“Come arredare uno scaffale in stile massimalista” recita uno dei viralissimi video del duo @joshandmattdesign, come si fanno chiamare su TikTok, che accolgono i loro follower in una casa da sogno piena di mobili dalle forme assurde, tappeti coloratissimi e cuscini fatti a mano.
Fan dell’arredamento scandinavo, dei look neutri e delle colazioni instagrammabili, c’è una brutta notizia per voi: l’epoca di Marie Kondo è davvero finita. A linee pulite e a colori essenziali, la Gen Z preferisce l’accumulo di oggetti originali e la sovrapposizione di colori accesi.
Un inno al consumismo o un diverso punto di vista sulla vita? Se ne può pensare quello che si vuole, ma l’era del #maximalism è qui e sembra destinata a durare.
Accumulare non è più una colpa
Se i Millennials hanno davvero paura della roba e rendono le proprie case spoglie, quasi monacali, o fanno diventare un trend fenomeni come il “decluttering” e il “normcore”, per la Gen Z gli oggetti sono un mezzo per esprimere la propria identità in modo originale e libero.
Fan dell’arredamento scandinavo, dei look neutri e delle colazioni instagrammabili, c’è una brutta notizia per voi: l’epoca di Marie Kondo è davvero finita.
Poter essere “extra” è un vero e proprio cambiamento antropologico che trova radici nel mondo dei social e in una generazione che è nata con internet: il rapporto che la Gen Z ha con lo stile è molto più fluido rispetto alle generazioni precedenti.
Seguire lo stile “grunge” o il ben più giovane “emo” veniva considerato non solo un modo di vestirsi ma un vero e proprio stile di vita, a cui adeguare gusti musicali, modi di esprimersi, comportamenti da tenere e luoghi da frequentare. Ma per chi è cresciuto con i social, questo impegno a 360 gradi è decisamente meno sentito. Poter cambiare stile in continuazione, in base ai vari “-core” che appaiono e scompaiono online, non viene valutato negativamente, anzi pullulano i profili di creator che mostrano i propri look o make up ispirati ai trend del momento, quasi come fossero delle skin di un videogioco su cui costruire la propria identità.
È da questo “shift” culturale che scaturisce il massimalismo, come nuovo approccio alla vita che va a braccetto con un altro concetto: quello del “cattivo gusto”.
Se nel mondo pulito e ordinato dei Millennials il cattivo gusto era stato bandito – in quanto simbolo di eccesso, spreco e caos -, in quello della Gen Z è sempre più radicato, come si può vedere dal ritorno della moda #y2k ma anche da prodotti televisivi come “Pam and Tommy” e da produzioni musicali che si ispirano ai primi anni 2000.
Pullulano i profili di creator che mostrano i propri look o make up ispirati ai trend del momento, quasi come fossero delle skin di un videogioco su cui costruire la propria identità.
Ma perché questo cambiamento è avvenuto proprio ora e non cinque anni fa? Risposta breve: colpa (o merito?) del periodo Covid.
Risposta più lunga: il periodo pandemico ci ha costretti a restare chiusi in casa. Questa dinamica ha portato le persone a riconsiderare gli spazi casalinghi in cui trascorreva l’intera giornata. Il minimalismo ha mostrato la sua faccia fredda e dura, all’apparenza accogliente nella sua pulizia, ma in realtà troppo rigida e poco personale.
La casa, diventata tutto il nostro mondo, ha modificato il proprio scopo, dalla funzionalità alla rappresentazione.
Un altro aspetto da considerare è la mancanza di stimoli legata al periodo di lockdown forzato: non poter uscire, incontrare persone, vedere luoghi ci ha limitato sensorialmente. Da qui la necessità di trovare altri stimoli esterni con cui attivare i nostri sensi, nonostante fossimo chiusi in casa. Dal crochet alla pittura, dal collezionismo alla passione per la cucina, l’esplosione di hobby e interessi handmade ha trovato il connubio perfetto con arredamenti e look dalle fantasie colorate e dalle texture innovative.
A cambiare profondamente, insomma, non è stato solo un gusto estetico ma anche la relazione psicologica fra noi e gli oggetti. Se per Marie Kondo limitare la presenza delle cose nella nostra vita era un modo per scoprire i piaceri più veri ed essenziali, per il massimalismo gli oggetti non hanno più una connotazione negativa. Si tratta di pezzi della nostra storia che ci trasmettono gioia e a cui siamo emotivamente connessi. Accumularli e sovrapporli, quindi, non è più considerata una colpa, una brutta abitudine da correggere, ma un comportamento del tutto umano di cui, anzi, andare fieri.
Il minimalismo che ha caratterizzato l’ultimo decennio deriva direttamente dalla crisi del 2008, quella che è stata anche definita Grande Recessione.
Il cambiamento culturale e antropologico alla base della rinascita del massimalismo affonda le sue radici anche in un cambiamento politico ed economico della società occidentale che non può essere ignorato.
Non è consumismo
Il minimalismo che ha caratterizzato l’ultimo decennio deriva direttamente dalla crisi del 2008, quella che è stata anche definita Grande Recessione. In un periodo storico di grande sofferenza economica la moda audace, eccessiva, piena di glitter e gloss che aveva dominato l’estetica #y2k non era più appropriata. Ostentare la propria ricchezza improvvisamente non era cool e i marchi di lifestyle non potevano che prendere la palla al balzo per definire una nuova estetica pulita, elegante e rassicurante.
Dai primi anni del 2010 fino al periodo pandemico il minimalismo ha dominato la moda e l’arredamento, identificandosi in pieno con la generazione dei Millennials
Gli elementi visivi alla base del minimalismo li conosciamo tutti: molto spazio bianco, lettere in sans serif sui muri (ma anche sulle tazze, sui block notes, sui post di Instagram), linee pulite ma calde, per conferire un respiro familiare e rassicurante all’ambiente, oggetti preferibilmente in materiali “poveri” come legno e ferro battuto, niente decorazioni eccessive, colori essenziali. Un’estetica fondata sul concetto di buon gusto, che dava a tutti la possibilità di sembrare ricchi ed eleganti, anche per una generazione, come quella dei Millennials, che fra crisi finanziarie, mercato del lavoro stagnante e ascensore sociale bloccato non se la passava benissimo.
Con i suoi pezzi di design scelti minuziosamente, posizionati con cura, senza nessun elemento in eccesso, il minimalismo era stato in grado di portare una patina di familiarità in spazi molto diversi fra loro, ma contemporaneamente ne aveva appiattito le caratteristiche uniche, rendendoli uguali l’uno all’altro. Risultato? Gli spazi pubblici (ma sempre di più anche le abitazioni private) avevano cominciato a sembrare tutti uguali, perdendo la propria anima e la propria unicità.
Il minimalismo ha definito un’epoca, uniformando l’estetica del mondo occidentale, dalle sedi della Silicon Valley al nuovo localino sottocasa.
Il minimalismo ha definito un’epoca, uniformando l’estetica del mondo occidentale, dalle sedi della Silicon Valley al nuovo localino sottocasa, dalle prime griglie di Instagram ai siti web di candele fatte a mano.
È andato a braccetto con i primi “-core” nati sui social, uno fra tutti il “normcore”, con le sue linee semplici, capi essenziali ma eleganti, pochi accessori e l’idea che alla base di un buon look dovesse esserci la funzionalità.
Ma il minimalismo non ha solo descritto l’estetica di un difficile periodo storico, ne ha dettato anche la linea culturale, dal trend del “decluttering”, l’eliminazione di ciò che è superfluo in casa come nell’armadio, fino al ritorno dello yoga e della meditazione, il modo per “riordinare” anche la propria interiorità.
Insomma, la risposta più naturale che la Gen Z poteva dare ad anni di ordine, pulizia ed ascetismo non poteva che essere il ritorno al disordine, al caos, al colore e alla gioia di vivere (e di sbagliare).
Come per il minimalismo, anche il massimalismo fonda le proprie origini su un momento storico preciso, quello della pandemia, ma vede poi il suo sviluppo nel mondo di Internet. Sì, perché le coloratissime case massimaliste vogliono essere uniche e originali ma seguono comunque alcune linee generali comuni e possiedono tutte alcuni item iconici. Insomma, Pinterest mette lo zampino anche in questa nuova moda più libera dai costrutti.
Che piaccia di più l’essenzialità di Marie Kondo o l’eccesso colorato di TikTok, tutte le estetiche così forti da diventare generazionali portano da un lato innovazione e dall’altro richiedono il rispetto di alcune regole costitutive che non possono essere violate. In fondo nulla si inventa e nulla si distrugge, la moda fa giri immensi e poi ritorna. Anche il massimalismo, come il minimalismo, ha una storia ricca di influenze. La tendenza può essere fatta risalire all’Europa del XVI secolo, con il suo amore per l’eccesso e le camere pesantemente arredate. Lo stile ritorna poi in epoca vittoriana, come mezzo per esprimere la propria classe sociale e identità familiare. La lotta con il suo opposto, il minimalismo, continua fino ad oggi, dove lo scontro fra una scandinava sedia Ikea e un coloratissimo cuscino handmade vede la vittoria di quest’ultimo (almeno per ora).
L’idea alla base non è quella di accumulare banalmente arredamento ma di esprimere se stessi, in opposizione sia alla funzionalità asettica del minimalismo.
La Gen Z ha scelto e anche se il massimalismo può sembrare uno stile di vita che glorifica il materialismo, in realtà esprime la contrapposizione di una nuova generazione ai dettami della società e della generazione precedente, quella dei Millennials. Non è il consumismo ad essere al centro di questa nuova moda ma anzi l’espressione del proprio sé e della propria originalità, in linea con l’individualismo che caratterizza questa generazione. Ad essere selezionati sono soprattutto pezzi di arredamento vintage, che spesso vengono resi ancora più personali grazie a restauri handmade, in un’ottica di sostenibilità che riprende i concetti di riutilizzo e riciclo a cui la Gen Z è da sempre sensibile.
L’idea alla base non è quella di accumulare banalmente arredamento ma di esprimere se stessi, in opposizione sia alla funzionalità asettica del minimalismo, sia alla hustle culture in cui i Millennials si ritrovano ancora immersi. Insomma, scoprirsi e scoprire le proprie potenzialità non in un’ottica di produttività ma di curiosità, seguendo i tempi naturali della conoscenza e della curiosità.
Il cuore del massimalismo non è, quindi, il consumo ma la creatività. Essere sostenibili e recuperare gli oggetti che per noi hanno un significato ma anche essere gentili con se stessi, accettarsi con le proprie imperfezioni e seguire le proprie passioni e interessi in un’ottica anticapitalista.