieme.
Se vogliamo trovare qualcuno che sia perlomeno sereno, se non felice, insieme a noi, partire da uno stesso piacere estetico mi sembra una buona strategia.
Questa è la maledizione dei miei genitori e del loro match di stile da terzo livello. Caratterialmente opposti, spesso battibeccanti, ma esteticamente sempre così allineati e coordinati, nei giorni impeccabili e in quelli trasandati. Nelle mise per la prima a teatro e negli outfit sudati da lavori in giardino, nei look da sabato mattina in centro e in quelli da pranzo di famiglia della domenica. Due anime diverse, eppure con un senso estetico simile, uno stesso filtro bellezza sul mondo. Sono così carini da vedere insieme, e ancora così uniti dopo più di trent’anni di matrimonio e tre figlie.
Mentre scendo alla stazione di Porta Romana e mi avvio verso casa, tiro le somme della mia analisi poco scientifica.
OK, dicevamo che la moda è un linguaggio— fisico, sociale ed emotivo. Ammetto che capire tutto ciò di cui sopra soltanto da quello che uno indossa non è certo un passaggio razionale e infallibile, ma è più che altro una percezione, una capacità di cogliere un simbolismo che è sociale e individuale insieme. L’abbigliamento va visto in questo senso nella sua valenza simbolica. Vestirsi in un modo e non in un altro è una scelta consapevole: ognuno di noi decide di quale simbolismo vestirsi, rende i propri capi l’espressione di sé, e non c’è nulla di più individuale di questo. Che ce ne accorgiamo oppure no (penso a voi, signori metto-la-prima-cosa-che-trovo-nell-armadio-e-esco) la moda dice sempre qualcosa di chi siamo e di come ci poniamo verso il mondo e verso gli altri— è una modalità di espressione. E allora io che cerco un partner sull’ennesima app di dating, la voglio recepire questa comunicazione, voglio partire da lì, dal moda-match. Sarà tutta supposizione, certo, ma se avete vissuto abbastanza saprete ormai meglio di me che l’istinto è un parametro guida niente male per barcamenarsi nel caos della vita adulta.
E quindi ci ho provato a trovare il mio moda-match. Tante volte.
Un giorno gelido di gennaio cammino per Brera abbracciata a un uomo di cui sono piuttosto cotta. Ci stiamo appena conoscendo e prestiamo estrema attenzione a tutti quei piccoli segnali che possono aiutare a inquadrarci a vicenda: le vetrine davanti a cui ci fermiamo, i palazzi che ci fanno alzare gli occhi, i passanti che catturano la nostra attenzione… siamo in sintonia su tutto. Gli chiedo di accompagnarmi a curiosare in uno dei miei negozi preferiti, e lui si sorprende di conoscerlo molto bene. Allora smette di camminare, si slega dall’abbraccio laterale, mi si mette di fronte, mi solleva e mi bacia sorridendo. Anche lui sta cercando il suo moda-match, e forse l’ha appena trovato.
Due settimane dopo mi spezzerà il cuore, rigettandomi per l’ennesima volta nel dubbio che un moda-match non valga niente.
E io continuo a cercarlo? E io continuo a cercarlo.