Il termine “podcast” è relativamente giovane e deriva letteralmente da “pod” e “cast”, ovvero “baccello” e “spargere”. A giudicare dai numeri eclatanti che si stanno registrando – 62 milioni di ascoltatori settimanali al mondo, dato relativo al 2019, che verosimilmente è stato già di gran lunga superato – i semi oggi più che mai stanno sbocciando a velocità esponenziale, tanto che è difficile non aver sentito parlare del famigerato “boom dei podcast”, soprattutto da un paio di anni a questa parte. Secondo uno studio condotto da Nielsen, in Italia più di una persona su due è entrata a contatto attivamente con un podcast almeno una volta, un dato raddoppiato nel corso del biennio 2018-2019 e che continua a crescere, seguendo un trend mondiale diffuso. Come però spesso accade, i numeri non sono completamente indicativi e possono essere letti e interpretati in modi differenti. Per esempio, l’entusiasmo generato attorno ai podcast in termini di mercato – si parla di un miliardo di dollari di investimenti previsti per il 2021 – viene totalmente ridimensionato se paragonato a quello generato dalla pubblicità in televisione o a quella della radio al suo apogeo, al netto delle contingenze storiche. Questo perché l’evoluzione dei podcast ha una natura insolita e complessa che sta alla base di molteplici interpretazioni del mondo a venire, che vanno dal futuro degli investimenti pubblicitari, a quello dello sviluppo tecnologico, è una mappa sulla quale seguire l’orizzonte dell’informazione e della sostenibilità del giornalismo, ma anche dell’editoria e dello spettacolo, viaggia in campo aperto assieme alla generazione di millennials che ne fa già un uso frequente.
In questo approfondimento proveremo ad analizzare tali aspetti, cercando di interpretare i segnali che spiegano la centralità che hanno assunto i podcast nel dibattito sulla comunicazione dell’imminente futuro, gli stravolgimenti che potrebbe causare l’ingresso, peraltro già in atto, dei “big player”, le evoluzioni tecnologiche e contenutistiche alle quali potremmo assistere nei prossimi anni e l’utilizzo che potrebbero farne le fasce di età più giovani, al momento tra le meno coinvolte dal proliferare dei podcast, con tutto il potenziale del caso.
Prima però, bisogna rispondere, il più brevemente possibile, alla domanda: che cos’è un podcast? Perché, anche questo, non è mica così banale da delineare e ci aiuta a mettere a fuoco quanto sia complesso il tema, la cui virtù si nasconde anche dietro piccole sfumature di senso. Tecnicamente un podcast è un file audio, caricato su un server e disponibile in streaming o in download, ma questo non è tanto diverso da ciò che si potrebbe dire di un qualsiasi disco o di una singola canzone in formato mp3. All’inizio di questo articolo si è detto che il termine “podcast” è relativamente giovane: è stato coniato poco più di quindici anni fa, poca cosa rispetto all’avvento dei media tradizionali, un’eternità per la velocità dei tempi che corrono, se si pensa che è stata eletta “parola dell’anno” già nel 2005 dal famoso New Oxford American Dictionary, un riconoscimento che, per intenderci, la parola “selfie” ha ottenuto nel 2013 e sembrano passati secoli, “vape” (“svapare con le sigarette elettriche”) nel 2014 ed è un tema già scomparso e dimenticato dalla storia. Se i podcast oggi sono (di nuovo) così attuali è perché si sono lasciati alle spalle l’esoscheletro originario in un vero e proprio fenomeno di esuviazione tecnologica. In Italia, fino a poco tempo fa, con podcast si intendeva soprattutto la messa a disposizione “on demand” di programmi radio già andati in onda, un comfort reso possibile dalla diffusione di internet e dei primi servizi di streaming, ma che, di fatto, non ha più molto a che vedere con ciò che oggi si intende con podcast, o meglio, non coglie l’essenza di ciò che ha reso possibile questa nuova vita.
Gli ascoltatori abituali di podcast hanno le idee chiare su ciò che vogliono ascoltare, in quale momento del giorno e della settimana farlo e durante quali attività
L’esempio immancabile ogni volta che si parla di podcast, quello che ha sancito un prima e un dopo orientativo in questa parabola, è il caso editoriale di Serial che negli Stati Uniti e nel mondo ha disintegrato qualsiasi tipo di record di ascolti e coinvolgimento del pubblico. Si tratta di un podcast seriale, appunto, nato nel 2014 e giunto oggi alla terza stagione, nel quale si segue un caso di cronaca realmente accaduto, con il paradigma del giornalismo investigativo, che ottiene milioni di ascolti e un seguito di massa realisticamente paragonabile a quello di una serie tv di successo. In Italia, con le dovute proporzioni, un contenuto molto simile e dal medesimo riscontro con il pubblico, è il podcast Veleno. Ragionando all’ingrosso, in entrambi i casi, il successo di due podcast essenzialmente “crime” hanno spalancato al “grande pubblico” le porte su un mondo emergente e in fermento già da qualche tempo, fatto di contenuti originali disponibili in formato digitale sulle svariate piattaforme che nel frattempo sono nate per ospitare e raccogliere podcast, o si sono adeguate a farlo. Il caso più eclatante è probabilmente quello di Spotify, che nel giro di pochi mesi ha stanziato fondi, acquisito società e indirizzato gli investimenti – parliamo di centinaia di milioni di euro – al fine di accaparrarsi il primato di piattaforma per l’ascolto di podcast (che oggi rappresentano circa il 25% degli ascolti totali sulla piattaforma) e per la produzione di contenuti originali, attualmente conteso principalmente con Apple. È importante sottolineare che senza l’avvento di grosse piattaforme di diffusione e sviluppo di podcast e, soprattutto, degli smartphone con i quali la maggior parte delle persone ascoltano i podcast e che hanno contribuito all’impennata, probabilmente ora non saremmo qui a parlarne.
Per come li conosciamo oggi, i podcast si possono suddividere in una manciata di macro-generi: quello delle news, brevi dispacci audio con le principali notizie del giorno presenti ormai nell’homepage di tutti i principali quotidiani online e siti di informazione; quello della cura della persona, corsi, audio-guide, lezioni relative alle tematiche più disparate, dal giardinaggio, al business passando per qualsiasi tipo di hobby o competenza specifica; quello dell’approfondimento, formati più lunghi che sviscerano un determinato tema, politica, società, cultura, musica, sport, per esempio; quello dell’intrattenimento, sotto forma di talk su temi d’attualità, di investigazione crime come abbiamo visto, ma anche narrativa o satira.
Con tutte le variabili di sorta, che possono comprendere una produzione più o meno elaborata, una ricorrenza più o meno fissa e ciclica o strutture più o meno lineari, tutti questi podcast ottengono una rilevante fidelizzazione del proprio pubblico. Gli ascoltatori abituali di podcast hanno le idee chiare su ciò che vogliono ascoltare, in quale momento del giorno e della settimana farlo e durante quali attività. Una volta delineato, è difficile che il nucleo principale degli ascoltatori cambi nel tempo. Il bacino di utenza si forma e si consolida attorno alla (o alle) voce narrante, attorno ai temi specifici e alla ricorrenza dello schema discorsivo. Empatia, intimità, affinità: grazie a questi aspetti la pubblicità agisce in maniera mirata su un terreno fertile, specifico e già profilato, oltreché ancora molto lontano dalla saturazione. Per questo è ragionevole immaginare che di qui a poco sarà del tutto normale trovare dynamic ads durante l’ascolto, contenuti sponsorizzati e consigli per gli acquisti o per il consumo, inseriti all’interno del discorso da una “voce amica” e con gli stessi interessi dell’ascoltatore. È statisticamente provato che il meccanismo sembra funzionare: non soltanto le inserzioni sono “ascoltate” di buongrado se l’oggetto è in linea con il contesto e la qualità del podcast è elevata, autorevole e accurata, ma la dispersione è decisamente inferiore, si presta molta più attenzione al messaggio pubblicitario di quanto non avvenga con quelli che passano in televisione o alla radio.
In secondo luogo, è ragionevole immaginare che nell’universo dei podcast presto prolifereranno i contenuti in esclusiva disponibili su una specifica piattaforma e assieme a questi aumenteranno le cosiddette “conduzioni eccellenti”, celebrità o intellettuali, sportivi, attori, al microfono, con una base di pubblico già ampia a fare da traino, magari per episodi speciali su tematiche che li riguardano in prima persona.
È ormai evidente che il futuro del giornalismo che si salverà dal clickbait, dal sensazionalismo o dalle fake news, sarà molto probabilmente finanziato dai lettori o riparato dietro un paywall come già stiamo vedendo accadere. Una dinamica che riguarderà senz’altro anche i podcast, condotti da giornalisti preparati e focalizzati su un tema, sorretti e finanziati da una fiducia diretta degli ascoltatori.
Oltre alle grandi testate giornalistiche, oggi esistono già network che producono podcast e hanno un vero e proprio palinsesto, ma l’avvento di giganti come Marvel per esempio, fa pensare a un futuro dei podcast molto simile a quello che ormai fa regolarmente parte della quotidianità con i servizi a pagamento per la visione in streaming di serie tv o film. L’utente deciderà di pagare un abbonamento mensile per accedere all’ascolto di un certo numero di podcast oppure di alcuni specifici. Inoltre, come abbiamo detto, non esistono podcast pensati appositamente per la fascia d’età teen o per bambini, questo lascia presagire a una futura produzione di contenuti mirati, di intrattenimento, pedagogici o formativi, anche per i più giovani, con possibili partnership con il mondo della scuola e dell’università.
È ormai evidente che il futuro del giornalismo che si salverà dal clickbait, dal sensazionalismo o dalle fake news, sarà molto probabilmente finanziato dai lettori.
Il crescente divario tra grandi produzioni e autoproduzioni renderà quest’ultime una parte irrisoria, quantomeno in termini di visibilità, ascolti e spazi pubblicitari, rispetto alla rilevanza e all’accessibilità di cui dispongono ancora oggi. Da una parte nascerà un mondo di “podcast indipendenti”, magari sperimentali e d’avanguardia, dall’altra i grandi concorrenti che già si dividono la parte più grande della torta, aumenteranno gli sforzi per produrre contenuti sempre più sofisticati e accaparrarsi più pubblico. Questo inciderà sulla qualità audio, ma anche sulla stesura di sceneggiature originali, su produzioni avvincenti. Possiamo immaginare podcast in 8D, supportati da cuffie sviluppate per un ascolto immersivo e dinamico, episodi scritti da un’intelligenza artificiale o svolgimenti della trama regolati dagli algoritmi per un ascolto interattivo. Inoltre i podcast sono ascoltati spesso mentre si corre o si fa attività fisica, questo fa immaginare facilmente la produzione di contenuti specifici motivazionali o di sostegno, che siano sempre più profilati e individuali.
Finora non abbiamo menzionato il mondo degli audiolibri, indirettamente coinvolti dall’esplosione dell’interesse verso i podcast e che ancora non hanno sfruttato tutto il vento a favore, sebbene siano nate molte piattaforme per l’ascolto di libri, come Storytel o Audible. Gli eBook, per quanto in lenta crescita, non sono riusciti a surclassare la carta, ci riusciranno gli audiolibri nel mondo delle cuffie wireless? Assisteremo a una rinascita del romanzo in forma narrata? E il teatro, ha qualche possibilità di ricavarsi uno spazio in una dimensione audio?
Alla luce di tutto questo, resta difficile immaginare un mondo in cui i podcast hanno un ruolo primario nella vita delle persone, surclassando gli altri media, anzi, probabilmente questo non avverrà mai, anche perché al momento i podcast sono appannaggio di una fascia di età che va dai 20 ai 45 anni circa, relativa a un ceto sociale prevalentemente benestante e scolarizzato. Un dato che dimostra ancora una volta quanto la diffusione su scala globale e capillare di internet e degli strumenti di accesso all’informazione online siano un tema gigantesco nel quale sono in gioco il futuro dei diritti sociali da una parte e del consenso politico dall’altra.
Da questo punto di vista, pur rimanendo in una certa nicchia, i podcast, hanno fatto un’ulteriore passo avanti durante l’emergenza COVID19, in termini di ascolti complessivi, di produzione, ma anche per veicolare informazioni e per intrattenere le persone durante intere giornate con panorama inedito per tutti. Un piccolo tassello in più, che assieme a svariati altri, fa pensare che il 2020 abbia tutta l’aria di essere ricordato come l’anno in cui molto è cambiato.