30.04.2025

Perché la foto di Zelens’kyj e Trump a San Pietro è iconica (secondo mio papà)

Un’immagine imperfetta cattura un momento storico e misterioso. Diventa un’icona molto più degli scatti successivi, più studiati esteticamente. Quali sono i fattori che consentono a una foto di bucare e trascendere il tempo?

Come dopo l’attentato a Donald Trump in Pennsylvania del 13 luglio 2024, allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti, anche nella giornata di ieri (26 aprile 2025) durante i funerali di Papa Francesco è nata una nuova icona della storia contemporanea. Si tratta dell’immagine dell’incontro avvenuto tra Zelensky (presidente ucraino) e Trump (ora presidente USA) improvvisato in una navata della Basilica di San Pietro poco prima della cerimonia funebre, in cui si vedono i due leader politici seduti su due sedie recuperate all’ultimo, da soli, che si confrontano a pochi centimetri di distanza.  

Nei fiumi di commenti online sui social, come già accadde per le immagini dell’attentato, c’è chi ha tirato in ballo subito l’intelligenza artificiale, chi ha trovato fuori luogo, persino blasfemo, il comportamento dei due presidenti, chi ha visto compiersi un miracolo. 

A parlarmi per primo di questo evento e della fotografia che lo ritrae è stato mio papà, che nella vita fa tutt’altro che occuparsi di immagine ma che ha immediatamente utilizzato il termine “iconica” quando mi ha raccontato per filo e per segno le sue impressioni. Per questo motivo ho deciso di fare affidamento sui suoi occhi per capire meglio il fenomeno legato a questa immagine. Cavalcando la sua emozione visibile di fronte alla fotografia dell’incontro storico, ho fatto dunque direttamente a lui alcune domande per captare meglio i criteri a cui si è affidato per giudicare l’immagine di Trump e Zelenski una fotografia iconica.

Io: È questa la foto di cui mi parlavi prima?

Papà: Sì, quella.

Io: Però Trump non si vede bene in viso.

Papà:  Si vedono loro due, è iconica per quello. 

Io: Però ci sono altre immagini in cui si vedono meglio entrambi mentre parlano.

Papà: Quella che ti dico io però è stata la prima, arrivata in esclusiva in diretta tv durante i funerali. Poi sono arrivate tutte le altre. Questa poi è più rubata, si vede che non c’è stato il tempo di cercare l’inquadratura, si vede l’attimo.

Io: Non può sembrare che venga data più importanza a Zelensky, dato che si vede in viso soltanto lui?

Papà: Ma in verità è il momento in quella foto, non tanto Zelensky o Trump. È stato emozionante perché è stato tutto improvvisato poco prima dei funerali. Ѐ iconico il loro faccia a faccia organizzato all’ultimo senza nessuno attorno, una cosa mai successa prima. In effetti non l’hanno pubblicata subito la foto perché avranno dovuto chiedere tutte le autorizzazioni del caso. Infatti non arrivava mai, durante la diretta.

Io: Ma è iconica perché è fatta così o perché è stata la prima, secondo te?

Papà: Perché è la prima. Le altre si vede che sono ricercate.

Io: C’è anche il video che racconta lo stesso momento, ma non ha la stessa resa, vero?

Papà: La foto è quel momento lì, proprio quel momento lì in cui li vedi faccia a faccia senza nessuno attorno dentro la Basilica di San Pietro, sembra quasi l’apoteosi di Francesco, in molti lo hanno già detto. 

Io: Infatti non mi sembra un discorso legato alla qualità del video o dell’immagine, la differenza è dovuta ad altro. 

Papà: Ѐ stato un momento inimmaginabile fino a qualche giorno prima, forse fino a qualche ora prima, dato che Zelensky è anche arrivato all’ultimo. Il video non mi ha colpito, mentre la foto tantissimo. Anche l’attesa della foto ha aumentato l’emozione, perché non arrivava mai ed era stata già annunciata in televisione come immagine iconica di un grande momento storico.

Ecco il breve scambio. Ed ecco dispiegati gli elementi che rendono iconica l’immagine: essere stata la prima, essere stata tanto attesa, essere stata colta senza studio estetico preliminare, ed essere in grado di racchiudere un grande momento storico in un unico scatto, più potente dell’intero video della vicenda

In effetti, la diretta televisiva ha avuto il grande ruolo di dipanare da subito ogni dubbio circa l’autenticità della fotografia: molto difficile che possa essere stata manipolata con l’intelligenza artificiale, soprattutto avendo anche un video testimoniale della stessa scena.

Cosa significa “originale” dopo il taglio e la viralità?

Ora, ripensiamo alle immagini dell’attentato: composte in maniera impeccabile, cariche di elementi simbolici (la bandiera, il pugno alzato, la scia del proiettile), e ragionate, seppur in fretta, in modo da toccare il nervo estetico dello spettatore. Qui, invece, siamo al contrario di fronte a un’immagine che contiene evidenti sporcature, tra cui quella di non lasciar vedere il volto di Trump mentre parla con Zelensky. Ma questo, come dice mio papà, non ha alcuna rilevanza: ci dobbiamo mettere nei panni del fotogiornalista che, in quel momento esatto, lì dov’era, ha scattato la fotografia (“forse addirittura con un Iphone”, aggiunge mio padre). Il fotografo non poteva fare altrimenti, ma ha restituito comunque, prima di tutti gli altri, il culmine visivo di un miracolo. Non la qualità, non l’inquadratura, dunque. A fare di un’immagine un’icona a volte sono il tempismo e gli errori formali che contiene. Ricordiamo le immagini sfocatissime dello sbarco in Normandia di Robert Capa: il momento va raccontato, o spesso non può non essere raccontato, senza patinature di sorta.

Tra la narrazione di un evento e un suo riassunto fulmineo l’uomo si emoziona di fronte alla sintesi. Quasi cercasse uno spazio per se stesso anche negli episodi storici di più vasta portata, e desiderasse immaginarseli da solo.

Questo secondo episodio, nell’arco di poco meno di un anno, della nascita di un’altra icona della storia contemporanea racconta molto di quanto l’essere umano abbia bisogno di raffigurazioni del proprio tempo, e quanto ancora senta l’esigenza che siano ferme e bidimensionali. La differenza tra la fotografia e il video di cui ho parlato brevemente con mio papà è infatti molto curiosa: tra la narrazione di un evento e un suo riassunto fulmineo l’uomo si emoziona di fronte alla sintesi. Quasi cercasse uno spazio per se stesso anche negli episodi storici di più vasta portata, e desiderasse immaginarseli da solo, completarli a proprio piacimento. I volti dei due attori principali della vicenda non sembrano neanche del tutto fondamentali nel caso di Trump e Zelensky a San Pietro: l’attimo sembra trascendere i visi fisici di chi lo sta facendo accadere. In un’icona non dobbiamo per forza vedere tutto chiaramente.

Cercando sul web le immagini della vicenda, già oggi compaiono più facilmente quelle in cui si vedono in viso entrambi i politici, mentre con uguale fatica si cerca invano il nome degli autori delle immagini. A differenza delle fotografie dell’attentato a Trump, qui non vi è alcun artefice specifico dietro la genesi dell’icona, bensì solamente l’agenzia che ne detiene i diritti, l’afp agency, nota agenzia di stampa francese.

Addirittura, sul sito di Rai news, l’immagine di cui parlo con mio padre compare in quello che sembra il suo formato originario, ovvero verticale, nel tipico taglio da telefonino. A una prima ricerca, mi pare sia l’unico sito che mostri l’immagine in questo formato, mentre tutti gli altri, così come nella proiezione televisiva della diretta, hanno preferito presentarla in orizzontale, in modo da far emergere più nitidamente la scena a discapito dell’austerità barocca che la sovrasta. Anche questa è una scelta autoriale, sebbene non si sappia bene di chi. Tagliare un’immagine significa spesso alterarne irrimediabilmente il messaggio.

Di chi è dunque l’immagine che mio papà ha decretato essere l’icona assoluta dell’incontro tra Trump e Zelensky? Chi l’ha scattata o chi ne ha deciso il taglio? (A questo proposito mi viene in mente che Gianni Berengo Gardin, ancora un paio di anni fa – e dunque all’età di 92 anni – fece causa a una rivista che si permise senza dirglielo di pubblicare un suo scatto tagliato). 

Un’icona maneggiata, questa. Non prima, con l’AI, ma dopo, nella scelta del taglio, in un editing allo stesso tempo brutale e funzionale agli scopi mediatici.

La grammatica dell’icona: isolamento, vuoto e narrazione

Lo smartphone, imponendo istintivamente la verticalità alle immagini, difficilmente può diventare vero strumento per generare icone? Ci hanno messo tra le mani un giocattolo col quale intrattenerci, vendendo pixel in più e lenti sofisticate come significanti di immagini qualitativamente migliori, senza insegnarci l’importanza di girare il telefono quando serve? Non è una banalità questa. Esistono naturalmente immagini verticali divenute iconiche (il bacio a Times Square V-J Day in Times Square di Eisenstaedt, i ritratti storici di Malcolm X o Stalin rispettivamente di Eve Arnold e Margaret Bourke-White, la Migrant Mother di Dorothea Lange) ma è vero anche che la stragrande maggioranza delle immagini di reportage divenute famose sono orizzontali, ovvero il formato imposto, al contrario dello smartphone, dalle macchine fotografiche più utilizzate per il reportage, nato sostanzialmente con l’avvento della Leica e con la pellicola 35mm, nel 1926.  

V-J Day in Times Square
Ph. Alfred Eisenstaedt (1945)
Malcolm X
Ph. Eve Arnold (1962)
Migrant Mother
Ph. Dorothea Lange (1936)

Ieri al telegiornale hanno parlato ancora dell’incontro tra Zelensky e Trump avvenuto ieri a San Pietro. L’immagine a cui adesso i media fanno maggior riferimento è quella in cui si vedono i due presidenti da un angolo più laterale che permette di vederli meglio entrambi in viso (anche questa, si badi, a quanto pare tagliata da un formato verticale). In questa immagine, che pure da un punto di vista narrativo offre un’equità maggiore agli attori della vicenda, crollano però gli assiomi riassunti da mio padre per renderla davvero iconica: non è la prima a essere stata scattata (come già sappiamo) e, soprattutto, i due leader non sono soli, caratteristica trainante per l’effetto iconico della prima immagine. Si vede infatti un cardinale sistemare ancora le sedie sullo sfondo, a fuoco tanto quanto i due protagonisti in primo piano (sintomo di un’immagine scattata con lo smartphone, con ogni probabilità) e dunque senza neanche quel minimo di separazione che la tecnica fotografica potrebbe garantire tra i piani dell’inquadratura.

Se l’icona può rinunciare alla nitidezza e a un’estetica studiata, non può comunque contenere dettagli superflui

Questa immagine, che dà la stessa importanza alla persona che sistema le sedie e ai due presidenti che stanno discutendo della possibile fine della guerra che sta straziando l’Ucraina, non contiene la grammatica dell’icona, ma semmai soltanto quella del documento informativo. Se l’icona può rinunciare alla nitidezza e a un’estetica studiata, non può comunque contenere dettagli superflui. È nell’isolamento dei soggetti principali, nel vuoto attorno a loro che si gioca la tensione verso l’assoluto iconico di una fotografia e l’efficacia del suo racconto. A proiettare nel futuro uno scatto pare così essere la libertà che ci concede di immaginare (senza per forza mostrare). Immaginiamo l’urgenza dei due leader di parlarsi, lo spaesamento degli astanti di fronte alla loro scelta improvvisa, gli ambienti monumentali della Basilica diventare la scenografia di un colloquio storico prima di trasformarsi in quella ufficiale del funerale di un Papa.

Nell’arco di poche ore queste immagini sono diventate non soltanto oggetto di dibattito, ma anche veri e propri meme. Tutte sono state trasformate in vignette ironiche tranne, almeno fino ad ora, quella premiata da mio papà, la prima. Sembrano proprio la sporcatura di un’inquadratura rubata all’attimo e il potere allusivo di un’immagine meno chiara rispetto alle altre a rendere questo scatto meno appetibile per essere trasformato in meme, che ha invece bisogno di situazioni, gesti ed espressioni quanto più riconoscibili per arrivare con immediatezza. Uno degli elementi dell’icona è anche una scarsa predisposizione a diventare meme? Potrebbe essere uno dei criteri di valutazione. Per tutti gli altri rimando a quanto ha detto mio papà, e sottoscrivo.

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