Il mio primo incontro ravvicinato con lo yoga risale a giugno del 2018, quando sono finita sul video di un’insegnante che in sedici minuti prometteva di dare tregua al mio mal di schiena. Il secondo video (“yoga per la flessibilità”) e il terzo (“yoga per l’equilibrio”) risalgono a pochi giorni dopo e la cronologia di Youtube continua, video dopo video, fino al 2021, quando mi sono finalmente decisa a mettere piede in uno studio di yoga. Mi sono bastate poche lezioni per intuire che per tutto il tempo in cui pensavo di fare yoga online, in realtà stavo solo facendo stretching.
Capire cosa sia lo yoga oggi, a più di tremila anni dalle sue prime manifestazioni, è più complesso di quanto si pensi. «Penso sia importante capire che tracciare una storia dello yoga univoca e lineare è estremamente difficile. Quando parliamo delle diverse pratiche che erano considerate yoga e le diverse strade che hanno preso, parliamo di qualcosa di incredibilmente ampio, che può essere legato ai Veda, ai Tantra, allo Shivaismo, al Buddismo, al Giainismo, al Sikhismo e persino al Sufismo», spiega l’insegnante di yoga Tejal Patel nel quarto episodio del podcast “Yoga Is Dead”, prodotto insieme alla collega Jesal Parikh. «L’unica cosa che hanno sempre avuto in comune finora è sempre stata la condivisione di credenze spirituali», aggiunge Patel. Queste credenze riguardano, in maniera molto generale, il raggiungimento di una maggior conoscenza di sé stessi e del mondo attraverso una serie di pratiche, di cui i movimenti e le posizioni che oggi associamo allo yoga sono solo una piccola parte.
Negli Stati Uniti e in Europa, lo yoga arriva formalmente verso la fine dell’Ottocento, ma la sua vera e propria diffusione dello yoga inizia durante il secondo dopoguerra, quando i discepoli del guru Tirumalai Krishnamacharya aprono le loro prime scuole, riflettendo la sua visione prevalentemente fisica dello yoga e mescolandola con altre discipline come la danza, la ginnastica e le arti marziali. In quel periodo lo yoga si diffonde tra le élite, ad esempio tra attrici e attori di Hollywood, per poi diventare sempre più conosciuto anche tra altre fasce della popolazione tra gli anni Settanta e Ottanta, grazie anche alla cultura new age. Negli ultimi trent’anni, infine, lo yoga «viene ribrandizzato, riconfezionato, rilavorato, e fuso in quel che oggi chiamiamo hatha yoga, vinyasa yoga, power yoga, core, flow. Queste pratiche sono molto simili l’una all’altra e possono essere tutte soprannominate ‘yoga posturale moderno’», riassume Parikh nel podcast. Nato come percorso di osservazione e comprensione di sé stessi e del proprio ruolo nel mondo, in molti casi lo yoga posturale moderno diventa quindi un mezzo per la realizzazione personale, l’hobby perfetto per tonificare i muscoli, combattere il logorio della vita moderna e ricaricare la mente per raggiungere i propri obiettivi, qualsiasi essi siano.
L’ascesa dello yoga online inizia con la nascita di YouTube nel 2005, dando vita in pochi anni a un nuovo business basato su un mix di visualizzazioni e vendita di merchandising, come tappetini personalizzati, costosi completi sportivi e altri oggetti che riprendono alcuni aspetti spirituali della pratica (come il saluto namasté, trasformato negli slogan per tazze e magliette namast-ay away! o nama-stay in bed). «Penso che un certo tipo di yoga posturale sia la perfetta materia prima per diventare popolare online: sequenze brevi, fluide, tra l’acrobatica e la danza contemporanea. È la ricetta perfetta per creare contenuti», spiega Chiara D’Amico, che a Bologna facilita il gruppo di formazione collettiva “Una stanza tutta per sé”. Tra il 2018 e il 2019, lo yoga diventa estremamente popolare su Internet, in particolare nella sua versione ‘mordi e fuggi’ a base di «pratiche guidate riproducibili in qualsiasi momento, da chiunque, senza nessuna progressione didattica, in una corsa alla postura perfetta», come spiega D’Amico.
«Con il primo lockdown è cambiato tutto», racconta un’altra insegnante, Divine Van De Kamp, rispetto all’evoluzione dello yoga online. «Prima della pandemia lo yoga veniva insegnato online solo attraverso video preregistrati, e la mancanza di contatto con gli studenti faceva storcere il naso a molti insegnanti, me compresa. Durante la pandemia quasi tutti si sono messi a insegnare classi in streaming, anche chi all’inizio si era rifiutato per non discostarsi dalla cosiddetta ‘tradizione’», aggiunge. Nella primavera del 2020, infatti, lo yoga online diventa il rimedio per eccellenza – insieme alla meditazione, che è comunque una delle sue componenti – all’ansia, al burnout, alla depressione e in generale a qualsiasi problema di salute mentale. Nonostante l’introduzione delle classi in diretta abbia reso indubbiamente più accessibile la pratica alle persone disabili o in difficoltà economiche, il rischio, secondo D’Amico, è che «si perda la dimensione della propedeuticità, della pazienza, della relazione con la comunità e del lavoro su di sé che invece è una parte fondamentale della pratica yoga».
L’ascesa dello yoga online inizia con la nascita di YouTube nel 2005, dando vita in pochi anni a un nuovo business basato su un mix di visualizzazioni e vendita di merchandising, come tappetini personalizzati, costosi completi sportivi.
Per questi motivi, dopo un breve tentativo virtuale durante il primo lockdown, alcune scuole di yoga decidono di tornare completamente in presenza. «Rientrati in shala, abbiamo deciso che le pratiche online si sarebbero concluse», spiega Claudia Vitale, che gestisce l’Ashtanga Yoga Shala Bologna (shala in sanscrito vuol dire ‘casa’). «I motivi sono molti. In primis, credo che l’essenza della pratica sia la presenza. Fare yoga online è stato un modo per creare un appuntamento con se stessi e con la comunità, utile per darci una costanza e trovare il supporto di altre persone. Un’esperienza molto ricca, che però non sostituisce la presenza in shala», precisa l’insegnante. A questa motivazione si aggiungono poi le peculiarità della pratica, che nel caso dell’ashtanga yoga consistono nella progressiva autonomia di chi pratica e nella quasi totale assenza di comunicazione verbale, che viene sostituita dal tatto. «Durante la pratica ashtanga si spegne quel livello di sete di conoscenza verbalizzata e mentalizzata per lasciare spazio a un livello di conoscenza sottile, corporea ed esperienziale che passa dalla relazione tra insegnante e praticante. Durante le pratiche online, questo livello viene raggiunto con difficoltà, perché solo la parola può trasmettere l’aggiustamento di una posizione», precisa Vitale.
Nel mondo post-pandemia, altre insegnanti decidono invece di mantenere la possibilità di fare yoga online, ma di distanziarsi in maniera sempre più netta dallo yoga più mainstream. «È ridicolo parlare di yoga senza parlare di dove viene insegnato e da chi. Lo yoga non viene insegnato da persone che vivono in una cripta, ma riflette la società in cui viviamo», spiega Van De Kamp, che nella sua pratica mette in discussione il classismo e il suprematismo bianco di insegnanti e allievi. «Se il messaggio è ‘lo yoga aiuta a superare i traumi, l’ansia e la depressione’, è normale che in studio arrivino persone provenienti da ceti sociali specifici. Chi fatica ad arrivare a fine mese e le persone razzializzate, queer o disabili spesso non hanno i mezzi per iscriversi a un corso o hanno necessità diverse», precisa l’insegnante. Ad esempio, chiedere a una persona nera di sedersi e rilassarsi è difficile a causa delle conseguenze di quello che la psicologa Gail Parker ha definito trauma etnico e razziale (ethnic and race-based trauma). «Il razzismo infatti ti costringe a stare sempre all’erta e non è un trauma che subisci solo un giorno, ma che continua nel tempo», spiega Van De Kamp. «Nello yoga, il lavoro sul corpo e la connessione con il respiro possono aiutare molto, ma solo se si ha la consapevolezza che questo trauma esiste, così come una pratica specifica per affrontarlo».
«L’arte dell’intelligenza artificiale»
Nel mondo dello yoga, il razzismo emerge anche attraverso la feticizzazione del popolo indiano.
«Nonostante gli sforzi del presidente Modi e del nostro pensiero magico, l’India non è un’enorme comune a cielo aperto dove tutti praticano yoga e sono felici. Anche lì, le persone che vivono in povertà non hanno tempo di fare yoga, che anche storicamente è una pratica riservata alle caste più alte», racconta Van De Kamp, che dal 2017 si reca in India per proseguire la sua formazione. «Abbiamo quest’idea della cultura indiana come di una cultura mistica ed esotica, che ci allontana dalla realtà e disumanizza le persone. Anche in India lo yoga sta cambiando, si sta avvicinando all’esempio statunitense, che l’ha reso più popolare», aggiunge.
Allo stesso tempo, negli ultimi anni la comunità internazionale di insegnanti, studenti e appassionati di yoga ha dovuto fare i conti con la sua natura fondamentalmente patriarcale, a partire dalle accuse di abusi sessuali e stupri che sono state rivolte a Bikram Choudhury e K. Pattabhi Jois che hanno portato a una fondamentale revisione della centralità del maestro (guru) nell’insegnamento dello yoga. «È come se alle persone socializzate come donne fosse negato l’accesso all’ascesa spirituale. Possono diventare istruttrici o imprenditrici dello yoga, ma non maestre o guide», commenta D’Amico, che sottolinea anche la mancanza di persone trans, queer e non binarie nel mondo dello yoga mainstream. «Spesso si giustifica questo fenomeno facendo ricorso alla tradizione e alle origini dello yoga. In realtà niente di ciò che pratichiamo o insegniamo è davvero vicino allo yoga tradizionale, perché lo yoga è cambiato molto nella storia, sia attraverso il confronto con altri sistemi filosofici che a causa degli impatti del colonialismo e del capitalismo», precisa Van De Kamp.
Nel mondo post-pandemia, molti insegnanti decidono di mantenere la possibilità di fare yoga online, ma di distanziarsi in maniera sempre più netta dallo yoga considerato più mainstream.
Ma se lo yoga tradizionale non esiste, allora cosa può permettere alle persone oggi di praticare yoga con la consapevolezza di fare molto di più che del semplice stretching con un nome diverso? Nonostante le loro differenze, tutte le risposte delle insegnanti che ho intervistato sembrano puntare nella stessa direzione: praticare lo yoga senza un vero e proprio obiettivo e farlo dentro e per una comunità. «Molto spesso dico a me stessa e ai miei alunni: pratichiamo per praticare. Facciamolo senza l’intenzione rivolta a uno scopo, ma avendo fiducia nei nostri sforzi, al di là di un risultato da raggiungere. Con la stessa attitudine di chi ogni giorno si lava i denti», spiega Vitale, che vede lo yoga come un rito quotidiano che semplicemente pulisce, crea spazio, offre tempo, «un percorso personale svolto all’interno di una comunità, che è il luogo dove può offrire i suoi frutti più trasformativi».
«Algoritmi razzisti»
Su Internet, riportare lo yoga a queste premesse è difficile, ma non impossibile. «Gli algoritmi dei social network tendono a promuovere le insegnanti bianche, magre, cisgender e abili e di conseguenza il loro modo di praticare. Allo stesso tempo, è anche vero che senza la rete non avrei mai scoperto dell’esistenza del trauma razziale e di altre insegnanti incredibili», spiega Van de Kamp. Per lei come per molti altri praticanti, per il momento Internet resta un posto dove tutte le persone che fanno yoga sono uguali, ma dove alcune sono più uguali di altre.