«Il comportamento biochimico degli alberi individuali può avere senso solo quando li vediamo come membri di una comunità». Queste parole sono della dottoressa Patricia Westworld, un personaggio de Il sussurro del mondo di Richard Power, la cui vittoria del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2019 è stata probabilmente l’apogeo della piccola età dell’oro che, ormai da qualche anno stanno vivendo eco-fiction, nature writing e saggistica di matrice naturalistica.
Dalla neurobiologia vegetale di Stefano Mancuso, al successo dei documentari narrati dalla voce di David Attenborough su Netflix, fino alla riscoperta della musica per piante di Mort Garson. La generazione millennial, sensibile all’ambiente, ma perlopiù urbanizzata e immersa nella tecnologia, trova un certo piacere a perdesi nelle storie in cui la natura è protagonista o ad apprendere nuovi studi e ricerche di settore, inevitabilmente sorprendenti per i non avvezzi. Figurarsi, poi, se tecnologia e natura si sovrappongono in un’unica metafora particolarmente suggestiva: il wood wide web, ovvero la rete sotterranea che connette il mondo vegetale, un’espressione coniata per la prima volta più di vent’anni fa e tornata molto in voga di recente.
La dottoressa Patricia Westworld di Richard Power è un personaggio fittizio solo di facciata, sono abbastanza evidenti molti tratti in comune con Suzanne Simard, oggi affermata biologa e professoressa di ecologia forestale, dottoranda nel 1997, quando pubblicò su Nature uno studio che ebbe molto clamore e portò nei titoli delle riviste di settore il wood wide web.
Prima però, alcune premesse. In questa faccenda hanno un ruolo i cosiddetti fiori fantasma. La Monotropa uniflora è una specie di piante che hanno perso la capacità di svolgere la fotosintesi, sono trasparenti e spettrali, oltreché particolarmente affascinanti e misteriose. Per questo hanno da sempre attirato l’attenzione dei botanici, tra cui Erik Björkman che nel 1960 riuscì a capire che la Monotropa riceve le sostanze necessarie per il suo sostentamento, non dalla fotosintesi, ma attraverso un rapporto molto particolare con i funghi micorrizici, altri protagonisti di rilievo in questa storia.
I funghi micorrizici sono noti per la loro capacità di tessere legami con l’apparato radicale delle piante, un rapporto simbiotico che perdura da centinaia di milioni di anni e che ha permesso alle piante di espandersi sulla terra ferma, quando l’evoluzione non le rendeva ancora in grado di ramificare autonomamente. Moltissime piante dipendono da questo tipo di legame mutualistico, nel quale la pianta fornisce zuccheri e carbonio in cambio di acqua, minerali.
Nel 1984 il biologo inglese David Read riuscì a dimostrare con certezza questo legame e scoprì inoltre che le ife del fungo potevano connettersi con la Monotorpa terza e consegnarle il carbonio ricevuto dalla pianta “donatrice”.
Suzanne Simard si spinse oltre, dimostrando, attraverso il diossido di carbonio radioattivo rintracciabile con delle radiografie, che questo legame esiste anche tra più piante verdi connesse allo stesso fungo. Non solo: nel momento in cui una delle piante veniva messa in ombra, limitandone dunque la fotosintesi, questa riceveva una maggiore quantità di carbonio dalla pianta donatrice. Questa scoperta intercettò l’entusiasmo crescente negli anni Novanta per la diffusione del world wide web su scala globale, per cui il paragone tra la rete micorrizica e internet fu garbatamente accolto dalla comunità scientifica, per indicare la complessità del sistema in questione.
Le reti micorriziche possono espandersi per decine di chilometri e trasportano anche azoto, fosforo, batteri, nutrienti e altri mediatori chimici.
La teoria dei grafi, la branca della matematica che studia le reti, è in espansione e centrale su infiniti fronti: epidemiologia, neuroscienze, economia, machine learning e intelligenza artificiale, sport, astronomia, la lista potrebbe durare all’infinito e comprende anche la micologia, in particolare per quel che riguarda “l’invarianza di scala”, una proprietà adattativa delle reti, che permette la diffusione di un determinato fattore al suo interno, nel modo più funzionale possibile, rendendo la rete in grado di ricalibrarsi facilmente a seguito di traumi o alterazioni.
A seguito delle intuizioni di Suzanne Simard, lo studio delle reti micorriziche ha fatto moltissimi passi in avanti negli anni a venire, portando all’evidenza empirica, alcune dinamiche sorprendenti, tra cui l’esistenza di veri e propri “alberi hub” che più degli altri svolgono un ruolo di nodi, consentendo alla rete di smistare con più velocità gli infochimici.
Oggi sappiamo anche che le reti micorriziche possono espandersi per decine di chilometri e che trasportano anche azoto, fosforo, batteri, nutrienti e altri mediatori chimici. Sappiamo che molto di frequente questo scambio avviene attraverso una dinamica source-sink, ovvero da piante più grandi – che hanno accesso maggiore alle risorse energetiche – verso piante più piccole, meno esposte alla luce e con un apparato reticolare sottosviluppato.
Se fosse davvero come internet, quindi, le piante verdi sarebbero le pagine web mentre i funghi i link ipertestuali, invece le piante micoeterotrofe – tra cui la Monotropa –, andrebbero considerate “hacker” che intercettano la rete micorrizica, traendone vantaggio abusivamente.
Grazie alla rete micorrizzica il gruppo di piante connesse cresce più velocemente, è più resiliente, e reagisce meglio ai fattori esterni, anche perché è in grado di sviluppare una Resistenza Sistemica Acquisita, una specie di sistema immunitario attraverso il quale una singola pianta attaccata da un parassita o da agenti nocivi, può trasmettere alle altre il segnale d’allarme e predisporle a sviluppare delle difese.
Sebbene i benefici siano evidenti, nel wood wide web non è tutto rose e fiori. Non è ancora del tutto chiaro, per esempio, quanto lo sviluppo di questo sistema sia basato su una condivisione disinteressata del bene comune, come si è teorizzato all’inizio delle ricerche. Nuovi studi stanno dimostrando quanto in realtà tutto tutto si regoli su un equilibrio di competizione e cooperazione. Attraverso il processo di “selezione parentale” le piante favoriscono i legami con specie simili, ai fini della propria prosperità ed evoluzione. Inoltre è stato dimostrato che all’interno della rete micorrizzica possano circolare anche sostanze nocive e virus che le piante si spediscono come in una specie di guerra chimica.
Se anche il wood wide web ha i suoi lati negativi, non poteva non avere anche un deep web. Quando si parla di rete micorrizica si tende spesso a sottovalutare il ruolo attivo dei funghi, considerati come dei trasmettitori pressoché ininfluenti per determinare il risultato del processo. In realtà, i funghi fanno molto più di così: possono influenzare la trasmissione di nutrienti o sostanze nocive in base ai propri interessi, intrecciano legami più solidi con chi fornisce maggiori quantità di carbonio: il fungo trae beneficio dalla sopravvivenza della pianta più grande e quindi è in grado di favorirne il flusso di sostanze. Questa visione micocentrica è esposta in maniera molto vigorosa da Merlin Sheldrake, micologo autore del caso editoriale L’ordine nascosto – la vita segreta dei funghi, nel quale si racconta anche di come i funghi creino delle reti parallele e indipendenti dalle piante, legando con foglie marcescenti e rami in decomposizione, che sono persino in grado di danneggiare le piante anziché favorirne il sostentamento.
Sulla stessa linea si pone il recente studio condotto da tre ricercatrici e microbiologhe dell’Università di Pisa e del CNR, che ha dimostrato come la rete fungina riesca a sopravvivere in maniera indipendente anche dopo che la pianta di riferimento è stata sradicata.
Probabilmente, suggerisce ancora Sheldrake, questa visione antropomorfa e romantica del wood wide web è stata suggestiva, ma in parte anche forviante e presto potrebbe essere smentita dalle nuove scoperte che faranno luce sui molti misteri di cui è ancora avvolta.
Attraverso gli ulteriori approfondimenti e sviluppi tecnologici in corso – per esempio, grazie all’utilizzo degli algoritmi, sono state mappate per la prima volta decine di chilometri di reti micorriziche nel mondo – potremmo arrivare a comprendere queste dinamiche andando oltre le concezioni umane di volontarietà, interazione, simbiosi, per come li conosciamo e magari apprendere che hanno riguardato anche noi per milioni di anni.