18.02.2025

All Cops Are Brothers. Una serie Netflix

La serie Netflix trasforma le tensioni sociali in uno scontro manicheo tra cattivi e buoni costretti a diventare cattivi. La Val di Susa diventa uno sfondo in cui si banalizzano trent’anni di resistenza civile e battaglia ambientalista. Fino a che punto è possibile semplificare la realtà?

Come quasi tutti sanno A.C.A.B. è l’acronimo in inglese di All Cops Are Bastards. Negli anni ‘70 del secolo scorso diventa popolare nel Regno Unito, quando la band londinese The 4-Skins pubblica un brano con questo titolo. Una band politicamente un po’ confusa, visto che dei 5 membri, 3 si affiliano, con diverse sfumature, alla destra vicina al National Front e 2, invece, sono un po’ più liberal, antirazzisti e moderatamente socialisti. 
Il brano spopola e viene preso come inno un po’ di qua e un po’ di là, soprattutto nelle bollenti curve britanniche tra la fine dei settanta e l’inizio degli ottanta.
Fatto sta che da quel momento in poi, sui muri di tutto il mondo la scritta A.C.A.B è sicuramente la più gettonata per esprimere il dissenso sull’operato e sull’esistenza stessa delle forze dell’ordine. Lo stesso dissenso si manifesta attraverso il numero 1312, (1 = A, 3 = C, 1 = A, 2 = B), un codice non particolarmente difficile da decriptare e ma po’ meno diretto della scritta.

That’s Capitalism!

Qualche settimana fa nella metropolitana di Roma, mi sono non poco stupito nel trovarmi di fronte la scritta in questione, in spray rosso, sui pannelli di solito occupati dalle pubblicità. Sotto lo spray avvicinandosi un po’ si poteva chiaramente leggere: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere ai doveri del mio ufficio, nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene”.

La formula del giuramento della Polizia di Stato. Strizzando gli occhi e riducendo ancora la distanza ho preso coscienza. La scritta “Solo su Netflix, ora disponibile” ha neutralizzato il mio malcelato entusiasmo per la recrudescenza della graffiti art nella capitale e per il coraggioso atto antisistema in un luogo così frequentato.

“La devi vedere”. “E perché? Già lo so com’è”. “Come fai a sapere com’è se non l’hai vista?” “Lo so”. Poi l’ho vista. Avevo ragione.

Dal 15 gennaio 2025 Netflix avrebbe mandato in onda la serie A.C.A.B. Quattordici anni dopo il film diretto da Stefano Sollima. Film che avevo dimenticato ma che poi ho ricordato di aver sorbito faticosamente a causa della logica poliziotto logorato dal male generato dal suo lavoro. Se non altro aveva una regia che all’epoca mi era piaciuta a causa della mia attrazione per l’uso smodato del contrasto e dalla saturazione tendente al cartoon. Mi sono detto “no, la serie non la vedo”, sentendo dietro la schiena il brivido scomodo di chi si rende conto di essere stato raggirato e non essere particolarmente perspicace.

E invece.
Qui di seguito riporto stralci di una conversazione avvenuta tra me e un amico che stimo e con cui solitamente condivido visioni politiche. Il primo a parlare è lui.
“L’hai vista ACAB?”
“No”.
“La devi vedere”.
“E perché? Già lo so com’è”.
“Come fai a sapere com’è se non l’hai vista?”
“Lo so”.

Poi l’ho vista. Avevo ragione.

Il piano politico

Questa la scena: una notte fredda e livida. Alberi si stagliano minacciosi ai lati di una strada di montagna in Val di Susa. Un reparto della Mobile è in tenuta antisommossa. Sembra un grosso animale nero e blu. Ondeggia. Si vedono i caschi lucenti, gli scudi, la postura contratta. I poliziotti sono in attesa. Davanti a loro il caposquadra li guarda. Ha la mascella tesa. È lui che decide quello che devono fare. Un capo. 
All’improvviso, dal buio del bosco un’orda famelica si scaglia contro il grosso animale nero e blu (i NO TAV che attaccano senza paura il nemico). Si sente un boato. Il caposquadra resta a terra privo di sensi. Una bomba (carta?) lo ha colpito sulla schiena. È morto? È vivo? Non si sa. Si scopre più avanti.

I manifestanti sembrano degli elfi organizzati e ben equipaggiati che vivono nel bosco e che a un certo punto decidono di aggredire le “guardie”.

Mi atterrò all’imperativo categorico di non spoilerare – un verbo mutuato orribilmente dall’inglese che credo sia una delle parole più usate e più brutte degli ultimi anni al pari di resilienza – ma per vendetta la polizia picchia selvaggiamente un manifestante mandandolo in coma. Chi è stato? Anche questo si saprà dopo.
Da qui, sostanzialmente, parte la serie che, episodio dopo episodio, normalizza, banalizza e legittima alcuni aspetti:

  • [1]
    In Val di Susa c’è una sorta di scontro epico tra manifestanti e polizia, che sembra paritario, due forze in antitesi si fronteggiano. In realtà non è proprio così.

    Al di là di come la si pensi, questa rappresentazione mette le violenze su un piano simmetrico e relega a macchietta chi, prendendosi la responsabilità anche di andare in carcere (come accade), porta avanti una battaglia ecologista che forse andrebbe maggiormente analizzata e ascoltata. Invece non si fa alcun cenno a cosa succede in Val di Susa da trent’anni a questa parte. I manifestanti sembrano degli elfi organizzati e ben equipaggiati che vivono nel bosco e che a un certo punto decidono di aggredire le “guardie”.

    © 2024 MARCO GHIDELLI/NETFLIX

  • [2]
    La logica del film già abbondantemente stressata da Sollima si fa regola nella serie.

    Il/la poliziotto/a è divorato/a dal male che vive ogni giorno nello svolgimento del suo lavoro. L’assioma è: la mia vita è difficile, devo lottare, combattere, sopravvivere, sono io, in fondo, il proletario che subisce il sistema pur rappresentandolo e difendendolo ogni giorno. Sono io che vengo aggredito e insultato per due lire. Non scomodiamo Pasolini, ma la logica non è poi così lontana. È giusto che a un certo punto io reagisca, anche forzando i protocolli, anche coprendo i miei “fratelli” quando sbagliano.
    Di conseguenza, la violenza delle forze dell’ordine a livello collettivo e individuale è una reazione ineluttabile alle aggressioni perpetrate dai manifestanti in Val di Susa o da facinorosi in altri contesti (vedi la scena della partita di calcio) o da violenze o soprusi subite a livello privato.

    © 2024 MARCO GHIDELLI/NETFLIX

  • [3]
    Uno sbaglia e il sistema prova a scovare e punire chi ha sbagliato (è molto, troppo, marcato il ruolo degli investigatori mandati dallo Stato che interrogano e “trattano da criminali” i poliziotti sospettati di coprire le violenze).

    © 2024 MARCO GHIDELLI/NETFLIX

  • [4]
    Il poliziotto buono è un infame all’inizio (perché in passato ha deposto contro colleghi in tribunale) poi si guadagna la fiducia del nuovo branco a cui appartiene. Come? Brutalizzandosi.

    Perché (vedi punto 1) la vita gli tira un brutto scherzo. Lo spirito di corpo e la protezione ad ogni costo dei “fratelli” diventano il leitmotiv della serie. Ma in fondo non si mette mai veramente in discussione il sistema. Il sistema non è marcio, ci sono solo alcune mele che si guastano a causa di elementi indipendenti dal sistema stesso.

    © 2024 MARCO GHIDELLI/NETFLIX

I guerrieri della notte

La serie esce proprio mentre in Italia impazza la polemica legata alla morte di Ramy Elgam, nel bel mezzo della proposta dello scudo penale in tutela degli agenti in servizio e il DDL sicurezza approvato alla Camera. Dopo la morte del ragazzo egiziano ci sono stati disordini in diverse città italiane. 
È quindi d’uopo descrivere quest’altra scena: siamo a Roma. È notte. Il reparto della Mobile è in un tunnel. La città è vuota. A un certo punto un folto numero di manifestanti (?) assalta i celerini con determinazione militare. Sempre per accordi col protocollo antispoiler non rivelerò il motivo. Partono molotov (che tra l’altro non si vedono nelle piazze capitoline da diversi anni, ma potrei essere smentito). Gli agenti sorpresi se la danno a gambe e, dopo una rocambolesca fuga, riescono a salvarsi da un probabile linciaggio. Si vedono i manifestanti (?) che schiumano rabbia aggrappati al cancello che li separa dalle forze dell’ordine ormai in salvo.

Semplifica brutalmente in modo manicheo: la luce e le tenebre, i cattivi e i buoni che sono costretti a diventare cattivi.

Una scena irreale, parossistica, in cui le macchiette tornano in azione e spuntano stavolta anziché dal bosco da qualche sotterraneo urbano. Dire che lo scontro di piazza e il livello organizzativo dei movimenti sociali e di lotta sono ben lontani da questa rappresentazione non è necessario, ma lo diciamo lo stesso.

E allora perché? Si potrebbe dire: è fiction, che male c’è? È fantasia. Vero, non c’è niente di male nella fiction, tutti (o quasi) amiamo il cinema, l’irreale, il fantastico, David Linch, Fellini, Spielberg, Ghostbusters.
Però.
In un’epoca in cui il dibattito sulla sicurezza è centrale e drammatico, l’attuale scontro politico sul tema cambierà, molto probabilmente, il modo di stare in piazza e, ad avviso di chi scrive, usare la realtà NO TAV (tra l’altro non storicizzandola) al servizio di una fiction, strizza l’occhio all’attualità e la semplifica brutalmente in modo manicheo: la luce e le tenebre, i cattivi e i buoni che sono costretti a diventare cattivi. 
Ovviamente la produzione e la regia hanno tutto il diritto di scegliere cosa e come raccontarlo e gli spettatori di guardarlo o non guardarlo. 
La serie A.C.A.B anela forse, con poco coraggio, a un tema spinoso: quello della necessaria democratizzazione delle forze dell’ordine in un paese in cui i casi di violenza, falsa testimonianza, produzione di prove, coperture, promozioni ingiustificate, sono molti, troppi e in cui lo spirito di corpo è andato spesso al di là del corpo stesso, arrivando a sistematizzarsi e a rendersi intoccabile. Un corpo che al massimo rende responsabili sempre gli ultimi anelli della catena di comando e raramente intacca chi prescrive l’ordine di esecuzione.

Continua ad esplorare

Usa le categorie per filtrare gli articoli

[NON PERDERTI LA NOSTRA NEWSLETTER SETTIMANALE]

Non perderti la nostra newsletter settimanale che ogni sabato raccoglie una selezione di storie e notizie che raccontano il mondo della creazione culturale, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità ambienale e sociale.