05.02.2025

Aesthetics in Rome: i linguaggi del Giubileo 2025

Dai giubilei medievali ai social media, la Chiesa ha sempre saputo sfruttare con naturalezza l’innovazione tecnologica. Dal cinema alle app per i pellegrini, dal gemello digitale di San Pietro all’AI, il Vaticano è stato in grado di adattare il proprio messaggio ai linguaggi contemporanei e ridefinire la propria immagine nel mondo.

Siamo abituati a intendere il sistema ecclesiastico come una realtà ancorata ai propri valori e soprattutto votata alla loro più accanita conservazione. Per molti versi è così, ma su un fronte in particolare la Chiesa ha sempre avuto l’occhio lungo e abbracciato la novità con energico entusiasmo. I mezzi di comunicazione non solo hanno da sempre, interessato gli organi ecclesiali per portare il messaggio cristiano il più lontano possibile nell’ottica di una evangelizzazione sempre più ampia e capillare; ma sono anche stati sfruttati, soprattutto nell’impennata del loro progresso tecnico, in modo sempre più consapevole dai pontefici stessi, adattandoli talvolta anche sartorialmente alla propria figura.

Quando il Vaticano incontrò Hollywood

Lo scorso 24 Dicembre Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della Basilica di San Pietro ufficializzando l’inizio del Giubileo 2025, il secondo sotto il suo pontificato contando quello straordinario del 2015. In occasione dell’evento giubilare, fin dalla sua prima manifestazione nel 1300, Roma cambia veste, si prepara all’accoglienza di milioni di pellegrini, modernizza le sue infrastrutture, incentiva grandi cambiamenti urbanistici e architettonici, e, soprattutto, avvia un gigantesco meccanismo comunicativo: se nei primi secoli si coniavano monete a tema giubilare e si facevano circolare guide della città e icone sacre (creando del vero e proprio commercio simile all’attuale realtà del merchandising), oggi la Santa Sede apre una pagina Instagram dedicata all’evento. In questo senso, nulla è mai davvero cambiato nel corso della storia (lo vedremo più in dettaglio): il grande obiettivo per la Chiesa è quello di raggiungere una sorta di perfezione ecumenica, modulando il messaggio dell’ortodossia cristiana scegliendo di volta in volta i mezzi più efficaci e contemporanei per rivolgersi alla massa dei fedeli.

Ѐ del 1936 la prima vera e propria enciclica papale dedicata al cinema

Questo giubileo, infatti, definito “il primo giubileo dell’era dei social e delle app”  si presenta fortemente strutturato dal punto di vista mediatico: i fedeli hanno potuto registrare la propria presenza alla serata inaugurale sull’apposita applicazione, familiarizzare con il logo ufficiale del giubileo, seguire sulla pagina web tutte le indicazioni necessarie per il pellegrinaggio e per il soggiorno a Roma, così come su Instagram, sulla pagina ufficiale iubilaeum25, avere notizie, contenuti e stories in sintonia col linguaggio estetico e comunicativo contemporaneo.

La Chiesa, fin dagli esordi dei media audiovisivi – fotografia, cinema, radio, televisione – ovvero fin dalla fine del XIX secolo, ha largamente fatto uso, nonché regolamentato la fruizione di questi mezzi.
Ѐ del 1936 la prima vera e propria enciclica papale dedicata al cinema, redatta da Papa Pio XI, la Vigilanti Cura, in cui non solo si affermava l’interesse e l’entusiasmo per questo straordinario strumento evangelico, ma si definiva anche la linea morale che l’intera comunità cristiana avrebbe dovuto seguire con rigore, con l’invito a stilare una lista di film giudicati moralmente corretti e scoraggiando e censurando l’immoralità dilagante del cinema hollywoodiano e il laicismo sovietico. Il Codice Hays, entrò in vigore nel 1934 e prese forma da un accordo avvenuto appunto con Papa Pio XI, col quale si intendeva veicolare il linguaggio visivo verso contenuti conformi al credo cristiano secondo precisi dettami estetici. 

Come scrive lo stesso Pio XI: “In questo codice si dava la promessa che non verrebbe mai più prodotto nessun film atto ad abbassare il livello morale degli spettatori, o tale da porre in discredito la legge naturale e umana, o da ingenerare simpatia per la violazione di essa.”

Con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, il Vaticano si ritrova in dialogo con le i protagonisti nascenti di questi settori: agenzie fotografiche, case di produzione cinematografiche, photo editor, registi (come i Fratelli Lumière, per fare un nome) eleggendo persino fotografi e cineoperatori ufficiali, fondamentali per dirigere l’immagine della Chiesa al di fuori dei confini vaticani, soprattutto per eventi di rilevanza internazionale, come i giubilei.

Il corpo del papa

In occasione del Giubileo 2025 è stato ristampato l’importante volume “L’arte degli Anni Santi. Roma 1300-1875” (prima edizione del 19851) pubblicato da Gangemi Editore col patrocinio degli organi ufficiali del Giubileo 2025 e a cura di Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna. Al suo interno, in un testo di Marina Panetta si trova un’importante chiave interpretativa: “Se dunque il giubileo, al di là dell’evento politico-religioso, fu anche una festa di massa sostanziata di elementi profani e impostata su meccanismi teatrali, a cui […] venivano di volta in volta forniti i mezzi più idonei a porlo in essere, può sembrare invitante l’ipotesi di assimilare questi mezzi agli odierni mass media.” 
Ebbene, se si fa un rapido confronto con l’evento televisivo “Le note del Natale”, programma realizzato in occasione dell’apertura del giubileo e che ha visto come ospiti star mediatiche come Roberto Bolle e Claudio Baglioni, tutta la teatralità già esistente nelle prime edizioni giubilari sembra essersi conservata, unitamente all’uso consapevole dei mezzi per veicolarne la portata spettacolare.


Oltre a facilitare il Vaticano a veicolare la parola evangelica nel mondo, il progresso dei media ha avuto negli anni il vero potere di dare un corpo e una voce ai pontefici, facendoli incarnare nelle loro rappresentazioni virtuali. Nella web serie in quattro episodi “Giubilei mediatici” diretta da Omar Pesenti, sempre realizzata in occasione dell’attuale giubileo, si vede materiale d’archivio a partire appunto dal 1900. Il primo Papa ripreso da una cinepresa fu Leone XIII, la cui immagine, ampiamente circolata proprio in occasione del giubileo del 1900, indusse le persone perfino a inginocchiarsi di fronte alla rappresentazione del pontefice, provocando una vera “epifania visiva”, come dichiara nel primo episodio Gianluca Della Maggiore (Professore di Cinema, fotografia, televisione e nuovi media).

Il progetto “AI-Enhanced Experience” del gemello digitale di San Pietro è stato realizzato con la collaborazione di Microsoft

Il Papa, grazie all’immagine, si fa corpo quasi reale, capace di parlare direttamente all’uditorio dei fedeli. Un rapporto, quello con l’immagine virtuale, iniziato potremmo dire con la Veronica, ed esaurito nella “teologia comunicativa” (così definita da Federico Ruozzi, Università di Modena e Reggio Emilia Fondazione per le Scienze Religiose nell’episodio 4) dell’era mediatica. 

In linea con tutto quanto detto finora, arriviamo al risultato più recente capace di congiungere la Chiesa alle nuove tecnologie grazie all’uso dell’intelligenza artificiale. Due anni di lavoro e l’insieme di quattrocentomila fotografie hanno permesso di realizzare il cosiddetto “gemello digitale” della Basilica di San Pietro per permettere ai fedeli impossibilitati a raggiungere Roma per il Giubileo di “visitare” il tempio della cristianità in un pellegrinaggio virtuale. Il progetto “AI-Enhanced Experience” del gemello digitale di San Pietro è stato realizzato con la collaborazione di Microsoft ed è stato voluto dal Cardinale Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica, Presidente della Fabbrica di San Pietro e della Fondazione Fratelli tutti. 

Al pellegrino contemporaneo non serve muoversi da casa per raggiungere la propria meta. Basterà semmai un dispositivo in grado di supportare la piattaforma su cui è stata caricata la Basilica nei suoi dettagli più minuti. Proprio una dichiarazione di Yves Ubelmann, CEO di Iconem, la startup che ha realizzato il progetto di digitalizzazione, ci fa riflettere: “Il gemello digitale della Basilica di San Pietro ci farà vedere ciò che l’occhio non può vedere. Il nostro obiettivo è far vedere ciò che rimarrebbe invisibile.” Ѐ naturale che gli occhi fisici abbiano dei limiti nel raggiungere e mettere a fuoco ciò che è troppo lontano o troppo piccolo; motivo per cui dentro un luogo alto e complesso come San Pietro possano perdersi moltissimi particolari. 

Ecco allora che l’AI promette un’esperienza di gran lunga più esaustiva e precisa di un luogo altrimenti per molti aspetti inaccessibile. Questa iniziativa ci dà la possibilità di ampliare le riflessioni emerse in un precedente articolo in merito al dubbio relativo alle immagini di informazione. Se da un lato l’AI instilla sempre più in profondità il sospetto sull’autenticità di ciò che vediamo, dall’altro auspica di farci vedere in modo potenziato, farci arrivare là dove altrimenti, coi soli occhi, sarebbe impossibile, divenendo “un’esperienza che nessuna generazione precedente ha mai potuto fare prima”.

Sacra estetica AI

Sembra, questa, l’evoluzione del messaggio lanciato da Marshall McLuhan nel suo Gli strumenti del comunicare del 1967:  “La fotografia ha capovolto gli scopi del viaggio, che consistevano un tempo nell’incontro con cose strane e non familiari: il mondo diventa una specie di museo di oggetti che abbiamo già incontrato in qualche altro medium.” 

In questo caso la Basilica diventa un’esperienza vivibile in un certo modo soltanto attraverso il medium, e non più copia e anticipazione di qualcosa che i nostri sensi potranno mai sperimentare.  

Se McLuhan vedeva già l’effettiva portata della fotografia come filtro e sostituzione della visione fisica dei luoghi, con operazioni come quella del gemello digitale voluta dal Vaticano si assiste all’apoteosi di questo percorso, naturalmente sia nei suoi aspetti più positivi – estendere la possibilità a più persone di conoscere la Basilica – sia in quelli più controversi, che proviamo ad accennare. L’immagine virtuale e tridimensionale di San Pietro, come dicevamo, è costituita da quattrocentomila immagini: una sorta di gigantesco collage digitale.  

Si tratta naturalmente di un’impresa che non avremmo mai potuto immaginare, addirittura capace di rendere noti problemi strutturali o elementi mancanti in quelle aree della Basilica che, appunto, nessuno vede mai. Come dice anche Padre Paolo Benanti a proposito del progetto: “La tecnologia diventa un ponte non solo tra passato, presente e futuro, ma anche tra persone” e questo è indubbiamente un enorme passo in avanti per la diffusione del nostro patrimonio culturale e artistico.”

Da un punto di vista della fruizione dell’immagine, si possono fare alcune osservazioni. Prima di tutto, dobbiamo tenere conto che ciò che noi vediamo non è naturalmente il frutto di una scelta autoriale – ciò che poteva rendere più o meno efficace la mediazione fotografica – ma di una traduzione fedelissima, e dunque neutra, di ciò che si intende riportare sul medium digitale. Se dunque non è necessaria la presenza del corpo per fare esperienza della Basilica di San Pietro, non lo sarà nemmeno una condizione luministica particolare. Ciò che fa dell’esperienza fisica prima, e della fotografia poi, qualcosa di memorabile, è sempre, anche cognitivamente parlando, l’unione di ciò che sente il corpo e di ciò che vedono gli occhi; la memoria si fonda in larga parte sui sensi.

il colpo d’occhio e la visione d’insieme, così come la sensazione luminosa di una scena, sembrano i retaggi di un modo di vedere estraneo ai nuovi paradigmi digitali

Ciò che viene proposto col mezzo dell’AI è sempre un’immagine mediata da altri, esattamente come lo è la fotografia, ma in cui la mediazione viene dissimulata a tal punto da rendere il risultato finale la trasposizione esatta, e dunque ovviamente non interpretata, di un luogo reale. Ci troveremo in questo modo dentro un luogo da vivere nei suoi frammenti dettagliati e non nell’atmosfera della sua totalità: il colpo d’occhio e la visione d’insieme, così come la sensazione luminosa di una scena, sembrano i retaggi di un modo di vedere estraneo ai nuovi paradigmi digitali. Il pontificato, nel suo farsi immagine, non solo è riuscito a farsi corpo quasi reale nell’immagine (si veda l’esempio di Leone XIII), ma anche luogo più che reale, ridefinendo i criteri per la sua stessa interpretazione visiva.  

Attraverso il Giubileo vediamo la Chiesa più che mai conscia dei mezzi a disposizione per generare esperienze al passo con l’evoluzione tecnologica e, sempre lucida padrona della propria immagine, convivere perfettamente (e da sempre) con quelli che sono gli strumenti del progresso mediatico. 

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