12.06.2024

Luce da paura: la fotografia nei film di Dario Argento

Un articolo di Pietro Leonardi per Atmosfera Mag, dedicato al light design. Analizziamo la cultura visuale e l'uso innovativo della luce nei film di Dario Argento, maestro del cinema horror italiano.

Dario Argento non è un nome che ha bisogno di troppe presentazioni. Maestro indiscusso dell’horror, è uno dei registi che ha scritto la grammatica estetica del genere, e il suo cinema è stato in grado di scioccare più di una generazione di spettatori. Negli ultimi anni, alcuni suoi film sono stati oggetto di un rinnovato interesse anche grazie ai remaster in 4K effettuati su alcune pellicole, come Suspiria e Profondo Rosso, permettendone il ritorno in sala con immagini che possano restituirne appieno lo spessore visivo. 

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, prima di dedicarsi all’horror ha lavorato su generi che non sono sempre stati affrontati con una tale originalità nella storia del cinema italiano, come il giallo e il thriller. I suoi film sono stati fortemente influenzati, nel linguaggio, da uno stile tipicamente d’oltreoceano come quello di George Romero, e da quello di Mario Bava per quanto concerne il versante italiano. 

Dario Argento inizia la sua carriera come critico cinematografico poco più che ventenne, e nel 1967 inizia a dedicarsi alla sceneggiatura collaborando, tra gli altri, alla scrittura del film C’era una volta il West di Sergio Leone. 

Lo stile di Dario Argento e l’attenzione alla luce

L’esordio alla regia arriva nel 1970 con L’uccello dalle piume di cristallo, primo titolo della cosiddetta Trilogia degli animali. Fortemente debitore di Hitchcock, questo ciclo di film è caratterizzato da un’impostazione che appartiene al genere giallo: sceneggiature da un impianto narrativo logico, che ruotano attorno alla ricerca di un assassino che viene svelato alla fine del film. Questo ciclo di film si chiuderà con il cult Profondo Rosso, che segna un passaggio netto nella filmografia del regista, introducendo alcune caratteristiche dello stile marcato per cui è noto oggi.

Nonostante la fase della sua filmografia legata al thriller sia caratterizzata da un impianto prevalentemente logico, i film di Dario Argento “nascono per immagini e non per una concatenazione di storie”. 

Il mondo del regista romano può essere letto attraverso tre dimensioni: la tecnicala cinefilia e lo stile. Il primo aspetto viene esplorato dal regista in modo virtuoso: dedica un’attenzione privilegiata alla macchina da presa, utilizzata come mezzo espressivo. Ne risultano soluzioni innovative che gli danno la possibilità di dare libero sfogo alla creatività con movimenti originali e, spesso, di difficile realizzazione. La cinefilia è un altro aspetto altrettanto importante; in tutta la sua carriera, Argento ha reso omaggio ad alcuni dei suoi maestri, diretti come Sergio Leone e indiretti come Alfred Hitchcock. Lo stile di Dario Argento è l’aspetto che merita un maggiore approfondimento. Fin dai suoi primi film, è stata chiara una forte enfasi sulla visualità, e sull’intensità emotiva che le immagini possono veicolare. Nonostante la fase della sua filmografia legata al thriller sia caratterizzata da un impianto prevalentemente logico, i film di Dario Argento “nascono per immagini e non per una concatenazione di storie” (D. Argento, Profondo thrilling, 1994, p. 351).

La luce di Dario Argento: Suspiria e i colori di Luciano Tovoli

Profondo Rosso è un film che segna un punto di passaggio nella carriera del regista tanto quanto Suspiria del 1977 (oggetto di un remake recente diretto da Luca Guadagnino) in quanto nel primo vengono introdotti alcuni elementi che verranno definitivamente sviluppati nel secondo. 

Suspiria è il film in cui lo stile di Argento prende la sua forma definitiva, e in cui trova la sua consacrazione come creatore di mondi; a partire da quest’opera, le sue storie vedranno sempre il coinvolgimento di un elemento soprannaturale nella storia. Ispirato dal libro Suspiria De Profundis di Thomas De Quincey, il film è il primo della Trilogia delle tre madri, e verrà seguito da Inferno (1980) e La terza madre (2007). La trama ruota attorno all’arrivo della studentessa Susy Benner presso la prestigiosa Accademia di danza a Friburgo in Brisgovia. La giovane studentessa verrà a contatto con l’anima esoterica della scuola, ospitante una serie di riti di stregoneria.

Negli aspetti formali del film Argento ha avuto la possibilità di costruire un ambiente surreale, soprattutto grazie alla collaborazione con il direttore della fotografia Luciano Tovoli, che ebbe una serie di intuizioni tecniche; Tovoli (che aveva già collaborato in passato con Antonioni, regista che ritiene il colore altrettanto importante della costruzione dell’immagine), con Suspiria si trova alle prese per la prima volta nella sua carriera con il genere horror, e fa in modo che la sua expertise trovi uno sbocco nell’utilizzo non naturalistico delle luci e dei colori. Invece che utilizzare le diffuse gelatine colorate che garantivano un’illuminazione statica, Tovoli decise di filtrare la luce attraverso dei teli di velluto, in modo tale da far diffondere il colore più uniformemente. Luci e colori, in Suspiria, acquistano il ruolo di veicoli emozionali e narrativi. La componente cromatica e luminosa plasma la storia, accompagnando lo spettatore nell’inferno che vive la protagonista. 

La luce nel cinema di Dario Argento

La luce e il buio, nel cinema horror, sono due elementi che costruiscono un proprio linguaggio, costruendo un rapporto dialettico tra l’una e l’altro. La luce nel cinema di Argento può essere allo stesso tempo rivelazione, minaccia o incanto. In questo senso il regista ha contribuito alla grammatica del genere, rendendo l’elemento luminoso una rappresentazione del soprannaturale, facendo vedere qualcosa che, per sua natura, non può essere visto. A partire da Suspiria il cinema di Dario Argento si fa portatore di un utilizzo della luce quasi poetico.

La luce diventa un vero e proprio soggetto agente all’interno della storia. In Phenomena (1985), la protagonista Jennifer viene mandata dal padre in un collegio femminile a Zurigo, dove nella zona agisce un misterioso serial killer. La ragazza scopre, in questo periodo, di avere delle doti speciali: soffre di un sonnambulismo premonitore, ed è in grado di stabilire un contatto telepatico con gli insetti. 

Durante il corso del film, lo svelamento di questi poteri magici viene rappresentato tramite fasci di luce, veicoli di un potere di cui la protagonista non è completamente padrona. La luce diventa un dispositivo, l’elemento naturale che per primo può essere ricondotto alla magia della sala cinematografica, che, ricordiamo, altro non è che un fascio luminoso proiettato su un telo. 

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