A distanza di un anno e mezzo dalla morte del Maestro giapponese, il 6 settembre Romaeuropa Festival omaggerà il compositore sul palco dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone con un concerto della prestigiosa Brussels Philharmonic guidata da Dirk Brossé, che ripercorrerà le composizioni più significative della poetica di Sakamoto.
Una volta, mentre camminava per le strade di Barcellona, Sakamoto sentì le sirene di una pattuglia di polizia; sirene con un suono unico, completamente diverso da quelle di altri paesi. Ed ecco come un suono banale viene immediatamente filtrato dal suo intuito visionario: tira fuori il telefono e lo registra. Chissà cosa ne avrà fatto, ma probabilmente lo abbiamo sentito rimodulato magicamente in qualche sua opera, trasformato in una sinestesia dal profondo impatto emotivo.“Non ho un metodo o criterio particolare per cercare i suoni”, spiega in un’intervista al BFI nel 2018, in occasione della presentazione del film documentario sulla sua vita, Coda di Stephen Nomura Schible. “Potrei dire che vado caccia di suoni interessanti, ma la verità è che nella maggior parte dei casi sono loro a venire da me. È come andare a pesca: se non cogli il momento giusto, il suono se ne va. Hai bisogno di intuito e riflessi molto veloci”
“Puoi trovare l’ispirazione ovunque tu vada” ha infatti sempre sostenuto – e lo ripete anche in questa intervista del 2016. Ad esempio, pensate alle nuvole. Le guardiamo ogni giorno (o quasi), ma quante volte, guardandole, pensiamo a quale sarebbe la colonna sonora perfetta per accompagnarne il passaggio? Ecco, la spontaneità e l’università della musica di Sakamoto derivano proprio dal fatto che nasce da semplici situazioni quotidiane. “Perché è in quei momenti che dobbiamo liberare la nostra mente, e aprirci al potenziale dell’ispirazione”
L’arte nel limbo tra vita e morte
Un modus operandi intuitivo e immediato che l’autore stesso ha definito “a zig-zag”; pensiamo alla house di Heartbeat del ‘91, poi l’hip-hop, poi il classicissimo trio di piano, poi l’orchestra, e poi all’elettronica che entra in scena nel 2001 dopo l’incontro con Alva Noto. Ma se dovessimo individuare un fil rouge che scorre lungo l’eclettica e prolifica produzione musicale di Sakamoto, sarebbe la curiosità. Una curiosità totalizzante e genuina, aperta ad accogliere ciò che arriva con autentico stupore, portandolo a essere attratto dai suoni apparentemente più banali, per trasformarli in capolavori attraverso la sua visione, invece, tutt’altro che banale
E possiamo aggiungerne anche un altro di fil rouge, che alla fine è intrinsecamente legato al primo: la trasformazione. Questo riguarda soprattutto la sua produzione di colonne sonore per opere cinematografiche, tra cui si annoverano più di 30 film e svariate serie TV – come Wild Palms: Main Theme (2:31) per Wild Palms (1993) e Yae No Sakura: Opening Theme (3:02) per Yae No Sakura (2013), in programma per l’evento del 6 settembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma –, ciascuna delle quali, a proprio modo, ha parlato di cambiamento, con gli slittamenti, le liberazioni e le perdite che comporta.
E anche l’esperienza di Sakamoto col cancro ha molto a che fare con questo: “Quando si pensa alla morte, ognuno ha una propria interpretazione. Ma alla fine si tratta di qualcosa di magnifico ed emotivo allo stesso tempo. Quando creo la mia musica, penso a entrambi questi concetti e cerco di incorporarli. […] Stare sul limbo tra la vita e la morte mi ha permesso di riflettere sul vero significato di questi due stati, condizionando profondamente l’arte e le emozioni che trasmetto” – dichiarò in questa intervista del 2016.
Sakamoto, infatti, vede la colonna sonora di un film come un elemento strettamente ancorato a quell’opera, e che appartiene solo ed esclusivamente all’oggetto artistico insieme al quale è stato creato
Amante di ogni forma di arte – tranne, a quanto pare, le musiche hawaiane e il country occidentale –, per lui il regista e il musicista hanno una cosa in comune: costruire qualcosa nel tempo, che sta nel tempo – e, attenzione, non intende che deve essere necessariamente cronologica e lineare, ma semplicemente che ha a che fare col tempo. “Quando creo una colonna sonora, non prendo ispirazioni delle immagini del film, dalla fantasia del regista o dalla trama, ma dai movimenti di regia, i personaggi, gli oggetti, i dettagli, i paesaggi e i suoni di ambiente. Per come sono composti, creano già un’opera musicale per me”
Sakamoto, infatti, vede la colonna sonora di un film come un elemento strettamente ancorato a quell’opera, e che appartiene solo ed esclusivamente all’oggetto artistico insieme al quale è stato creato, ancorandosi in modo simbiotico e bidirezionale alle immagini, alla storia, al messaggio che si vuole trasmettere in quel preciso momento della narrazione. Lontana anni luce, dunque, dall’essere un mero sottofondo secondario e interscambiabile, la soundrack per Sakamoto non deve neanche essere concepita come qualcosa di estrapolabile, come un’entità a sé: il film è (anche) la sua colonna sonora, e viceversa, senza soluzione di continuità.
Di questa visione sono emblematiche due tracce della colonna sonora de L’ultimo imperatore (1987) di Bernardo Bertolucci, col quale Sakamoto vinse un Oscar, The Last Emperor: Endroll (8:02) e The Last Emperor: Rain (4:16), che verranno interpretate dalla Brussels Philharmonic a Roma. Qui, le musiche assecondano la fluidità della trasformazione del destino dei personaggi, facendo collidere le sonorità di strumenti popolari cinesi – come guzheng, pipa e flauto –, che mostrano le tradizioni della vita di palazzo, e musica sinfonica occidentale, la cui magnificenza porta con sé un inevitabile senso di precarietà che fa emergere la turbolenza della situazione e del fato che incombe sul protagonista.
Sempre con Bertolucci, Sakamoto lavorò alla soundrack di Tè nel deserto (1990), di cui la Brussels Philharmonic suonerà The Sheltering Sky: Main Theme (6:26), una delle opere più travolgenti e immersive del compositore giapponese, con una melodia languida, onirica e sospesa, che sale e scende ineffabile, come le vellutate dune del deserto del Sahara che fanno da paesaggio-personaggio cruciale e i drammatici moti emotivi dei protagonisti, segnati da un tragico destino.
Chiude la trilogia che l’orchestra dedicherà al regista italiano Little Buddha: Acceptance (8:49) da Piccolo Buddha (1993), 9 minuti in cui Catherine Bott intona i testi del Sutra del Cuore del Prajñāpāramitā in sanscrito su una texture di archi struggenti e teneri allo stesso tempo, intersecando sonorità tradizionali indiane con l’orchestra occidentale per disvelare la lettura trascendentale e spirituale del finale del film.
Facciamo un salto temporale indietro di 10 anni e troviamo Sakamoto al lavoro alla sua prima colonna sonora. Si tratta del film Furyo (1983) del regista giapponese Nagisa Oshima, con protagonista David Bowie nei panni di un ufficiale neozelandese che arriva in un campo di prigionia giapponese per soldati inglesi e fa scoppiare le già vacillanti tensioni psicologiche, emotive e sessuali. La traccia Merry Christmas Mr. Lawrence: Main Theme (6:02), che verrà suonata dalla Brussels Philharmonic a Roma, è ormai uno dei pezzi immancabili nelle celebrazioni natalizie in Giappone e negli Stati Uniti. E non è un caso. Questa ballata malinconica trasmette alla perfezione i temi cardine del film, che poi sono anche quelli del Natale – solitudine, nostalgia, desiderio, amore proibito –, e lo fa attraverso un mix di sintetizzatori, orchestra e strumenti tradizionali giapponesi, accompagnati da testi che prendono forma proprio sul sottile confine tra gioia e dolore, speranza e delusione
La successiva collaborazione di Sakamoto con un regista giapponese presente nel programma dell’evento è Hara-Kiri (Ichimei): Small Hope (5:00) per Death of a Samurai (2011) di Takashi Miike. Remake della pietra miliare di Kobayashi, presenta un’accuratissima rappresentazione pittorica e scenografica del Giappone rurale del 1600, che il pubblico è portato a contemplare proprio dalla colonna sonora di Sakamoto, capace di trasmettere tanto la bellezza quanto la furia della tensione e della violenza in atto
Il cinema degli anni ‘90 e oltre
Torniamo negli anni ‘90 per cambiare radicalmente mood con Tacchi a Spillo (1991) di Pedro Almodóvar, di cui la Brussels Philharmonic suonerà High Heels (Tacones Lejanos): Main Theme (3:08). Scandito dal suono dei tacchi e ricordato (anche) per l’iconica scena del lip-synch di Miguel Bosé sulle note pop di Un año de amor di Luz Casal, il film presenta un contributo di Sakamoto che non fu apprezzato dal regista, il quale ne rigettò quasi il 40%, e neanche dal compositore stesso, che dichiarò con estrema umiltà ai media spagnoli di non essere riuscito a cogliere lo spirito della cultura del Paese e il melodramma madre-figlia alla Stella Dallas (1937) e Mildred Pierce (1945) che Almodóvar voleva restituire, avendo inoltre come reference musicale Becky del Páramo. Tuttavia, si tratta di una delle tracce più d’impatto di Sakamoto, e che le orchestre suonano con grande trasporto, come potremo sentire a Roma.
La dissonanza tra i suoni caotici della folla, delle slot machine e della tempesta tropicale che imperversa fuori dal claustrofobico casinò e l’impostazione classica e minacciosa della musica di Sakamoto, che fa da ancora morale al film
Più stimolante e coerente la collaborazione col regista statunitense Brian de Palma, di cui la Brussels Philharmonic suonerà prima l’audace, bold e assertivo Snake Eyes: Theme (5:26) di Omicidio in diretta (1998), pezzo ipnotizzante che richiama le musiche di Bernard Herrmann per Vertigo di Hitchcock – modello principale del regista – e che ha diviso molto pubblico e critica. C’è stato chi l’ha trovato inappropriato rispetto al film, e chi invece l’ha amato proprio per la dissonanza tra i suoni caotici della folla, delle slot machine e della tempesta tropicale che imperversa fuori dal claustrofobico casinò e l’impostazione classica e minacciosa della musica di Sakamoto, che fa da ancora morale al film . Senza dubbio, ne vale la pena anche solo per l’impagabile scena di un esuberante Nicolas Cage che si dimena gridando sulle note di Sakamoto, regalandoci un accostamento decisamente postmoderno.
Sakamoto si riunirà con de Palma per Femme Fatale (2002), di cui la Brussels Philharmonic suonerà Femme Fatale: Bolerisch (6:11), realizzando una colonna sonora sensuale e misteriosa che rispecchia perfettamente i temi di inganno, menzogna e seduzione del film attraverso l’unione di elementi orchestrali ed elettronici che creano una sinfonia visiva immersiva ed enigmatica. Anche il patchwork di Sakamoto, infatti, è un collage raffinatissimo di sagaci furti e celati riferimenti, tra cui il tema di Ultimo tango a Parigi firmato da Gato Barbieri e le Gymnopédies di Erik Satie.
Chiudiamo questo excursus con la sorprendente collaborazione tra Sakamoto e Alejandro González Iñárritu a partire da Babel, di cui il compositore giapponese firma solo alcune tracce, tra le quali ricordiamo qui Babel: Bibo No Aozora (6:28). La colonna sonora propulsiva di Gustavo Santaolalla (che si è meritata l’Oscar) tiene insieme i diversi livelli narrativi del film, intessendo un variopinto arazzo umano che culmina nella calda e straziante chiusura di Sakamoto. Ma l’apice di questo duo creativo viene raggiunto con The Revenant: Main Theme (3:07) per The Revenant (2015), con la collaborazione di Alva Noto e il contributo di Bryce Dessner dei The National. Film minimale e astratto, struggente e potente, si regge sulla colonna sonora, fatta di stratificazioni ambient e pause che bucano lo stomaco, in cui le composizioni di Sakamoto, le manipolazioni elettroniche del compositore tedesco e le aggiunte strumentali del musicista statunitense si fondono senza soluzione di continuità, restituendo un’armonia che ha davvero del magico.
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