31.10.2025

6 film sulle streghe e sul potere femminile (demonizzato), da vedere su MUBI

Ecco alcuni dei migliori film sulle streghe, o meglio, sulle donne che la storia, la cultura e spesso il cinema hanno definito tali per paura del loro potere. Una selezione dal catalogo di MUBI che attraversa decenni, generi e sguardi: dal Giappone al Texas, dalla Francia allo Zambia.

Quello delle streghe è un fenomeno che attraversa epoche e culture: una persecuzione reale, nata non dal caos, ma accuratamente orchestrata da strategie socio-politiche che hanno fatto leva su paure collettive e su trasformazioni territoriali, come ha spiegato bene Silvia Federici nel saggio Caccia alle streghe (2020). Alla base, un obiettivo preciso: reprimere il potere delle donne, punendo chi si distingueva per intelligenza, autonomia o determinazione. Dal Giappone alla Gran Bretagna, dalla Francia agli Stati Uniti, la strega resta il riflesso di un bisogno inconscio: controllare ciò che sfugge, bruciare (letteralmente e simbolicamente) un’energia diversa da quella patriarcale, che domina tuttora nella società. Fiabe, romanzi: a partire dagli anni ’70 diventa una presenza costante sullo schermo, un archetipo che parla di potere, desiderio, violenza e rinascita. Perché nei film sulle streghe certi cliché non smettono mai di tornare — e ogni volta che tornano, rendono le donne un po’ più libere. Questi sono i titoli selezionati da noi, direttamente dal catalogo MUBI.

Audition, Takashi Miike (Giappone, 1999)

Tokyo. Un uomo rimasto vedovo organizza un casting per trovare la “donna ideale” con l’aiuto di un amico produttore. Tra decine di candidate, sceglie Asami: fragile, silenziosa, apparentemente innocente. Ma dietro quell’immagine docile si nasconde un dolore incolmabile, un passato di abusi e un desiderio di vendetta. Audition ribalta i ruoli del melodramma e dell’horror: la donna-oggetto diventa carnefice, l’uomo vittima della propria proiezione. Ispirato da un romanzo di Ryū Murakami, Miike costruisce un racconto disturbante sulla paura maschile del desiderio femminile e sull’impossibilità di controllare chi è sempre stato guardato, ma mai davvero visto.

Witches, Elizabeth Sankey (Regno Unito, 2025)

Witches è un film documentario britannico del 2024, scritto e diretto da Elizabeth Sankey. Sankey – musicista e cineasta inglese – realizza un’opera profondamente personale: parte dalla sua esperienza di depressione post-partum durante la nascita del figlio nel 2020, per poi affrontare il tema delle streghe e il loro ruolo nella cultura collettiva. Il documentario mixa interviste realizzate tra il Regno Unito e gli Stati Uniti (con il coinvolgimento anche di attrici, come Sophia Di Martino) e filmati d’archivio tratti da decine di film. Attraverso questo collage di immagini – da Häxan (1922) a The Witch (2015) – Sankey crea un parallelismo tra le donne accusate di stregoneria nel passato e le donne contemporanee affette da disturbi mentali, spesso incomprese o stigmatizzate. Per lei la malattia mentale non è nient’altro che una nuova versione del rogo: un modo in cui la società continua a “bruciare” simbolicamente le donne che soffrono, che parlano, che reclamano il proprio spazio.

Lips of Blood, Jean Rollin (Francia, 1975)

Lèvres de sang è un film gothic-horror francese del 1975, diretto da Jean Rollin. Rollin, noto per i suoi film visionari a basso budget incentrati sulle figure dei vampiri, realizza qui una delle sue opere più poetiche, oniriche e anche erotiche. Durante la presentazione di un profumo, Frédéric vede la foto di un castello che fa riemergere un ricordo d’infanzia, finora sepolto: una giovane donna in abito bianco, imprigionata dietro il cancello di un antico château che le chiede aiuto. Da quel momento inizia a essere tormentato dalle apparizioni della donna, che lo chiama a sé. Rollin racconta la rinascita del desiderio represso, incarnato in figure femminili vampiriche che la società ha voluto sigillare in bare e castelli abbandonati. La “donna sepolta”, bandita e condannata, qui torna a vivere reclamando il proprio corpo e il proprio potere.

I Am Not a Witch, Rungano Nyoni (Zambia / Regno Unito, 2017)

La regista Nyoni, nata a Lusaka, in Zambia, ma cresciuta in Galles, porta sullo schermo la realtà del suo paese d’origine attraverso Shula, una bambina di otto anni che, proprio in Zambia, viene accusata di stregoneria e confinata in un campo di “streghe”. In questo luogo ai piedi delle colline desolate e aride, alle donne bollate come streghe viene legato un nastro bianco sulla schiena per impedirne la fuga – un’immagine surreale ideata da Nyoni per rappresentare il controllo attraverso la paura. Alternando i toni da fiaba a quelli di denuncia, Nyoni racconta l’assurdità del controllo e della superstizione: gli uomini al potere sfruttano Shula e le altre donne come capri espiatori di ogni disgrazia e come attrazioni folcloristiche per i turisti.  I Am Not a Witch diventa così una parabola crudele ma poetica sulla paura del femminile e sull’ingiustizia delle etichette, ma anche sulla possibilità di spezzare – o tragicamente accettare – i limiti imposti.

X: A Sexy Horror Story, Ti West (Stati Uniti, 2022)

Primo capitolo dell’omonima trilogia horror con protagonista Mia Goth. Le vicende sono ambientate nel Texas rurale del 1979, durante il boom dell’home video e della pornografia amatoriale: un gruppo di giovani aspiranti cineasti di Houston affitta una casetta in una fattoria isolata per girare di nascosto un film porno intitolato The Farmer’s Daughters. I proprietari, una coppia di anziani, osservano con un sguardo ambiguo e giudicante la vitalità dei ragazzi, soprattutto di Pearl, che nota una straordinaria somiglianza tra la sé giovane e una delle attrici, Maxine: bella, libera, desiderata e destinata al successo. Col calare della notte la tensione cresce e l’ombra inquietante di Pearl si fa strada. È un horror che esplora in modo insolito la paura della vecchiaia, della libertà sessuale e della non conformità ai ruoli di genere. Pearl incarna una figura di donna repressa e trasformata in mostro proprio dalla negazione del suo desiderio: in un certo senso è la “strega” che il patriarcato ha creato e con cui è impossibile non nutrire una macabra empatia.

Revenge, Coralie Fargeat (Francia, 2017)

Invitata in una lussuosa villa nel mezzo del deserto dal suo ricco amante, la giovane Jen viene brutalmente aggredita dai suoi ospiti (tre uomini facoltosi) e considerata per morta, abbandonata. Lei però è viva: si rialza a fatica dalle profondità di un burrone, si ricuce da sola le ferite e si arma per vendicarsi. Revenge è un film che ruota proprio su questo: sul sangue e sulla rinascita, in cui la violenza estrema diventa il linguaggio della resistenza. Coralie Fargeat filma la metamorfosi di una donna che riprende in mano la propria narrazione, ribaltando lo sguardo maschile dominante tipico del genere. La “strega”, qui, è colei che rinasce dal trauma e non solo non perdona né dimentica, ma agisce. Jen si trasforma da preda a cacciatrice in un’odissea di vendetta che assume tinte quasi sovrumane: una fiaba infernale sul potere della sopravvivenza, affilata e lucida come una lama.

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