10.09.2024

Vivere il concerto o inseguire i trend topic sui social?

Bob Dylan, Depeche Mode, Rihanna, e ora anche Cosmo chiedono di spegnere le fotocamere. Il delicato equilibrio tra l’esperienza live e la sua registrazione per dopo.

A differenza di tutti gli altri serial killer, Dre uccide per difendere e non per dominare.
Dre è la protagonista della serie tv Swarm, una storia satirica e inquietante che porta agli estremi il concetto di fandom. Dre attacca tutti coloro che sui social media mettono in discussione, ironizzano, criticano la sua popstar di riferimento: Ni’Jah, un esplicito alter ego di Beyoncé (per inciso, una serie che consigliamo).


Verso il midpoint dell’arco narrativo, Dre sembra letteralmente intenzionata a portarsi con sé un pezzo di Ni’Jah, come se, dopo averla difesa da ogni nemico esterno, sentisse inconsciamente di meritarsi una ricompensa. Metafora non del tutto casuale: come se dopo aver difeso il totem dalle tribù nemiche, volesse divorarlo.


Ok, è probabile che non uccideremmo per guadagnare reputazione all’interno di una comunità di fan, né per difendere la nostra artista preferita dagli oltraggi e dai commenti malevoli su Instagram, però ognuno di noi – se dotato di cuore – ha fatto il pazzo per arrivare più vicino possibile a un palco, per cantare insieme e vederla da vicino.
E poi – ammettetelo… – ha tirato fuori lo smartphone per registrare alcuni secondi (o decine e decine di minuti) l’artista. O ha detestato lo sciame di persone che lo hanno fatto e il nugolo di braccia che gli hanno offuscato la visione. 


E se, però, questo gesto di brandire lo smartphone verso l’artista e inquadrarlo in dieci centimetri luminosi non fosse un modo per portarsi a casa una parte della magia?
Se, addirittura, fosse un modo di difendersi?

Sono domande che circolano da molto tempo nel mondo della musica e dell’organizzazione degli eventi live. A brevissimo si esibiranno a Roma, a Spring Attitude Festival, diversi artisti in un’alternanza di live e dj set che inevitabilmente si dovranno confrontare con la questione. Per esempio, sarà interessante capire come il 13 settembre il pubblico di Cosmo assisterà alla sua performance. Il poliedrico artista di Ivrea crede che gli smartphone rovinino la sensazione collettiva del rito pagano del concerto. È stato anche il primo musicista italiano a coprire le fotocamere degli smartphone con dei bollini all’ingresso: l’obiettivo è vivere l’esperienza, vivere il presente, sentire profondamente quello che sta succedendo nel momento. E non procrastinare tutto ciò a un ipotetico dopo a bassa definizione e audio scadente.

Quindi, sembrano essere due i punti più significativi della questione:

  • [1] Portarsi a casa un ricordo: un piccolo totem magico in grado di evocare ancora quell’esperienza. 
  • [2] Rinunciare a quell’esperienza perché si è troppo impegnati a conservarla per il futuro. 

In realtà il punto 2) è molto più complicato di così, perché effettivamente non si rinuncia del tutto all’esperienza – a meno di non stare due ore con le braccia tipo protesi -, inoltre alcune volte non siamo completamente presenti perché stiamo vivendo un’altra esperienza, postando e creando story, per condividere o per mostrare che noi ci siamo. E quindi sì, inevitabilmente siamo preoccupati narcisisticamente da noi, ma potremmo vederla anche come una maniera diversa di condividere le emozioni con amici che non sono accanto a noi.

Ognuno ha la sua maniera di affrontarla. Per completezza d’informazione forse vi interesserà sapere che chi scrive si infastidisce anche al cinema quando nel buio completo della sala una persona osa illuminare lo schermo del cellulare per controllare eventuali messaggi. Però, forse, chi scrive lo fa anche per contemplare altri punti di vista oltre la sua nevrosi. 

In ogni modo l’elenco degli artisti infastiditi parte da lontano, anche nel tempo:
È il 2007 quando Keith Jarrett, durante l’evento clou dell’Umbria Jazz Festival, davanti a duemilacinquecento persone in visibilio, si esprime così: “Non parlo italiano, ma fatevelo dire da qualcuno che parla inglese: spegnete subito quelle cazzo di macchine fotografiche.” E aggiunge che si riserva il diritto di andarsene in qualsiasi momento se nota qualcuno con un cellulare che scatta foto. Anzi, ancora di più: “Se vedete qualcuno con una macchina fotografica, avete il diritto di togliergliela”.


Questi sono invece i Depeche Mode qualche anno fa che urlano a un fan: “Metti via quel telefono e goditi il concerto!” 

Invece Bob Dylan durante i suoi concerti si avvale di una società che ha brevettato speciali contenitori sigillati in cui lo spettatore deve riporre lo smartphone. Se volete sbloccare i contenitori dovete rivolgervi al personale in un’area dedicata. Inoltre, il tutto costa 5 euro ed è a carico vostro.


Chi si ricorda il tempo in cui qualsiasi tipo di registrazione era vietata? 
Era l’epoca pre-smartphone in cui si realizzavano leggendari bootleg di nascosto che circolavano in maniera non ufficiale, condivisi nel tempo su blog come BB chronicles, su Internet Archive e su altri siti fandom che dichiaravano in tutti i modi di non essere responsabili e che quelle registrazioni servivano a integrare e non a sostituire l’esperienza del concerto.
In realtà, ormai molti artisti sono terribilmente consapevoli delle potenzialità dei social media e cercano in tutti i modi di rendere lo spettacolo instagrammabile. Cercano di entrare nei trend topic su Twitter (X). Utilizzano schermi e scenografie verticali perché sanno che TikTok è fondamentale per la viralità. 

Proviamo a tornare a Dre, la serial killer della serie tv Swarm che attaccava per difendere il suo idolo. E se noi, invece, ci stessimo difendendo dal nostro idolo? 
Sia nei poemi omerici, sia nella Bibbia, gli esseri umani non potevano osservare la divinità senza patirne gravi conseguenze. Per questo, i vari YHWH, Zeus, Apollo, assumevano forme animali o umane per entrare in contatto e diventare percepibili ai nostri sensi. Le divinità erano troppo intense.  

E certo, Cosmo, Keith Jarrett, Rihanna, Fiorella Mannoia, Alicia Keys, Bob Dylan non sono divinità (spero che non ci siano Dre in lettura), però forse non hanno tutti i torti quando parlano di concerto come rito pagano collettivo.
Non dovremmo difenderci per troppi minuti dall’intensità del concerto.
Anche perché più il video diventa lungo e più diminuiscono le possibilità di rivederlo veramente.
E sicuramente è bello e giusto portare a casa un po’ di magia, il ricordo del momento, però è anche vero che per ricordare la magia, dobbiamo viverla. 
E magari farla vivere anche a quelli dietro di noi.

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