“Nella lotta tra te e il mondo, asseconda il mondo”
Franz Kafka
Immagina di partire dalla stazione di Roma Termini, attraversare i chilometri che la separano da Torino Porta Susa a bordo di un treno veloce, e lì vicino affittare una macchina che, prendendo l’autostrada per Ivrea, ti porti infine, dopo circa un’oretta di strada, in una valle sperduta, abitata da poche centinaia di persone. La Valchiusella non è ancora in Valle d’Aosta e non è ancora parte del famoso Parco Nazionale del Gran Paradiso. È una zona di confine, potremmo dire, dove il lavoro è poco, i giovani tendono a raggiungere Ivrea o Torino, che sono vicinissime, e il turismo, perlopiù famigliare, si è ridotto ai soli mesi estivi.
Tutto ciò mi suona familiare, come a casa mia: un posto dall’eccezionale splendore paesaggistico, leggermente isolato, che viene abbandonato a poco a poco dai suoi abitanti, salvo i pochi che, per mantenersi, per qualche mese all’anno devono recitare la parte dei paesani – isolani o montanari fa lo stesso – e accogliere famiglie provenienti da tutto il mondo. Mentre si consuma questo processo le tradizioni si sfaldano e diventano cenere. Rimane solamente, di tanto in tanto, una propensione al mero progresso. Il progresso tipico della città. Una spinta ebete che non tiene conto dell’idea – essenziale in luoghi così selvaggi – che un ecosistema sano potrebbe non avere bisogno di alcuno sviluppo, di nessun progresso, semmai di equilibrio, di equilibrio e di cura: un’attenzione costante e appassionata verso la delicatezza di questo organismo complesso che è la montagna – o l’isola, nel mio caso.
La biblioteca del Lupo
Adesso prova a immaginarti all’interno dell’automobile, mentre svolti per un sentiero di pietre segnalato da una cassetta delle lettere all’americana. Di fronte a te si erge una grande casa di pietra, alta una decina di metri. Casa di Rosanna e Rocco, dove vivono con i loro tre figli, i tre cani, i gatti, le pecore, le galline, e nella quale hanno una stanza per gli ospiti, da usare come Bed & Breakfast, molto accogliente seppure spartana. Lo hanno chiamato Traleua.
Scambiamo poche parole. Chiedo notizie dei riscaldamenti perché a Traversella, il paese dove ci troviamo, per uno come me, fa già abbastanza freddo. Ma l’impianto è a legna e ci vuole del tempo perché la casa si riscaldi, quindi non ne varrebbe la pena. Perciò dovrò semplicemente abituarmi, al freddo e al fatto che loro sembrano averne una percezione estremamente diversa, vanno in giro nelle loro maglie a maniche corte, come se fosse estate.
Siamo diversi, lo sento subito. E sono io l’alieno. Il forestiero, come dicono a casa mia.
Adesso però dobbiamo andare, ci ritroveremo l’indomani mattina per colazione. Saluto e proseguo per la mia strada. Siamo leggermente in ritardo ma, per fortuna, Traleua dista pochi minuti dal luogo in cui incontrerò Greta per la prima volta. Greta Silva, la pastorella che ha dato e dà vita alla Biblioteca del Lupo.
Lascio la macchina sul ciglio della strada. Siamo nel bel mezzo del bosco e si sente il suono dello scrosciare dell’acqua del Chiusella. Imbocco una breve salita che mi porta fino a questo conturbante e antico mulino ad acqua, tutto in pietra, e a quel punto i miei scarponi risuonano sul pavimento di legno del terrazzo. Dischiudo la porta d’ingresso e mi ritrovo dentro un piccolo ristorante dall’aria accuratamente nordeuropea, si chiama koivu e propone cibo vegano e sauna finlandese, oltre a una serie di attività parallele: presentazioni, incontri, laboratori; koivu collabora con tante realtà presenti sul territorio, da chi propone canti di gruppo, a chi organizza corsi di yoga, massaggi olistici, eccetera. Spesso le due ragazze che gestiscono il posto, Loredana ed Elisabetta, lavorano anche con Greta. D’altronde sono entrambe ferventi antispeciste. Loredana è torinese e ancora fa spola tra la città e la montagna; mentre Elisabetta è originaria della Valchiusella e, dopo aver passato un periodo a Torino e poi in Finlandia, ha deciso di tornare a casa e portare con sé alcune delle cose che ha imparato nei suoi viaggi; o quantomeno uno sguardo diverso, una mentalità.
In effetti, non sembra nemmeno di stare in Valchiusella.
Stasera servono un menù molto curato, interamente vegano e biologico, con un’attenzione estrema ai prodotti del posto (dal vino locale, naturale, buonissimo; all’assenza di zucchero accanto al caffè, sostituito con lo sciroppo di riso). In bagno bisogna asciugarsi le mani con delle tovagliette di stoffa da riporre successivamente in una cesta perché siano poi lavate e riusate, per ridimensionare gli sprechi. Ci sono dei gatti, regali, che abitano la sala e convivono con gli avventori, quasi incuranti della loro presenza. Il camino riscalda la stanza principale e la carta da parati, color betulla, illumina il legno chiaro dei mobili.
Entrando nella sala vengo accolto da un abbraccio di Greta, che mi riconosce immediatamente e mi accompagna fuori per chiacchierare un po’ e presentarci meglio dal vivo. Tuttavia, siccome siamo in ritardo e stanno già servendo le prime portate, rientriamo in sala; e siedo al tavolo che mi è stato assegnato, che condivido con due coppie di torinesi di una certa età.
Mi aveva già avvertito che non avrebbe potuto darmi molte attenzioni perché la cena a cui sto partecipando è stata organizzata per raccogliere fondi per la biblioteca, e per proiettare il documentario del giovane filmmaker Daniele Alef Grillo, frutto di un laboratorio organizzato dal festival CinemAmbiente. S’intitola La promessa del lupo, e parla proprio di Greta. Lei sarà quindi inevitabilmente occupata a intrattenere gli ospiti.
Così ne approfitto per conversare amabilmente con i miei commensali, che sono poi i classici frequentatori di queste zone. Una delle due coppie si è già trasferita definitivamente, l’altra trascorre da anni le estati in valle e, piano piano, seguendo la coppia di amici, stanno cominciando a scoprire il fascino della Valchiusella anche d’inverno, durante la vita “normale”.
Mentre la cena volge al termine alcuni degli astanti seduti al tavolo di Greta si alzano e iniziano ad allestire la proiezione nel terrazzino. Saremo forse una ventina, si conoscono tutti ma nessuno conosce me, che non passo certo inosservato. Quindi prendo posto fuori, in disparte, e assisto alla presentazione di Greta e poi di Daniele, poche parole, discorsi asciutti ed essenziali che lasciano spazio a un cortometraggio che ritrae Greta nel suo ambiente naturale: la biblio, come la chiama lei.
La promessa del Lupo è un film molto silenzioso, sono i suoni dell’ambiente a parlare, volutamente amplificati per darvi risalto. La cinepresa è trattata come se fosse lo sguardo di un animale selvatico a seguire Greta nei sentieri che attorniano la biblioteca, quasi come se noi guardassimo tramite gli occhi del lupo, o meglio, del suo spirito. Lo spirito del lupo che la segue e la protegge.
È quasi a metà film che appaiono le prime parole umane, scandite dalla voce di Greta, e sono parole di Henry David Thoreau:
A volte ho immaginato una biblioteca, una raccolta delle opere di veri poeti, filosofi, naturalisti. Depositata non in un edificio di mattoni in una città affollata, ma invece lontano, nelle profondità di una foresta primitiva, dove si possa ritrovare una serie di alcove cadenti. I libri più vecchi proteggerebbero i più moderni dagli elementi. Semisepolta dal lussureggiare della natura che l’eroico lettore potrebbe raggiungere solo dopo avventure in terre inesplorate, fra bestie feroci e uomini selvaggi.
Con questo brano – in una scena dove sembra che sia stata lei stessa a immaginarlo e scriverlo – Greta presenta la Biblioteca del Lupo. La sua voce ci racconta quindi la genesi del suo interesse per questo animale: in principio, l’episodio scatenante è stato un sacrificio: appena arrivata in Valchiusella insieme al suo compagno Elio, è successo che un lupo abbia deciso di predare Zira, una delle loro pecore, alla quale Greta ed Elio erano molto affezionati, tanto da chiamarla “la mediatrice” tra loro e il piccolo gregge.
La reazione solita, dei pastori, a questo genere di “attacchi” del lupo, per Greta era forse un po’ troppo comoda e superficiale. Così, piuttosto che incolpare il lupo, sperando o addirittura pretendendo una punizione, una vera e propria vendetta, Greta si è domandata invece chi fosse questo lupo, l’animale misterioso e sconosciuto che vive proprio dietro casa sua. Ed è così che ha cominciato a interessarsi a questo iconico animale selvatico, al suo ritorno in Italia e alla sua salvaguardia, ai suoi comportamenti e alle sue ragioni, sia tramite lo studio dei testi che riguardano il lupo e i selvatici in generale, sia attraverso un’opera di tracciamento davvero sui generis, discreta e costante.
Ma sarà un altro l’incontro che sancirà la promessa fatta da questa atipica pastorella allo spirito del lupo: il ritrovamento, nel 2020, lungo il fiume Chiusella, del cadavere di un lupo, tumulato male e probabilmente vittima del bracconaggio. L’unico lupo che Greta abbia mai visto dal vivo in vita sua.
La storia della Biblioteca del Lupo è solo una parte della storia di Greta Silva. Per raccontarvi di questo luogo quasi fiabesco – così come la sua custode: una specie di strega, una druida dagli occhi color cielo, i capelli acconciati, come una nuvola, in una crocchia selvaggia, ornata spesso da lunghe trecce, il corpo secco e spigoloso, antico, primordiale, la voce gentile, con un leggero accento milanese, e una risata esplosiva, luminosa; una donna di città che vive già dopo l’apocalisse, e la attraversa ogni giorno – credo sia interessante ricominciare da lei, dal suo percorso di vita.
Incontro nuovamente Greta la mattina seguente al bar Croce Rossa, il bar principale di Traversella, un posto rustico, semplice, come molti nella zona, gestito da Denis e da sua madre, Anita. Sono un po’ demoralizzato perché so già che non potrò vedere la Biblioteca perché la pioggia incessante non consente di esporre i libri che sono normalmente disposti in delle librerie coibentate rivolte all’esterno, ma Greta mi ha promesso che andremo a mangiare in un bel posto e sono comunque molto curioso di conoscerla meglio. Ci sediamo a un tavolino all’esterno per fare colazione e inizio a farle qualche domanda, le racconto un po’ di me e di quello che faccio, dei libri sugli animali, mi parla dell’Archivio documentale sul lupo e sui selvatici al quale sta lavorando da anni. Poco dopo, però, veniamo interrotti.
Arriva una coppia di amiche, seguite dal figlio di una delle due, distratto da uno smartphone che sembra una sua appendice. Le due cominciano a parlare con Greta proponendole varie attività: formare un gruppo di lettura, condurre dei laboratori di canto corale negli spazi della biblioteca, cose così; lei sembra entusiasta e aperta alle loro idee ma ci tiene a sottolineare più volte che bisognerà parlarne per l’estate, come se la biblioteca stesse per entrare in letargo. In realtà questo è un mio fraintendimento: la verità è che il lupo in questo periodo inizia a uscire più spesso dalla sua tana, perciò Greta, e il gruppo dei volontari che la accompagnano, al contrario che andare in letargo, saranno più impegnati con le attività di fototrappolaggio e di monitoraggio della zona, per agire tempestivamente contro le incursioni dei bracconieri e gli illeciti di cacciatori e margari. Nel periodo primaverile ed estivo, invece, sarà più facile organizzare incontri, visto che la montagna in generale sarà più frequentata, e inoltre, il lupo e tutti gli animali selvatici si terranno più nascosti, sia a causa delle ore di luce che aumentano, sia per il caldo delle giornate estive, ma soprattutto per la presenza incessante di turisti e frequentatori della montagna di ogni tipo, dai motociclisti ai raccoglitori di funghi, fino a escursionisti e cacciatori.
(È davvero incredibile visionare il contenuto video di una fototrappola – che spesso riguarda l’arco di una settimana o anche meno – innanzi tutto per godere della magnificenza che sanno esprimere certi animali quando si credono non visti; e secondariamente per rendersi conto dell’insospettabile traffico dei boschi, anche in zone che ci sembrano molto isolate e in periodi durante i quali la montagna appare spopolata e silenziosa).
L’impatto
Dopo aver parlato con le due ragazze, mentre ci prepariamo per andare, appare un omone, Bernardo. I suoi occhietti sono incorniciati da un ispido rovo di barba e capelli brizzolati. È proprio il classico montanaro: pancione abbondante, camicia a quadrettoni un po’ sbrindellata, gilet, pantaloni tecnici e scarponi. Non parla, bofonchia brandelli di frasi. Greta e Bernardo si salutano amichevolmente e parlottano ma non riesco a seguire. Quindi vado a pagare pensando che Greta conosca proprio tutti in paese. Mi sembra veramente amata e rispettata, a primo acchito.
Arriviamo al rifugio Cima Bossola, gestito da alcuni ragazzi per questi mesi estivi. Offrono addirittura un menù vegetariano. Imparerò col tempo che in Valchiusella trovare un ristorante che serva anche piatti non a base di carne o derivati è un’assoluta rarità, così come lo è koivu; ma per una vegetariana come Greta questi sono gli unici posti frequentabili. E forse non solo per questa ragione: nell’arco della giornata mi renderò conto che diverse persone la indicano, che sussurrano all’orecchio del vicino per raccontarne la storia. Non dico che Greta sia una celebrità, anzi, ma è indubbio che la maggior parte delle persone in valle la conosce o quantomeno sa chi è e cosa fa, e non avrebbe problemi a riconoscerla; e capirò solo dopo un po’ di tempo che si dividono in fazioni ben distinte e polarizzate: c’è chi la disprezza più o meno apertamente (i cacciatori prima di chiunque altro, ovviamente), chi la stima e la supporta attivamente (soprattutto forestieri, ma anche autoctoni, molto spesso sono persone che hanno vissuto un’esperienza al di fuori della valle o hanno un percorso di vita che comunque ne ha aperto gli orizzonti e possono comprendere perciò una mentalità diversa dalla loro), e poi la maggior parte delle persone, che oscilla tra la totale indifferenza e una discreta simpatia, senza però mai prendere posizione in alcun modo.
Bernardo, per esempio, fa parte della prima categoria, poiché è un cacciatore. E lo scambio a cui ho assistito al bar Croce Rossa era tutt’altro che amichevole. Come un sottile gioco di sguardi tra due lupi che si contendono un territorio. Ritualizzato.
Mi renderò tristemente conto che non è nemmeno esattamente così, non è proprio come per i lupi. I lupi hanno un rispetto estremo per la vita e la libertà dei propri simili. Persino le faide più cruente all’interno dei branchi, spesso – non sempre ma spesso –, si risolvono con il semplice allontanamento dal branco del lupo sconfitto (e pare che un lupo possa addirittura essere reintegrato, o comunque rimanere sotto la protezione del maschio alpha del branco che lo ha esiliato). I cacciatori della zona, invece, mi racconterà Greta e non solo lei, hanno i loro metodi intimidatori e sanno esattamente dove e come colpire.
Ma questa è un’altra storia, come si suol dire, e ci porterebbe davvero troppo lontano e in territori troppo pericolosi.
Finalmente possiamo sedere di fronte al nostro ragù vegetale in santa pace, e possiamo ascoltare attentamente la storia di Greta.
Greta nasce e cresce a Milano. A un certo punto della sua vita apre un atelier nell’ormai celebre quartiere Isola: Apres-Midi. Realizza degli accessori – ballerine, cappellini, spille – assemblando piccoli oggetti trovati in giro, nei mercatini, nelle soffitte, nei negozi di antiquariato, cucendoli insieme a mano; Greta compone dei preziosi inserti con una forte ispirazione per il mondo “naturale”. E ci sembra tutto già in nuce a riguardarlo da qua, col senno di poi.
Si riesce ancora a immaginare: la Greta artista di alta moda; il modo in cui muove le mani, il suo linguaggio. La vedo ancora andare in giro per i mercatini di Parigi in cerca di piume, perline, pallette, ricami antichi, ritagli di cartoline; organizzare aperitivi e presentazioni nel suo atelier, stretta in un vestito strambo di inizio secolo, con le sue acconciature perfettamente eclettiche. La vedo tornare a casa distrutta, stanca morta; e ricominciare il giorno dopo con lo stesso entusiasmo e la medesima passione, e quella gentilezza istintiva che sembra portare in ogni sua azione nel mondo; e che inevitabilmente fa sì che Greta riesca in quasi tutto quello che fa, anche troppo per i suoi gusti, forse. Quasi fosse una maledizione. Così, giorno dopo giorno, Greta inizia a soffrire quei ritmi lavorativi e mondani. Si prende del tempo e viaggia. L’India, il cammino di Santiago, Stromboli. Un “apprendistato del nulla”, l’ho chiamato io. (Per quanto le mete del suo percorso suonino abbastanza classiche e quasi banali, oggi come oggi). Potremmo farle corrispondere a degli insegnamenti che riguardano il rapporto con l’altro, la semplicità, e la relazione con la Natura. Sono lezioni che possono cambiare una vita.
Difatti a quel punto Greta non vuole più vivere nella sua Milano e si trasferisce in Val Grande, dove può concededersi un eremitaggio prolungato. Taglia i ponti con la città e con la sua vecchia vita, si apre però alla sua nuova condizione, e alla gente della valle. Scopre immediatamente quanto possa essere fondamentale, per la semplice sopravvivenza, l’apertura all’altro e la conoscenza profonda di ciò che ci sta attorno. Apre una piccola tisaneria, impara a tosare e filare; e inizia quindi a fare dei lavori con la lana ma anche questa attività sembra andare così bene da portarle un nuovo disagio: innanzitutto la necessità di andare giornalmente alle poste per spedire la merce, e secondariamente il bisogno di reperire sempre più lana, correndo il rischio di doverla reperire da allevamenti intensivi o non abbastanza controllati.
È in questo momento che Greta, insieme al suo ritrovato compagno Elio, decide di trasferirsi di nuovo, di cercare una casa tutta sua – tutta loro; ed è qui in Valchiusella che prenderà delle pecore da tenere con sé; anche se, successivamente, deciderà comunque di smettere di vendere le sue creazioni di lana, e persino di tosare le pecore con cui convive; pecore che già non venivano munte né vivevano imprigionate da un tipico recinto elettrificato.
Devo ammettere che questa parte della storia mi ha davvero meravigliato. Dinnanzi alla storia di Greta, che dal giro dell’alta moda milanese finisce a filare la lana in una baita di montagna, saremmo tutti pronti a ritenerci soddisfatti. «Brava Greta che ha fatto questa bellissima cosa di trasferirsi in montagna e lavorare la lana come si faceva un tempo. Brava, brava e buona!» ci verrebbe da dire. Greta invece non si è fermata qui.
Non voglio dire che Greta sia una santa, assolutamente. Tuttavia, trovo che siano da ammirare le persone che non si siedono sugli allori ma che continuano a problematizzarsi e a indagare il proprio agire, pronti a ribaltare il tavolo da gioco e ricominciare tutto daccapo. Penso che questo sia già un modo di stare al mondo esemplare, almeno per me. Sviluppare una specie di arte della sottrazione, della discrezione. L’arte di scomparire.
Quando arriviamo alla parte saliente della storia – ovvero dal momento in cui Greta si trasferisce in Valchiusella – io e lei abbiamo terminato il pranzo. Prendiamo la macchina e ci fermiamo proprio a Traversella, dove, passeggiando per il paese, Greta mi mostra la prima sede della biblioteca, che è ancora aperta e accessibile. Un minuscolo vecchio magazzino che lei e un amico, Andrea, hanno occupato per un breve periodo, iniziando a raccogliere e a far circolare i volumi che costituiscono la Biblioteca del Lupo. L’insegna era la stessa che ancora oggi adorna l’ingresso dell’attuale ubicazione della biblioteca, vale a dire una piccola stalla, che si trova nel terreno di Greta, a due passi da casa sua.
Greta mi racconta che dopo il ritrovamento del lupo tumulato vicino al Chiusella nel 2020 il Comune aveva bisogno di occuparsi del problema e di dare un’immagine differente della propria posizione in merito, e la Biblioteca del Lupo era sicuramente un luogo privilegiato per parlare in modo diverso di questo tema controverso: l’annosa lotta tra uomo e lupo. Perciò decisero di affidare una sala comunale alla Biblioteca del Lupo. Praticamente nel centro esatto del paese, con affaccio sulla piazza principale. Capiamo bene l’impatto che possa aver avuto la presenza della Biblioteca del Lupo nella piazza del paese, in un luogo così piccolo, nel quale caccia e pastorizia sono le attività principali, dove tutti sanno tutto di tutti, e la novità è più spaventosa della morte.
Dopo qualche tempo, però, le condizioni cambiarono: se la Biblioteca del Lupo voleva rimanere in paese Greta avrebbe dovuto fondare un’associazione e via dicendo. Ma Greta oggi su questo tema è inamovibile: non vuole rientrare in dinamiche istituzionali, non vuole partecipare ai bandi, non vuole soldi da nessun ente, se non donazioni o la partecipazione attiva dei singoli individui. Perciò, i pochi soldi che le arrivano vengono investiti per comprare i libri e l’attrezzatura per il fototrappolaggio. Vuole rimanere indipendente. Lei dice sempre: la biblio si muove con fare lupesco (lupesco, in generale, è una parola che usa molto). E il lupo aspetta, agisce con l’arrivo delle tenebre. Si muove furtivo nella notte e cerca di cogliere ogni occasione con intelligenza.
Pertanto, Greta ha dovuto spostare la biblioteca a monte, a casa sua. Ad alcuni sembra che sia sola come mai prima d’ora. Lei però ti guarda negli occhi e ti dice: «io sono dalla loro parte», intendendo dei lupi e dei selvatici, «alla fine passo più tempo con loro, d’inverno soprattutto, passo settimane e settimane senza vedere altri che Elio, i cani, le pecore e gli animali selvatici». E non è tanto quello che dice a colpirti ma il fatto che le credi. Che effettivamente è così. E non perché ne abbia le prove oggettive ma perché glielo leggi negli occhi, Greta è ormai davvero un animale selvatico.
Il sole sta tramontando e dobbiamo lasciarci. La accompagno per un tratto di strada e ci abbracciamo per salutarci dove lo sterrato diventa troppo pericoloso per la macchina. Le prometto che tornerò presto, per vedere la Biblioteca dal vivo, come poi effettivamente ho fatto. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò un’altra volta.
Due caprioli mi passano davanti, attraversano la carreggiata dopo l’ultima curva per discendere la montagna dove si trova la Biblioteca. Mi fermo sussultando e spengo subito la macchina, trattengo il fiato e osservo questi due animali stagliarsi all’orizzonte, immobili ma con i muscoli tesi, restano lì giusto il tempo per consentirmi di scattare una fotografia, per poi correre via lontano, salterellando agili, e infine scomparire dietro una collina erbosa.
Perciò, riaccendo la macchina e vado via anch’io.