14.03.2025

Dov’è il nostro immaginario su Gaza?

Donald Trump ha trasformato la politica in uno spettacolo mediatico per dominare l'agenda. Come molti leader populisti produce una fantasia “colorata” di fronte a cui la resistenza indignata e “razionale” è inefficace. Come costruiamo un altro immaginario possibile?

Sapevamo sarebbe successo, sono bastati solo pochi giorni, un nuovo show del Presidente Trump davanti alle telecamere della Sala Ovale per relegare il video nello spazio degli scandali del passato. Una vaga memoria pronta al massimo ad essere riesumata in un prossimo dibattito personale o collettivo sui social.

Trump “funziona”

Ormai dovremmo averlo capito, Donald Trump è il maestro nell’arte dei governi e di tanta politica contemporanea intenta «a costruire quotidianamente una cortina fumogena alimentando la logica del clickbait, dar da mangiare alla belva dei media per saziarla, distrarla e tenerla quieta per evitare che azzanni», come ci spiega bene Andrea Natella. Siamo stati Trumpizzati

Per questo è meglio discuterne quando l’onda è passata. Per questo da anni siamo incastrati nel paradosso di questo meccanismo infernale: ogni nostra reazione, ogni nostra indignazione, ci pare rinforzare questo gioco diversivo, rafforza la capacità di questi figuri di dominare l’agenda e saturare la nostra possibilità di discutere ed immaginare.

Possiamo decidere di ignorare questo conflitto ma, io credo, se ci interessa dobbiamo scegliere lo stesso terreno di gioco, l’immaginario appunto

Immaginare, questa mi pare però una seconda posta in gioco di questa partita. Trump ha condiviso quel video perché, grazie alla spudoratezza sfarzosa e artefatta delle AI,  riesce in modo pacchiano a trasformare un’idea astratta in qualcosa di facilmente visibile e comprensibile. Seppur creata, o forse proprio perché realizzata con intento parodistico è una perfetta raffigurazione, estrema e iperbolica come sa essere la satira, di convinzioni, argomenti, progetti. È così che funziona l’immaginario. Certo, è irrispettoso e crudele, rimanda ad una proposta inattuabile e controproducente. Certo, è pacchiano e spudorato, riflette una visione del mondo fondata su ricchezza e idolatria, di benessere e cattivo gusto da villaggio Vacanze. Proprio per questo funziona. In fondo, è così che le classi dirigenti, il pezzo ultraricco del pianeta, ha conquistato i cuori e i portafogli di miliardi di persone.

Possiamo decidere di ignorare questo conflitto ma, io credo, se ci interessa dobbiamo scegliere lo stesso terreno di gioco, l’immaginario appunto. 
Per un bizzarro gioco delle coincidenze, proprio il giorno della pubblicazione del video, vengono acquistate delle pagine cartacee dei quotidiani La Repubblica e Il Manifesto per presentare un appello di “oltre 200 ebrei e intellettuali italiani”. Lo slogan “NO alla pulizia etnica” è scritto a caratteri cubitali in bianco su sfondo nero, senza altre immagini. E la differenza, nel medium, nello stile, nel linguaggio, con il video di Solo Avital e Ariel Vromen non potrebbe essere, come si dice in questi giorni, più plastica. Questo scarto in Italia la conosciamo bene, per anni si è tentato, invano, di opporsi al potere Berlusconiano resistendo, dicendo no. Si avversavano le sue proposte e  immagini, anche quelle così pacchiane e spudorate, con il raziocinio, la ragionevolezza, la misura.

Indignarsi e dire no?

Trump, come già l’ex-cavaliere, costruisce con continuità una strategia comunicativa, ogni elemento è coerente con una stessa narrazione. Una storia innestata nel linguaggio fantasmagorico della pubblicità, coerente con l’orizzonte valoriale dei consumi diffusi e del business ben rappresentato dai suoi spot e da Trump Gaza. La resistenza in bianco e nero non ha quella visione strategica e una colorazione morale altrettanto esplicita, non propone sogni o possibilità, solo negazioni. Per anni Alberto Abruzzese, in libri e interventi pubblici come Elogio del tempo nuovo e Tutto è Berlusconi, ci ha messo in guardia sull’inefficacia dell’opporsi al sogno delle merci e del nuovo miracolo italiano di Berlusconi attraverso prediche libresche e l’austerità della politica. Si è fallito.

I tempi son cambiati, come i media. Sembra si siano ora abbracciati i linguaggi e gli strumenti contemporanei. Negli ultimi anni sono fioccati tentativi di usare video generati dalle Intelligenze Artificiali per rispondere a quelli del Commander-in-chief. Eppure, a mio avviso, si fallisce ancora proprio nel modo di intendere lo strumento, nell’incapacità di giocare con l’immaginario.

Si vede con chiarezza la debolezza dell’immaginario delle forze pacifiste

C’è un video precedente in cui leader mondiali giocano o si spalmano crema solare in una mare rosso, lordato dal sangue delle stragi compiute in quel pezzo di terra. Confrontandoli oggi si vedono riproposte le stesse dicotomie, da una parte c’è la cupezza, lo sguardo verso il passato, il pessimismo del ricordo, dall’altro si offre un sogno, la proposta irrealistica e dis-utopica di un futuro di pace. Da una parte il sangue, dall’altra la gioia. Il raziocinio e la morale propendono per la prima, il desiderio e il godimento per la seconda. L’unica alternativa è ancora una fantasia triste, piena di sensi di colpa e ricerca dell’autenticità. Tutto un gioco in negativo dello svelamento. 

Il video di Sinistra Italiana creato in risposta a quello ripubblicato da Trump prova a giocare in quel terreno, vuole mostrare “un diverso futuro possibile”. Ma la risposta mi sembra ancora fiacca. Si vede con chiarezza la debolezza dell’immaginario delle forze pacifiste. Un progetto limitato alla costituzione di uno Stato, alla condivisione di gioco e spazi come semplice immagine della convivenza. La fantasia di Trump Gaza offre per lo meno edonismo e desiderio, (orripilante) pizza all’humus e relax, dall’altro c’è solo compresenza e, al massimo, studio.

Solo in parte mostra quale visione del mondo, quale “nuovo mondo” renderebbe plausibile, auspicabile, scontata una risoluzione del conflitto in Medio Oriente.  
Eppure abbiamo un grande vantaggio. Il sogno trumpiano è altrettanto fragile, non perché irrealistico ma perché, in fondo, è triste. Chi consuma sa o sta scoprendo quanto quei soggiorni in riviera da cui, in verità, siamo sempre più esclusi ed escluse siano, a parte forse le “donne barbute”, terribilmente noiosi.

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