07.02.2025

Basta ironia, basta malinconia

Trump e affini non sono più tanto divertenti e non possiamo combatterli a colpi di ironia e superiorità morale, perché - indovinate un po’? - non serve a niente e forse sono anche più bravi su quel terreno. E come possiamo uscire dalla malinconia di sinistra?

Mettiamo che esista un tizio che di fronte a un elettore di Trump si senta in diritto di dire: “Aho, ma che sei idiota? Ma la capoccia nun te dice er vero?” (il tizio non è di Boston). 

Nel momento in cui lo stesso tizio capisce che questo elettore è parte di un insieme di altri milioni di elettori si sente invaso dal nichilismo e da un’inconfessata superiorità morale. A volte, la fase successiva è una risata che dovrebbe restituire al tizio un po’ di controllo sul reale: di solito di fronte a un meme che trova scrollando il feed di Instagram o su qualche gruppo whatsapp. 
Poi, infine, arrivano la compulsione e la malinconia.  

Simpatico cinismo Simpsons

Mettiamo anche che questo tizio sia io. 
Direi che non sia tanto la questione politica a suscitarmi questa sensazione quanto il fatto che il personaggio politico succitato sembra un agente del caos che vuole rivendere come ordine. La sua strategia non è diffondere idee-di-destra (più o meno opinabili) ma creare il dubbio strutturale affinché nessuno creda più a niente e senta il bisogno di un’autorità severa in grado di riportare ordine.

Ho l’impressione che stiamo entrando in un paradigma nuovo. 
Che è difficile da comprendere a fondo con le vecchie categorie novecentesche. 
E che però, ancora, dopo tante risate stiamo finalmente smettendo di ridere di fronte a personaggi ridicoli e pericolosi.

Forse il fatto che il tizio rida dei meme o percepisca una superiorità morale è frutto del privilegio di chi non è in prima linea. Non è un migrante, non è povero, non è una categoria discriminata, è maschio e bianco all’interno di un paese della provincia occidentale (e attenzione: per quello che ci riguarda, sembra che i governi di centro-sinistra non abbiano fatto molto per invertire la rotta del neoliberismo economico, quindi dello smantellamento della sanità e di altri servizi pubblici che ha creato un clima di fragilità ed esclusione sociale fertile per proposte politiche drastiche o allucinanti da cavalcare a colpi di paura ed emergenze. Ma a queste cose il nostro tizio non pensa poi troppo, per adesso). 

L’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta, la nostra camicia di forza, e staremo tutti nella stessa accordatura ironico-cinica, nel disincanto.

Sono cresciuto con i Simpsons, un vero spartiacque generazionale della capacità di mettere in discussione valori tradizionalmente fondanti, le ipocrisie e i comportamenti cringe. E anche della capacità di sentirsi acuti mentre lo si fa.
L’ironia geniale e cinica dei Simpsons segna l’avvento di una categoria nuova di sguardo mediatico in grado di osservare se stesso e riderci sopra. Ma di quest’ultimo punto e  delle sue ripercussioni politiche vorrei parlare più in là. Adesso vorrei puntare il dito sull’ironia come vero e proprio grimaldello filosofico in grado di scardinare la porta severa dell’ideologia. 

Palermo,1978, alcuni ragazzini decidono di diventare terroristi rossi. 
È la storia in nuce del romanzo Il tempo materiale di Giorgio Vasta. A un certo punto il protagonista prende in mano delle Polaroid e nota che lui e i suoi amici ridono: 

“La nuova ironia italiana che brilla su tutti i musi, in tutte le frasi, che ogni giorno lotta contro l’ideologia, le divora la testa, e in pochi anni dell’ideologia non resterà più niente, l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta, la nostra camicia di forza, e staremo tutti nella stessa accordatura ironico-cinica, nel disincanto, prevedendo perfettamente le modalità di innesco della battuta, la tempistica migliore, lo smorzamento improvviso che lascia declinare l’allusione, sempre partecipi e assenti, acutissimi e corrotti: rassegnati.”

In qualche maniera intravede il panorama sociale che pian piano diventerà prevalente. 

Ironia impotente e malinconia conservatrice

La casa automobilistica giapponese Isuzu negli anni ‘80 produsse una serie di spot il cui protagonista, Joe Isuzu, era un venditore dall’aria viscida che raccontava assurdità sulle auto del marchio – come sedili in pelle di lama o motori che funzionavano con acqua del rubinetto o velocità superiore ai proiettili.
Questa campagna pubblicitaria contribuì all’impennata di vendite: gli spettatori apprezzavano la satira nei confronti delle tipiche pubblicità ingannevoli. In più, si sentivano arguti perché coglievano l’ironia e ammiravano l’audacia di un’azienda ribelle che si faceva gioco delle convenzioni. 

In qualche maniera quegli spot restituivano la possibilità di sentirsi “dentro e contro” allo stesso tempo.

Probabilmente se il tizio fosse nato un po’ prima avrebbe acquistato una macchina Isuzu o avrebbe parlato in giro dello spot sentendosi consapevole e intelligente degli inganni della pubblicità che, per paradosso, era proprio la sensazione che la pubblicità voleva suscitare.

Quindi, cosa rimane dopo aver detronizzato ironicamente ogni autorità? Io credo che rimangano la malinconia e la compulsione.

Mentre il tizio è seduto sulla tazza del cesso e scorre i meme nella galleria foto del suo cellulare, all’ennesima risatina percepisce un senso di angoscia: tutti i politici del presente e del passato, tutte le figure pop di ambito musicale o scientifico o televisivo, tutti i genitori di ogni famiglia vengono memeticamente derisi ma, per la prima volta, questa sensazione di superiorità ghignante lo mette a disagio

Come scrisse David Foster Wallace nel suo saggio E unibus pluram: gli scrittori americani e la televisione, la promessa implicita della narrativa postmoderna era, in fondo, utopistica e ingenua. La capacità di questo filone letterario di demolire “il sentimentale, il semplicistico e l’autoritario” era solo la diagnosi di uno stato di cose, la denuncia di una prigionia non avrebbe portato di per sé la libertà.
Quindi, cosa rimane dopo aver detronizzato ironicamente ogni autorità? 
Io credo che rimangano la malinconia e la compulsione.

La compulsione la conosciamo, ci spinge a cercare ricompense eccitanti: comprare, ingozzarci, scrollare, fare qualsiasi cosa sia in grado di riempire il vuoto con un’iniezione di dopamina. 
La malinconia è una patologia di cui soffre il tizio, in quanto appartenente alla sinistra. Come spiegò Sigmund Freud in Lutto e melanconia, quando perdiamo un nostro caro all’inizio non riusciamo ad accettarlo e cerchiamo di mantenerlo vivo in tutti i modi: la nostra libido si ritira dal mondo esterno per investire “l’oggetto perduto”. In qualche maniera è ciò che avviene ai malinconici di sinistra: affezionati e troppo attaccati a un’identità politica sconfitta del passato, e quindi incapaci di elaborare una strategia nuova nel presente. Invece di elaborare il lutto, il tizio rimpiange il passato e ride disperato (ma apparentemente con un distacco da superiorità morale) del presente pensando che solo se tornasse indietro potrebbe riacquistare senso e felicità.

I leader metamodernisti del tempo nuovo

E comunque, sia che si tratti di malinconia, sia che si tratti di compulsione, “l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta” in un tempo storico di disincanto a cui partecipiamo con arguzia e rassegnazione.
Ma quali sono ripercussioni politiche di questa ironia corrosiva e simpsoniana e memetica

Mescolando le intuizioni di Mark Fisher in Realismo Capitalista e di Slavoj Žižek In difesa delle cause perse, possiamo affermare che l’ironia demolitrice di tutte le ideologie o fedi è la nostra vera ideologia. Guardiamo gli ingenui, coloro che ancora credono, con un sorrisino distante e cinico. Noi siamo immuni alla seduzione di ogni ideale perché sappiamo che conduce spesso verso il fanatismo o una tragedia.

Ma, appunto, l’ironia è la nostra vera ideologia anche perché ci permette di prendere una distanza ironica dalle cose che facciamo e, allo stesso tempo, ci permette di continuare a farle. Compriamo la macchina facendo ironia sui venditori di macchine, votiamo pur prendendo in giro tutti i politici, acquistiamo fast fashion prendendo in giro il sistema della moda, facciamo meme su disastri politici economici sociali accettando la nostra impotenza. Facciamo le stesse cose ma siamo diversi dagli ingenui che le fanno senza arguzia.

Però, nel nuovo paesaggio storico, sembra che questa ironia sia terribilmente spuntata come arma nei confronti di Trump e affini. Sono leader che riescono allo stesso tempo a credere e a farsi burla della fede. Che hanno assorbito nel loro linguaggio la distanza cinica e riescono a utilizzarla contro ogni critica: “Non stavo dicendo sul serio…” oppure “Non sapete scherzare!”
E fanno terribilmente sul serio.  

Sono leader in grado di mantenere sia la postura del padre severo sia il ghigno del joker irriverente. E sono persino in grado di fare autoronia. I commentatori più attenti raccontano che uno dei suoni ricorrenti ai comizi di Trump sono le risate. Riesce a tenere insieme umorismo e retorica aggressiva, un approccio che gli permette di mantenere un’immagine di outsider anti-establishment e di trasformare i suoi oppositori in oggetti di derisione. E, ancora, di nascondere le sue parti pericolose producendo una sorta di anestesia sugli argomenti tabù su cui fa ironia, normalizzando ciò che fino a poco prima era ritenuto inaccettabile.

Prendendo il prestito il nome da una corrente estetica e filosofica definirerei questi leader come figli del metamodernismo. Una nuova sensibilità artistica nata in seguito alle recenti trasformazioni globali: il cambiamento climatico, la crisi finanziaria, l’instabilità politica e la rivoluzione digitale. La cultura postmoderna – del relativismo, dell’ironia e del pastiche – da sola non è più in grado di interpretare queste fratture sociali. Deve ricorrere alla fede e alla sincerità moderna. Ne viene fuori una retorica che oscilla tra speranza e malinconia, tra ingenuità e consapevolezza, empatia e apatia, tra entusiasmo e distacco. Chi ha tentato questa strada in campo artistico: Roberto Bolaño, David Foster Wallace, Zadie Smith nella letteratura, Bo Burnham nella Stand Up, Miranda July e Charlie Kaufman nella scrittura cinematografica, per dirne qualcuno. 

Nella comunicazione politica queste oscillazioni vanno da Great Again a Sleepy Joe, dal fascismo marziano di Musk alla “gretina”, dal “Deportiamo i palestinesi” alle barzellette, e ne siamo frastornati. 
Siamo all’interno di un vortice di caos e ironia creato dalle stesse persone che vogliono rivenderci una futura stabilità.

Insomma, la questione è molto complessa ed è difficile interpretare il proprio tempo. Però il tizio non se la caverà con qualche meme né con il racconto di quanto erano belli gli anni ‘60, né compiacendosi per aver provato a delineare un meccanismo politico. Figuriamoci per averci scritto un articolo sopra.

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