30.07.2024

La gentrificazione sta rendendo le città esteticamente tutte uguali?

Le città stanno perdendo la loro unicità a causa della globalizzazione e della standardizzazione urbanistica. Questo fenomeno è amplificato dalla tecnologia moderna e dalla gentrificazione e trasforma i paesaggi urbani e le esperienze umane.

Le città stanno perdendo la loro unicità a causa della globalizzazione e della standardizzazione urbanistica. Questo fenomeno è amplificato dalla tecnologia moderna e dalla gentrificazione e trasforma i paesaggi urbani e le esperienze umane.
Immaginiamo un uomo che attraversa diverse metropoli: comincerebbe a notare che gli skyline sono quasi sovrapponibili. Girando per le vie osserverebbe poi che le case sono molto simili, perfino nell’arredamento, come del resto i locali che condividono le stesse caratteristiche: pizzerie tradizionali, caffetterie hipster, negozi monomarca con lo stesso impianto, uffici di startup e spazi di co-working. Soffermandosi poi sulle persone potrebbe arrivare a notare canoni estetici fin troppo uguali.


Alla fine del viaggio tornando a casa l’uomo guardandosi allo specchio potrebbe ritrovare su sé stesso i segni della stessa omogeneità. Questo non è un racconto distopico, è la nostra realtà che sta andando incontro a una vuota omogeneità. Nel mondo di oggi, la ricerca di un’originalità più autentica è necessaria quanto difficile, perché la società post-moderna e post-globalizzata si sta appiattendo. Negli ultimi decenni, è diventato sempre più evidente come molte città nel mondo stiano assumendo un aspetto sempre più simile da un punto di vista urbanistico Quello che una volta era un paesaggio urbano unico e caratteristico sta diventando sempre più omogeneo, con edifici e infrastrutture che sembrano quasi copiati e incollati da una città all’altra.

Una delle spiegazioni principali di questo fenomeno è la globalizzazione. Con l’aumento dei flussi di capitali, delle comunicazioni e dei trasporti, le idee e le tendenze viaggiano in tutto il mondo a una velocità mai vista prima. I modelli urbani considerati di successo si diffondono rapidamente e diventano un punto di riferimento per molte città, indipendentemente dal loro contesto culturale e geografico. Ciò porta a una sorta di “standardizzazione” delle pratiche urbanistiche, con la riproduzione di schemi e soluzioni simili in molti posti.


Basta pensare alle progettazioni tutte uguali delle case che vengono messe in vendita prima che siano edificate: vedendo le planimetrie è chiaro come siano plasmate dagli stessi dettami dell’interior design con il finto parquet, il divano a due posti e la pianta all’angolo. Cambi quartiere ma le case e i complessi condominiali si assomigliano terribilmente, dentro e fuori. Un altro fattore che contribuisce a questa uniformità è l’omogeneizzazione delle normative e delle regolamentazioni urbane. Le città spesso adottano linee guida e regolamenti simili per garantire la sicurezza, la sostenibilità e la funzionalità degli edifici e delle infrastrutture. Questo porta a una certa uniformità nella pianificazione urbana e nella scelta dei materiali, con una conseguente somiglianza visiva tra le città.


Anche questa volta ce la possiamo prendere con il capitalismo, i nostri luoghi diventano il frutto della visione di pochi, più i prezzi salgono, meno gruppi ci sono che contribuiscono a dare forma alle nostre città e ai nostri paesi. Da non sottovalutare anche l’impatto delle tecnologie moderne. L’ingegneria civile avanzata e le nuove tecnologie di costruzione permettono di erigere edifici e infrastrutture con una velocità e una facilità senza precedenti. Le città stanno iniziando però a perdere le loro identità contestuali, un processo cominciato con McDonald’s e Starbucks e che si è esteso ad ogni settore. Non solo le multinazionali omologano le città ma anche gli stessi quartieri. A Milano, a ondate e quindi sulla base delle tendenze del marketing culinario, c’è un poké (prima vennero i sushi, poi le patatine fritte e il pollo fritto) ad ogni angolo.


La gentrificazione sta poi privando le comunità locali della loro autenticità e frammentando il tessuto sociale. Come fenomeno rappresenta un processo inquietante che coinvolge spesso le zone periferiche che vengono trasformate in zone alla moda destinate alle persone benestanti. La questione paradossale è che l’aumento dei prezzi delle proprietà immobiliari, comporta un allontanamento delle classi popolari che mina l’identità socio-culturale dei quartieri.
I canoni estetici sono sempre più stringenti e le persone sempre più simili, incapaci di accettare difetti e canoni diversi da quelli dominanti. Gli interventi estetici – a prezzi più abbordabili rispetto al passato – contribuiscono a rendere le persone sempre più somiglianti tra loro.
Gli influencer, con la loro presenza sui social media e il loro seguito di persone, sono in grado di promuovere consapevolmente, o inconsapevolmente, determinati ideali estetici e di bellezza. Spesso, sono i primi a sottoporsi a rilevanti interventi di chirurgia estetica per raggiungere o mantenere un aspetto ritenuto desiderabile. 


Essere dei soggetti “instagrammabili” non passa solo dall’estetica personale ma anche da quella circostanziale, preset di filtri, pose, un certo tipo di interazione con il pubblico.
Chiaramente non sono tutti così ma domina un certo tipo di modello. Una giornalista di Vox ha parlato di “Instagram face”: un pelle giovane, ovviamente priva di pori, zigomi alti, occhi felini con lunghe ciglia da cartone animato, naso piccolo e labbra carnose e sensuali. Ma non è solo questione di filler e punture, a contribuire a ciò c’è anche l’ascesa di app di fotoritocco come FaceTune e tecniche di trucco come “strobing” e “contouring” pronte a correggere difetti o semplici elementi divergenti “dal canone”. Perfino le app hanno le stesse peculiarità, come Instagram che ingloba qualsiasi feature che funziona: storie, reel, gif. È così che le app finiscono per somigliarsi tanto che stare su Facebook, TikTok o Instagram non è così differente, puoi comunque fare video, storie, foto e chattare. Bereal prova a differenziarsi e infatti non se la cava benissimo. L’app francese – che vorrebbe da tempo entrare nell’olimpo dei social – è arrivata a includere la possibilità di postare più foto se la prima viene pubblicata entro i canonici 2 minuti.

L’AI generativa ha peggiorato la situazione perché produce materiale in serie sulla base degli input umani.
La suite di strumenti che vanno da ChatGPT a DALL-E  e Stable Diffusion sono in grado di scrivere un intero saggio o realizzare un portfolio completo di opere d’arte in pochi secondi, ciò porta, inevitabilmente, a un’omogeneizzazione dei contenuti che massacra l’unicità.

Perfino i film, le serie, i libri e i videogiochi hanno iniziato a sembrare tutti uguali, soprattutto esteticamente, perché ci si accoda a un trend. Ad esempio, dopo l’uscita della saga dell’Amica geniale gli scaffali delle librerie pullulavano di titoli dove tutti erano geniali. Le somiglianze tra le copertine, o le locandine di film o videogiochi potrebbero essere dovute al fattore algoritmo perché portano a una maggiore probabilità di attrarre chi ha acquistato un prodotto simile.

Ma è colpa anche del blanding, il modello copia-incolla dello sviluppo dei prodotti di consumo e del marketing di un marchio che, seguendo schemi ripetitivi in ​​nome della modernità, va a scapito dell’autenticità e dell’originalità.

Le pubblicità non sono da meno, basta pensare a quelle dei profumi quasi sempre seduttive e con lo stesso tipo di fotografia. Qualcuno ha cominciato a parlare dell’“effetto moodboard”, non a caso, aprendo i siti e i portfolio delle agenzie di pubblicità non si nota così tanto scarto tra uno e l’altro.

I designer utilizzano le stesse piattaforme online, traggono ispirazione dagli stessi tipi di immagini e, a loro volta, tendono a creare sostanzialmente gli stessi tipi di contenuto. Basta osservare i loghi di Twitter, pardon X, Bereal, TikTok, Uber, Threads tutti molto simili nel design e nella palette con dominante nera. L’omogeneizzazione è una caratteristica tipica del late stage capitalism, specialmente se applicata ai consumi perché è una strategia comune per raggiungere economie di scala e massimizzare i profitti. Ciò comporta la diffusione di marchi globali e la standardizzazione delle abitudini di consumo, creando una “cultura del consumo” uniforme in diverse parti del mondo.

I più importanti filosofi del Novecento hanno dibattuto a lungo e con lungimiranza sull’importanza dell’unicità. Ad esempio Foucault sosteneva che le differenze tra gli individui, sia culturali che di pensiero, svolgono un ruolo cruciale nel plasmare la nostra esperienza umana. La diversità ci permette di esplorare nuovi orizzonti, di imparare dagli altri e di crescere come individui e come collettività.

L’appiattimento dell’estetica delle nostre vite digitali e fisiche rischia di impattare la nostra umanità, solo attraverso il pensiero critico e la consapevolezza possiamo impedire che la realtà scompaia e venga sostituita da una sua ridicola caricatura.

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