11.06.2024

Brevissima storia di comunicazione politica

Berlusconi è un prisma, Meloni una maestro pop, Salvini mangia. La mutazione estetica-emotiva, da Maurizio Costanzo alla Bestia passando per Drive in. Fino a qui tutto bene?

Sapete come funziona: i nostri smartphone hanno lo stesso design ludico delle slot machine e creano dipendenza tramite una scala di ricompense variabili – cuori, commenti, flame, luccicanti novità – che attivano i circuiti di dopamina nel nostro cervello. In una società sovraccarica di informazioni, l’attenzione è una risorsa preziosa. Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft, Netflix e OpenAI estraggono le nostre preferenze, i nostri dati, e li mettono a profitto in maniera abbastanza opaca, e qualche volta chiaramente fraudolenta. Le nostre tracce online vengono analizzate al fine di creare dei profili individuali; non solo per quanto riguarda le nostre opinioni, ma persino le nostre emozioni. Questa raccolta può essere utilizzata per creare delle grandi campagne social mediatiche con software di micro targeting comportamentale. Le campagne possono diffondere anche miti e notizie di natura complottista. In questa nuvola di caos semiotico ogni partito deve tentare di mantenere il proprio brand e ogni politico deve reinventarsi influencer: in questo senso, alla fine della Prima Repubblica, Berlusconi è stato il ponte che abbiamo attraversato per arrivare al territorio mediatico che abitiamo oggi
Ma facciamo un passo indietro.

Propaganda e talk show

A livello storico, la nostra penisola ha sempre avuto una certa familiarità con la questione: il termine propaganda, nel significato di comunicazione finalizzata a influenzare il pubblico, nasce durante un’operazione politica organizzata dalla Chiesa cattolica nel sedicesimo secolo per contrastare il Protestantesimo e riaffermare la vera fede: la Congregatio de Propaganda Fide è il dipartimento istituito per l’occasione.  

Inoltre, il nostro paese nel ventesimo secolo è un laboratorio per quanto riguarda la comunicazione politica di massa: lo stile tribunizio di D’Annunzio con domande che infiammano la folla viene presto imitato da Mussolini, il mito di Roma e l’enfasi imperiale diventano le colonne dell’immaginario fascista, l’accentramento e il controllo di radio, giornali e cinema diventano il sostegno silenzioso della violenza omicida impiegata nelle strade. Il manuale di comunicazione del totalitarismo novecentesco, soprattutto di quello nazista, viene scritto qui.     

Seguendo la linea di una frattura mondiale, nel Secondo Dopoguerra in Italia si fronteggiano le macchine propagandistiche americana e sovietica: la prima aiuterà finanziariamente i valori cattolici della DC e getterà le basi dell’edonismo consumista d’Oltreoceano (croce&delizia), la seconda finanzierà il PCI con una comunicazione che si fonderà sul mito rivoluzionario, sull’uguaglianza sociale, sul sacrificio. Anche se negli anni ‘70 la televisione diventa definitivamente a colori, la comunicazione rimane ancora in bianco e nero: l’informazione non è mai spettacolare, i politici parlano dei programmi dei loro partiti, le contrapposizioni ideologiche sembrano ancora al centro del dibattito e delle strade invase da continue manifestazioni. Tuttavia, non possiamo sottostimare la semina che porterà il pubblico ad accogliere, e forse a desiderare, un definitivo cambio di paradigma. Tra la fine degli anni ‘70 e durante tutti gli anni ‘80 avviene una mutazione emotiva ed estetica che riassumeremo in tre format:

  • Prende forma il talk show con Bontà loro e con il Maurizio Costanzo Show (entrambi condotti dall’omonimo giornalista). La politica diventa chiacchiera da salotto e si mescola con il privato. E tutti – dal burocrate di partito alla pornodiva, dall’intellettuale provocatore alla poetessa, dalla soubrette al paranoico di turno – raccontano la loro storia personale.
  • L’intrattenimento diventa programmaticamente grossolano con cabaret e satira demenziale, ambiguamente pornografico e decisamente sessista: il programma che inaugura il filone è Drive in.
  • Infine, la tragedia di Alfredo Rampi, un bimbo che cade dentro un pozzo incustodito nei dintorni di Frascati, rimescola i generi televisivi: per tre giorni la Rai va in diretta seguendo gli inutili tentativi di soccorso. Il dolore diventa spettacolo, l’informazione diventa emozione. Il confine è attraversato.

Il terreno semiotico è pronto per lo shock sociale dei primi anni ‘90: dopo decenni di pace l’Europa è attraversata dalla guerra fratricida nell’ex Jugoslavia. In Italia scoppia lo scandalo Mani Pulite e gran parte della classe dirigente democristiana e socialista perde il capitale reputazionale. L’Unione Sovietica implode e provoca il conseguente scioglimento dei partiti comunisti europei tra cui il PCI. La Guerra Fredda finisce, la Guerra al Terrore ancora deve iniziare.

Berlusconi è un prisma che riflette il passato e il futuro

Non c’è internet e non ci sono i social network ma la mutazione è notevole: la fine della Prima Repubblica produce un nuovo storytelling politico il cui protagonista assoluto è il carismatico Berlusconi.

Come scrive in un lungo coccodrillo il New York Times:   “Berlusconi ha usato il suo impero mediatico per manipolare – e per più di 20 anni dominare – la politica italiana, che per lungo tempo era stata ideologica e incentrata sui temi. È stato come se avesse trasformato un’immagine in bianco e nero in una televisione in Technicolor con infinite ore di programmazione di reality show, di cui era il maestro indiscusso. L’impatto sulla cultura del Paese è difficile da sopravvalutare.”
È difficile distinguere il partito Forza Italia dall’uomo politico, il marketing governativo dai valori culturali della sua televisione, la capacità affabulatoria dalle menzogne, le connessioni con Cosa Nostra dall’intuizione affaristica. In ogni modo, la comunicazione politica diventa più personalizzata, più seduttiva, più pubblicitaria.

Fino a quel momento i politici hanno parlato un linguaggio addirittura oscuro – quasi esclusivo per addetti ai lavori. Un linguaggio che produce bizantinismi come “convergenze parallele” ed è lontano dal futuro registro post drive in di “gnocche”, “culone inchiavabili” e “ce l’abbiamo duro”. La nuova retorica berlusconiana è un’onda che spazza via il fumo delle sezioni di partito, l’incenso delle chiese e la polvere degli intellettuali. Berlusconi “scende in campo”, un’espressione, tra tanti dei suoi refrain, che trae dalla grammatica calcistica e allude subliminalmente ai suoi successi con il Milan. 

Berlusconi utilizza tutto: barzellette vernacolari, minacce velate, ottimismo gaudente, compiacimento sessista, vulgata antipolitica e fiducia assoluta nel suo talento imprenditoriale. Distante dalla retorica della destra contemporanea – qui si commuove per i migranti albanesi morti – che tuttavia ha contribuito a legittimare durante le elezioni del 1994, arrogante fino al cringe nel parlamento europeo e con l’alleato americano, campione di vittimismo e di paranoia (i magistrati, i comunisti, Gianfranco Fini, le olgettine, la BCE, a suo parere tutti lo volevano far fuori) e retore dalle grandi capacità. 
I suoi notevoli mezzi finanziari, i talenti della sua industria mediatica sono utilizzati a fondo: l’inno di Forza Italia viene composto da  un autore di sigle di programmi Fininvest e dell’inno ufficiale del Milan. Il logo è disegnato da un grafico che ha già disegnato il biscione di canale 5. Berlusconi non si accontenta degli spazi gratuiti concessi dalla legge, ma compra spazio commerciale con manifesti da tre metri per sei su cui affigge slogan essenziali: “Meno tasse per tutti”, “Un presidente operaio per cambiare l’Italia”, “Per un nuovo miracolo italiano”. Invia la propria biografia in forma di lettera nelle case di tutti gli italiani. Firma in diretta televisiva un contratto politico con tutti gli italiani. Influenza (nemmeno tanto) subliminalmente il voto attraverso  i più celebri e innocui volti televisivi della Fininvest, dalla giovane Ambra Angioini all’esperto Mike Bongiorno

Berlusconi è anche un prisma che riflette il passato e il futuro: il suo corpo incarna la mitomania totalitarista di Mussolini, l’oscurità tentacolare di Andreotti, la spavalderia affarista di Craxi, il machismo ostentato di Bossi, la rottamazione efficientista di Renzi, il vittimismo gastro-godereccio di Salvini, il vaffa populista di Beppe Grillo, il nepotismo dispotico di Giorgia Meloni. Le parodie musicali che hanno provato a raccontarlo mostrano la sua eccedenza: affaristica (la famiglia Rossi), giuridica (Caparezza), “divina” (Benigni). Sebbene siano divertenti, argute, feroci, in qualche maniera rappresentano il fallimento dell’antiberlusconismo politico portato avanti da un’opposizione che lo ha inseguito e fronteggiato all’interno di frame concettuali determinati sempre da lui.

“Berlusconi ha usato il suo impero mediatico per manipolare – e per più di 20 anni dominare – la politica italiana, che per lungo tempo era stata ideologica e incentrata sui temi. È stato come se avesse trasformato un’immagine in bianco e nero in una televisione in Technicolor con infinite ore di programmazione di reality show, di cui era il maestro indiscusso. L’impatto sulla cultura del Paese è difficile da sopravvalutare.”

The brand called you

Ma, soprattutto – al di là di misteriosi sponsor per la sua scalata immobiliare, della tessera nella loggia P2, delle evidenti agevolazioni craxiane -, Berlusconi non smette di ripetere che si è fatto da solo
Dal personal branding di Berlusconi non si torna indietro. Ogni partito d’ora in poi è un’emanazione del suo segretario, non più viceversa. Sulle macerie delle grandi chiese politiche, cattolica e comunista, emerge sempre più chiaramente cosa rimarrà: the brand called you. È il titolo di un famoso articolo del 1997 di un guru del management che sanciva l’atomizzazione competitiva del capitalismo occidentale e, in qualche maniera, preconizzava l’avvento degli strumenti più adatti a questo nuovo tipo antropologico: i social network. 
Il Movimento 5 Stelle apre un’altra frattura politica e comunicativa negli anni ‘10 del XXI secolo. La retorica è antipartitica e anti mediatica: entrambi questi regni sarebbero occupati da parassiti, quindi perché non farne a meno? Il culto della disintermediazione nasce con internet stesso e promette a ogni persona una narrazione libera da filtri inopportuni. Eppure, la realtà comunicativa di questo movimento si rivelerà molto attenta al controllo del flusso informativo e gestirà una piattaforma proprietà privata di un’azienda di comunicazione.   

Matteo Salvini è il politico che ricava il massimo dal potere dei social network. Ma laddove Berlusconi affascinava con il carisma, sorriso e ottimismo lui tenta invece la strada della paura, dei gattini e della salamella. Per un quinquennio sembra inarrestabile: dal 2014 al 2019 porta la sua Lega dal 4% al 34%. Affida la strategia a Luca Morisi che utilizza “La Bestia” un software e una squadra di quaranta persone addestrate a comprendere i sentiment della rete, e diffondere post in grado di generare sui social media milioni di flame, cuoricini e commenti. In più sembra avvalersi di un network di siti di disinformazione dai contorni opachi. È qualcosa che ricorda la strategia manipolatrice di Steve Bannon e di Cambridge Analytica in altri contesti elettorali.
Il New York Times lo definisce an expert in political victimization. La strategia rappresenta Salvini come l’uomo comune contro tutte le elite – soprattutto i burocrati di Bruxelles – e stufo dell’immigrazione clandestina. Diffonde odio anti migranti e nello stesso tempo accarezza gattini e mangia pizza, prosciutto e Nutella, con cinismo provocatore: eccolo qui che si prepara a mangiare un arancino dopo una riunione d’emergenza per un terremoto. Ma il suo tempo – e la sua capacità politica – è molto più breve di Berlusconi. 

In generale, un altro fattore di rottura tra Prima e Seconda Repubblica è l’esplosività della crescita e del tracollo: Movimento 5 Stelle, PD renziano e Lega Salvini raggiungono in breve tempo consensi clamorosi per poi sgonfiarsi senza “quasi” lasciare traccia – forse per il PD è diverso perché mantiene comunque una base storica stabile, a differenza degli altri due partiti.
Ora è il tempo politico di Meloni e di Fratelli d’Italia: un altro esempio di crescita elettorale dirompente e di abile strategia mediatica. Come i suoi predecessori Meloni non rinuncia a mosse sia drive in sia cringe, come il video con i due meloni tenuti in mano all’altezza del seno il giorno precedente alle elezioni politiche 2022. È una maestro nell’utilizzo del pop e soprattutto nella risignificazione del frame negativo a suo vantaggio, come nello slogan preso dalla canzoncina parodistica Io sono Georgia. O come, più recentemente, con la scenetta virale di Caivano: “Presidente De Luca, la stronza della Meloni, come sta?”. Un filmato che qualcuno ha ipotizzato fosse strategicamente pianificato. Meloni ha ammorbidito i toni dei suoi social media, prima molto vicini alla strategia salviniana e populista anti immigrati e anti Europa e ora decisamente più governativi: sia dal punto di vista estetico con colori più tenui e font minuscoli, sia per quanto riguarda l’indirizzo politico con il deciso sostegno alla Nato e all’Europa. Come tutti i governi precedenti, piazza i suoi uomini nella RAI, eppure stavolta sembra ci sia una ricerca quasi totalitaria di controllo del mezzo: è quanto affermano le principali testate europee quali il Guardian, El Pais e – non ultimo per autorevolezza ma sicuramente di orientamento più conservatore – Le Figaro.

Ora è il tempo politico di Meloni e di Fratelli d’Italia: un altro esempio di crescita elettorale dirompente e di abile strategia mediatica.

Sintomi della struttura ingiusta del nostro sistema economico-sociale

Alla fine di questa veloce e insufficiente carrellata storica possiamo affermare alcune cose: 
La parete divisoria tra “privato, effimero, affettivo” e “pubblico, ideologico, razionale” – che la trasmissione Bontà Loro di Maurizio Costanzo iniziò a scalfire – è definitivamente venuta giù in una confusione di foto di famiglia, gattini, improperi, piadine e barzellette. 
La comicità grossolana dei programmi delle reti Fininvest ha definitivamente invaso il repertorio televisivo e politico. 
La spettacolarizzazione della vittima – vera e, soprattutto, presunta – dai tempi della diretta tv di Emilio Fede (allora direttore di RAI 1) sul dramma di Alfredo Rampi è un dispositivo a cui tutti i politici ricorrono, appuntandosi costantemente al petto il bersaglio di un complotto ai loro danni. 
E per quanto riguarda l’efficacia del personal branding citeremo a proposito solo la decisione del partito Forza Italia di mantenere sulle schede elettorali delle recenti elezioni europee il nome del loro fondatore defunto. 

Per concludere, una piccola chiosa sul tempo che verrà. 
Le nuove tecnologie di comunicazione hanno permesso una comunicazione più emotiva, capillare, realistica. Diventerà sempre più complesso distinguere ciò che è vero da ciò che è artefatto e – come sostiene qualcuno – il rischio è che potremmo perdere interesse per questa distinzione. Non siamo ancora in grado di valutare l’impatto della GenAI, tuttavia le notizie false che hanno dato forza a movimenti complottisti non sono state prodotte con deepfake o foto ritoccate:  “i vaccini causano l’autismo”, “c’è una sostituzione etnica in corso”, “le elezioni sono state rubate”, “il cambiamento climatico è un mito”, sono tutte elaborazioni verbali. Al centro di questo processo c’è un bias cognitivo – un pregiudizio che avvalora quello che riteniamo possa essere vero – o un desiderio inconscio.  Ritengo che questa seconda coppia di termini sia più feconda per il futuro. 
Potremmo anche deridere gli slogan complottisti, incendiari, velenosi prodotti sui social network e amplificati da alcuni partiti (o viceversa) – le nanotecnologie presenti nei vaccini anti-Covid, i giornalisti asserviti alle Elite, la sostituzione etnica promossa da Soros, i vaffa populisti, i green pass sono uno strumento totalitario, i burocrati di Bruxelles vogliono distruggere l’Italia – ma in questa maniera non ci metteremmo nella condizione di comprendere il sintomo. Molte di queste fake news sono frutto di un processo consapevole di inquinamento informativo che proviene dalla Bestia di Morisi, dalla hybrid war del generale russo Gerasimov, dalla macchina complottista di Steve Bannon. Eppure a livello inconscio testimoniano l’esigenza di un reale cambiamento e si basano sulla struttura ingiusta del nostro sistema economico-sociale: le grandi case farmaceutiche non volevano avvelenare nessuno ma sicuramente il loro fine ultimo non era la salvaguardia della nostra vita (tantomeno di quella dei “poveri”), da Mani Pulite al Parlamento Europeo i politici non hanno brillato per integrità, la principale industria culturale in Italia è lottizzata e quindi è probabile che molti dirigenti siano molto attenti alle esigenze governative, le misure draconiane imposte dalla UE alla Grecia durante la crisi sono state deplorevoli.

Non sarà una comunicazione politica volta al mantenimento dello stato di cose presente quella che ci salverà da complottismo e disinformazione, ma una responsabile presa di coscienza del cambiamento necessario. Per citare i cartelli appesi ai balconi durante il periodo della pandemia: non andrà tutto bene se continuiamo a ripeterlo come un mantra ottimista senza muovere un dito per modificare la struttura sociale della società. Se non trasformiamo il sintomo, anche quando è imperfetto o manipolato, in un desiderio cosciente.
L’alternativa è difendere quello che abbiamo. E diventare come l’uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani e a ogni piano continua a ripetere per farsi coraggio fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene.

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