21.05.2024

Come non seppellire le persone queer

Alcune commedie queer stanno finalmente sovvertendo il vittimismo della rappresentazione cinematografica e gettando le basi per una narrazione più matura.

Nel cinema, i personaggi queer sono (quasi) sempre vittime, adolescenti insicuri che, dopo un percorso travagliato, riescono finalmente a fare coming-out con la propria famiglia. Forse è arrivato il momento di superare questa narrativa, e la commedia permette di farlo.

Storicamente, le figure queer nel cinema sono state caratterizzate da vite di sofferenza e disperazione, stigmatizzazione e vulnerabilità. Basta pensare a film mainstream come Philadelphia (1993) , Milk (2008), Boys Don’t Cry (1999) e Laramie Project (2002). Cosa accomuna questi film biografici? La morte tragica dei personaggi gay. Non si tratta di una coincidenza: è un tema così ricorrente da essere stato soprannominato “bury your gays” (“seppellisci i tuoi gay”). 

Seppellire i gay?

Questo tropo narrativo ha una lunga storia la cui origine si può rintracciare alla fine del 19esimo secolo e permetteva inizialmente agli autori di avere personaggi gay nelle loro storie senza finire sotto accusa per le leggi e i mandati sociali che vigevano contro la rappresentazione positiva dell’omosessualità. Oggi invece i registi scelgono questa narrativa per “punire simbolicamente” l’omosessualità oppure come effetto shock per il pubblico etero. Insomma, riescono a far empatizzare gli spettatori con i personaggi gay, presentandoli attraverso una lente vittimizzante e tragica. Le loro storie diventano accettabili perché pagano il prezzo sociale per la loro identità. È il caso, per esempio, The Danish Girl (2015), che racconta del percorso travagliato di affermazione di genere dell’artista Lili Elbe. Sotto proposta di un medico, Lili decide di sottoporsi alla vaginoplastica, che ne causerà la morte: la donna transgender viene così “punita” per la sua scelta. Nel thriller Atomic Blonde (2017), la spia Charlize Theron, amata dalla fanbase queer, muore alla fine del film. Ma la lista potrebbe continuare all’infinito. 

La morte tragica dei personaggi gay. Non si tratta di una coincidenza: è un tema così ricorrente da essere stato soprannominato “bury your gays”.

Nel 2016, la morte della comandante lesbica Lexa nella serie tv The 100 ha scatenato un grande dibattito sui social, con l’hashtag popolare #LGBTFansDeserveBetter. I fan hanno attaccato il programma per la scelta di far morire l’ennesimo personaggio queer in televisione, dopo aver mostrato sugli schermi la sua storia romantica con Clarke. Proprio per questo, il sito Autostraddle ha deciso di pubblicare i 230 nomi di tutte le donne lesbiche e bisessuali che sono andate incontro alla morte nel mondo dei film e delle serie tv, partendo dal 1976 con la tragica fine di Julie in Executive Suite. Nel primo “bury your gays” femminile, la donna muore investita da una macchina, mentre sta rincorrendo la sua amata. Insomma, le storie queer possono avere un lieto fine solo nell’aldilà. Come spiega Autostraddle, è normale che i personaggi muoiano di continuo in film incentrati su zombie, vampiri e criminali. Non è però altrettanto normale che questo succeda così spesso negli altri generi, tanto da creare uno specifico trope narrativo. Sebbene sia stato dimostrato che queste rappresentazioni drammatiche producano una percezione positiva della comunità Lgbtqia+ nella società, rimane il fatto che siano riduttive delle esperienze reali e limitino le prospettive delle persone queer. 

Sebbene sia stato dimostrato che queste rappresentazioni drammatiche producano una percezione positiva della comunità Lgbtqia+ nella società, rimane il fatto che siano riduttive delle esperienze reali e limitino le prospettive delle persone queer. 

Quattro fasi delle minoranze

Accanto a questa rappresentazione mainstream, ci sono però sempre state registe e registi che hanno provato a sovvertire l’eteronormatività del cinema. È soprattutto negli anni ‘90 che questo sforzo diventa evidente, quando le varie voci finiscono per convergere verso il movimento chiamato “New Queer Cinema”. In risposta alla crisi dell’Aids e al fallimento di Ronald Reagan nel rispondere a questa epidemia, il “New Queer Cinema” rifiutava l’eteronormatività che caratterizzava l’industria cinematografica negli anni ‘90 e metteva al centro la vita delle persone Lgbtqia+ escluse dalla cornice mainstream. Un esempio fondamentale è The Watermelon Woman (1996). The Watermelon Woman è il primo film statunitense diretto da una regista nera dichiaratamente lesbica, Cheryl Dunye. Parla di una comunità marginalizzata, ma senza ricadere nel tropo della vittima. Mette al centro la vita di due amiche nere lesbiche, Cheryl e Tamara, nella Philadelphia degli anni ‘90 e il loro progetto di ricerca su un’attrice nera degli anni ‘30. 

Le quattro fasi della rappresentazione delle minoranze: non-rappresentazione (quindi esclusione), ridicolizzazione, regolamentazione (rappresentazione limitata a certi ruoli sociali) e infine rispetto.

Passo dopo passo, l’impegno del “New Queer Cinema” è arrivato a conquistare anche il cinema meno di nicchia. Nel 1969, lo studioso Cedric Clark ha descritto le quattro fasi della rappresentazione delle minoranze: non-rappresentazione (quindi esclusione), ridicolizzazione, regolamentazione (rappresentazione limitata a certi ruoli sociali) e infine rispetto. Se il tropo narrativo “bury your gays” ricade nella terza fase – regolamentazione – le commedie rappresentano un passo in avanti verso il rispetto, inteso come la possibilità di ricoprire sia ruoli positivi che negativi. Come ha spiegato la regista Emma Seligman in un’intervista a Hollywood Reporter parlando del suo nuovo film Bottoms, “C’è un tale vuoto di storie di adolescenti queer che siano davvero appassionanti e che riflettano gli adolescenti imperfetti che ho conosciuto crescendo. Volevo solo vedere adolescenti superficiali, arrapate e disordinate che si dà il caso siano queer”. Seligman ha poi spiegato molto bene come nel tropo “bury your gays” non ci sia margine di errore per i personaggi queer: non possono sbagliare, non possono essere stronzi, possono solo essere delle vittime. L’ultimo film di Seligman si propone proprio di andare contro questa narrativa. La commedia queer Bottoms (2023) segue la tipica trama delle high school comedies: due sfigati che cercano di conquistare le ragazze popolari. C’è però un colpo di scena: al centro del film ci sono PJ e Josie, due amiche lesbiche che fantasticano sulle cheerleader. Le loro sfortune, però, non sono legate al loro orientamento sessuale. PJ e Josie sono sfigate, ma non perché sono gay: “Questa scuola ha un problema con le persone gay” “No, nessuno ci odia perché siamo gay. Ci odiano perché siamo gay, senza talento e brutte”. Per perdere la loro verginità con le ragazze popolari, le due amiche creano un “fight club” femminile nella scuola. Il film segue le disavventure di questo gruppo apparentemente femminista e ha un finale surreale, in cui sono le ragazze lesbiche a fare una strage di giocatori di football. 

La commedia è sovversiva

Le commedie permettono di utilizzare la risata come strumento politico sovversivo per resistere e decostruire la realtà. Così, le commedie queer diventano una dichiarazione politica, ricordano che le persone Lgbtqia+ non hanno bisogno di presentarsi come vittime per essere accettate e protette dalla società. Non ruotano sull’essere gay, sul coming out o su una storia tragica, ma ridono della realtà e dei protagonisti delle loro storie. I personaggi delle commedie queer hanno difetti e si comportano in modo immorale, proprio come chiunque altro.

I personaggi delle commedie queer hanno difetti e si comportano in modo immorale, proprio come chiunque altro.

Nel suo film Bottoms, Seligman gioca con il nuovo stereotipo della “vergine disperata e imbranata” – da non intendere come un’identità essenzialista, ma come un’arma satirica sovversiva. Mostra finalmente personaggi queer egoisti, opportunistici e imbranati proprio come i loro coetanei eterosessuali nelle high school comedies. Allo stesso modo, il film Addicted to Fresno (2015) ci mostra una donna queer imperfetta, libera dal tropo “bury your gays”. La dark-comedy, diretta da Jamie Babbit,ruota attorno alla vita di due sorelle che lavorano come cameriere in un hotel nel paese di Fresno. Martha è una donna fin troppo ottimistica, che è appena stata lasciata dalla sua ragazza, mentre Shannon è finalmente uscita dal rehab per la sua dipendenza dal sesso. Quando Shannon uccide accidentalmente un uomo, le due sorelle si ritrovano a dover occultare il cadavere. Pensano quindi di seppellire il corpo in un cimitero per animali domestici, ma vengono scoperte dai proprietari che le ricattano e chiedono 25mila dollari. Per raggiungere la somma, tentano una rapina in un sexy shop e convincono poi un loro collega ad aiutarle a rubare i soldi di un bar mitzvah. Nel corso del film, l’orientamento sessuale di Martha finisce in secondo piano rispetto ai problemi che le due sorelle devono affrontare e viene trattato con assoluta normalità. Insomma, finalmente il cinema offre delle narrazioni che vanno oltre le solite storie strappalacrime che raccontano le difficoltà di fare coming-out con la propria famiglia. Sì, sono rappresentative della realtà, ma forse questo non basta più. È arrivato il momento di esplorare nuove direzioni, proporre nuovi immaginari che siano rispettosi della comunità queer e allo stesso tempo non appiattiscano la moltitudine di esperienze individuali. La commedia può far fruttare il suo potenziale politico sovversivo e rivoluzionare il cinema, per mostrare realtà alternative come il mondo surreale di Bottoms

Continua ad esplorare

Usa le categorie per filtrare gli articoli

[NON PERDERTI LA NOSTRA NEWSLETTER SETTIMANALE]

Non perderti la nostra newsletter settimanale che ogni sabato raccoglie una selezione di storie e notizie che raccontano il mondo della creazione culturale, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità ambienale e sociale.