18.06.2024

La sessualità tremenda e meravigliosa e reale di Povere creature!

Come lo sguardo sregolato di Emma Stone ha rivelato la noia, il puritanesimo e il Potere del racconto maschile.

A mio modesto avviso una delle cose migliori che l’internet contemporaneo, per il resto piuttosto malconcio, ha da regalare sono le recensioni creative su Letterboxd. Ci sono interi profili su Instagram dedicati alla raccolta delle frecciatine migliori. Perfect Days, delicatissimo ritratto di un uomo cresciuto in una famiglia abbiente che sceglie di dedicare la propria vita alla pulizia dei bagni della capitale giapponese? “Facile girare a Tokyo questo film, fallo a Roma”, dice un utente di Letterboxd. La chimera, sogno lucido di Alice Rohrwacher ambientato tra i tombaroli della Tuscia degli anni Ottanta? “Vorrei essere una testa di marmo mozzata solo per sentire la gentile carezza di Josh O’Connor mentre dice che non sono fatta per gli occhi degli uomini”. Povere creature!, con una straordinaria Emma Stone nei panni di Bella Baxter, un’impossibile creazione della scienza, una donna adulta con il cervello di una bambina curiosa di scoprire il mondo? “Alle persone a cui non piace il sesso nei film verrà un’aneurisma quando se lo troveranno davanti”. 
Quella brillante recensione di una sola riga, circolata ancora e ancora sui social network man mano che Povere creature! arrivava al cinema in un paese dopo l’altro, aveva ragione. Online – e, soprattutto, su Twitter (o X, se qualcuno davvero lo chiama così), Povere creature! è stato oggetto di moltissime discussioni. Se moltissimi spettatori si sono detti stupefatti, incantati dal personaggio di Bella e di ciò che dice, come allegoria, della condizione femminile, su altri ha avuto un impatto più tiepido. Una parte piccola ma rumorosissima di utenti si è però accannita su un aspetto effettivamente centrale del film: le sue numerose scene di sesso.

“Alle persone a cui non piace il sesso nei film verrà un’aneurisma quando se lo troveranno davanti”.

Il sesso al cinema

C’è chi ha chiesto di smettere di dargli tutti quei premi – prima il Leone d’oro per il miglior film alla Mostra del cinema di Venezia, poi cinque BAFTA, due Golden Globe, quattro Oscar su undici candidature – per evitare l’imbarazzo di doverne parlare a cena con la propria famiglia. Chi ha scritto che «l’idea di fare un film in cui la protagonista ha il corpo di una trentenne ma il cervello di un’infante e tutti gli uomini vogliono approfittarsi di lei» ha fatto venire loro la nausea. Chi ha chiesto di boicottarlo perché sarebbe un film degradante per le donne, falsamente femminista, addirittura perché «normalizza la pedofilia». Chi ha detto di non aver bisogno di vederlo per sapere che era immorale e disgustoso, dato che il regista, Yorgos Lanthimos, è un uomo, e quindi non può ritrarre la sessualità femminile in modo rispettoso o empatico. In tutti questi casi, i commenti possono essere ricondotti a un fenomeno che negli ultimi anni si è diffuso a macchia d’olio sui social: una reazione viscerale, quasi puritana alla presenza di scene di sesso nei film e nelle serie tv.

Obiettivamente, guardando i dati, di sesso nei film non ce n’è granché: già nel 2021 la BBC faceva notare che “mentre la società si fa più sessualmente aperta, nei film per il grande pubblico le scene di sesso sono sempre meno”. Nel cinema di Hollywood, che poi è anche quello che consumiamo in larga parte in Europa, i film che contengono scene di sesso, peraltro molto corte e non particolarmente esplicite, sono più o meno il 2 percento ogni anno. Ce ne sono talmente poche che qualche giornalista ha avanzato l’ipotesi che l’ondata di lamentele verso l’eccessiva inclusione di scene di sesso nel cinema sia provocata proprio dal fatto che le persone siano disabituate a vederle, e quindi abbiano una reazione spropositata quando succede.

Spesso, questa inquietudine nei confronti delle “troppe” scene di sesso si manifesta in un tipo specifico di lamentela: quella secondo cui queste scene sarebbero “gratuite”, messe in mezzo alla storia senza senso, e inutili ai fini di raccontare la trama o capire i personaggi. È un’affermazione che fa arrabbiare molti appassionati di cinema perché parte dal presupposto utilitaristico che l’unica ragione di esistere di un prodotto culturale sia essere consumata nel modo più digeribile e lineare possibile, dimenticando il diritto del regista di esplorare il proprio mezzo espressivo d’elezione come gli pare e piace. Ma denota anche una visione piuttosto miope e un po’ triste del sesso come qualcosa di vergognoso e secondario nell’esperienza umana, inutile ai fini di capire meglio l’interiorità di un personaggio o il genere di rapporto che sviluppa con qualcun altro.

Povere creature!, al contrario, dà all’esplorazione sessuale della propria protagonista un ruolo di primo piano. La fame di scoperta di sé stessa e degli altri che spinge Bella a lasciare la casa in cui ha passato tutta la sua breve vita è voracità intellettuale e voglia di vedere il mondo, certo, ma anche inseguimento di un desiderio sessuale senza vergogna. Quel che ne esce è un commento brillante sulle tante convenzioni sociali (e patriarcali) che cercano di circoscrivere, smussare, sopprimere questo desiderio.

All’inizio del film Bella Baxter ha l’aspetto di un’Emma Stone trentacinquenne, bellissima ma molto strana: agli spettatori viene presto spiegato che è a tutti gli effetti un mostro, nello stesso modo in cui consideriamo un mostro la creatura portata in vita dagli esperimenti di Victor Frankenstein nell’opera di Mary Shelley. Il suo corpo senza vita è stato trovato sul bordo del Tamigi da uno scienziato appassionato di operazioni chirurgiche oltre il limite della moralità, Godwin Baxter, che ha deciso di rianimarlo, impiantando al posto del cervello della donna quello della neonata, ancora viva e prossima al parto, che ha in grembo. Lo scienziato la tiene rinchiusa nella sua casa, che è anche un laboratorio: la educa e la osserva da vicino, arrivando ad assumere un assistente che annoti tutto quello che mangia, i movimenti che fa, le parole che impara. 

Quello di Bella è uno sguardo curioso, avido di sapere: quello di una bambina che vuole sapere il perché di tutto, ma che trova anche assurdi i limiti che le persone attorno a lei sembrano autoinfliggersi per motivi, dal suo punto di vista, inspiegabili. Lo scopriamo già a mezz’ora dall’inizio del film, quando la guardiamo masturbarsi al tavolo della cucina. Indossa una lunga vestaglia bianca che la copre dalla testa ai piedi, ma capiamo che sta giocando a infilarsi un frutto tra le gambe. Soltanto nella scena precedente ha scoperto di poterlo fare: Lanthimos ci ha mostrato le sue gambe incurvarsi e poi il suo volto estatico, stupefatto dalla scoperta del piacere. «Signora Primm! Bella scoperto felicità quando vuole!», dice con slancio alla domestica che la coglie con le mani tra le gambe nella sala da pranzo. Quando prova a toccarle i genitali per spiegarle come si fa, però, la reazione non è quella che si aspetta: la signora non la prende per niente bene, la chiama una pervertita, sembra sotto shock. Le viene spiegato che «nella buona società, certe cose non si fanno».

“mentre la società si fa più sessualmente aperta, nei film per il grande pubblico le scene di sesso sono sempre meno”.

Il tabù della masturbazione

Non se ne parla molto spesso, anche perché parlare della sessualità dei bambini è una delle cose più scivolose che si possono fare (ed è reso ancora più difficile dal fatto che moltissimi genitori li vedono ancora come estensioni di sé prive di un’identità, dei pensieri o dei desideri propri e complessi), ma è piuttosto comune che gli esseri umani scoprano la masturbazione da piccoli, molto prima di sapere cosa sta succedendo. Tra i ragazzini questa cosa è un po’ più sdoganata: quella del dodicenne in piena tempesta ormonale che si chiude in bagno per ore o si porta rotoli e rotoli di scottex in camera è un’immagine ormai piuttosto diffusa, anche se spesso eccessivamente ridicolizzata, nei media mainstream. 

La masturbazione femminile è però talvolta un mistero anche per le donne stesse, e richiede ancora oggi la creazione di decine e decine di caroselli su Instagram che spiegano che masturbarsi è normale, bello, anche sano, fosse solo per cercare di venderti un sex toy. Ricordo bene l’amica che all’università diceva di non farlo perché la metteva a disagio prestare tutta quell’attenzione al proprio corpo, o le compagne di classe che negli spogliatoi dopo le lezioni di ginnastica si chiedevano “che senso ha masturbarsi se hai già un fidanzato?”, o gli utenti su Twitter che ancora oggi, nell’anno del signore 2024, rispondono ai post delle ragazze che parlano dei propri sex toys dando loro delle troie o chiedendo perché non possono trovarsi un uomo che le soddisfi più di un pezzo di gomma.

Parlando di come Povere creature! rifletta il rapporto delle bambine e delle ragazzine con la propria sessualità, e non invece quello della donna adulta che Bella dovrebbe essere, la ricercatrice australiana Saskia Roberts ha raccontato di un piccolo studio qualitativo che ha condotto, intervistando 23 ragazze italiane che sono state adolescenti tra il 1970 il 2010. “All’inizio del film, Bella impara a masturbarsi ed è deliziata da ciò che trova”, scrive Roberts. “Molte delle mie intervistate hanno ricordi simili, di scoperta di sensazioni piacevoli nel processo di esplorazione del proprio corpo (…) Le mie intervistate avevano normalmente un’età compresa tra i cinque e i dieci anni quando hanno fatto le prime esperienze di questo tipo, il che è normale e comune tra i bambini”. 

Queste esperienze, che pur dimostrano la presenza di impulsi sessuali, di ricerca e apprezzamento del piacere, tra le ragazze, sono però spesso del tutto ignorate nella rappresentazione e nella discussione, pur molto attiva, sulla sessualità femminile. “Si dà spesso per scontato che gli impulsi sessuali delle ragazze saranno risvegliati dalle avances dei loro fidanzati”, scrive Roberts. “Da qui vengono tutti i consigli, pur ben intenzionati, che dicono alle ragazze di non assecondare le pressioni dei maschi, il che presuppone che non siano mai loro stesse a voler fare sesso”.

In Povere creature!, questo presupposto è costantemente ribaltato: Bella chiede all’assistente di Godwin, che le ha appena fatto una proposta di matrimonio, di fare sesso con lei; poi, quando lui rifiuta perché sarebbe poco opportuno, scappa con un uomo che ha molti meno scrupoli, l’avvocato donnaiolo Duncan Wedderburn, e diventa la sua amante. L’appetito sessuale di Bella si rivela essere però molto più acuto di quello di Wedderburn, il che lo fa uscire di testa al punto da rapirla e caricarla su una nave da crociera nella speranza di limitarne gli orizzonti. Da spettatrice consapevole di ciò di cui l’umanità è capace, mi sono accorta presto che seguire le sue avventure voleva dire coesistere con la preoccupazione costante che le stesse per succedere qualcosa di terribile, che le insegnasse nel peggiore dei modi come può funzionare il mondo. Rendermi conto, alla fine, che l’intenzione di Lanthimos non era quella di riportare brutalmente lo spettatore alla realtà ma di creare un “percorso dell’eroina” allegorico e immaginifico di emancipazione dalle aspettative sociali e maschili è stato bellissimo.

Non mi ha stupito connettermi all’internet e assistere a uno stormo di persone che l’aveva interpretato in tutt’altro modo, vedendo in Povere creature! l’ennesimo esempio di inutile sessualizzazione di un personaggio femminile. Ma mi ha stranita, come mi stranisce sempre, perché come molte donne della mia generazione (a cavallo tra millennial e Gen Z, se vogliamo) sono cresciuta con un femminismo che sottolineava come le donne avessero lo stesso diritto di cercare, volere e provare piacere sessuale degli uomini, e che rivendicava la libertà di avere una vita sessuale attiva senza essere per questo giudicate inferiori agli uomini che si comportano esattamente nello stesso modo. Sono cose che abbiamo in larga parte ottenuto: mi è capitato più di una volta che vecchi amici del liceo o dell’università mi abbiano chiesto scusa per quello che pensavano o dicevano della mia attività sessuale quando eravamo più giovani. Oggi, per ogni persona che dà della troia a una donna che parla liberamente di sex toys o dating app ce ne sono cinque che la proteggono. E allora da dove viene questo puritanesimo attorno al sesso nei film?

La masturbazione femminile è però talvolta un mistero anche per le donne stesse, e richiede ancora oggi la creazione di decine e decine di caroselli su Instagram

Ma perchè questa vergogna?

Ci ho pensato a lungo, e sono giunta alla conclusione che la risposta non può prescindere, come sempre, dalla complessità. A partire dal fatto che i social network sono abitati in parte non indifferente da persone molto giovani, che in quanto tali non hanno esattamente le opinioni più sfumate dell’universo. Contare quanti siano le persone che non sarebbero abbastanza vecchie per stare sui social ma che ci stanno lo stesso è sostanzialmente impossibile, dato che mentono, appunto sulla propria età (come ho fatto anch’io a mio tempo, vorrei sottolineare). Sarei però disposta a mettere la mano sul fuoco sul fatto che molte delle opinioni più imbarazzanti e puritane sul sesso nei film appartengono a persone molto giovani che sono da una parte bombardate dall’offerta gigantesca di pornografia gratuita che si trova online, e dall’altra non hanno ancora avuto modo di scoprire la bellezza e la profondità del sesso al di là delle prime, spesso catastrofiche, esperienze. Pure il fatto che probabilmente debbano guardare questi film sul divano di casa con i genitori sicuramente non aiuta ad apprezzarle.

Un altro tassello è rappresentato dal fatto che, soprattutto dopo le tante denunce del movimento #MeToo, per molte è complesso guardare questo genere di scene senza temere che le donne ritratte al loro interno siano state vittime di qualche tipo di abuso sul set: è stato il caso di Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos in Blue is the warmest colour ma pure di Marie Schneider in Ultimo tango a Parigi, ma anche Salma Hayek in Frida, Nicole Kidman in Big Little Lies, Emilia Clarke in Game of Thrones. Da allora soprattutto nel cinema anglosassone è stata introdotta la figura dell’intimacy coordinator, ovvero una persona che si assicuri che gli attori siano a loro agio prima, durante e dopo le scene di sesso. Ma non è strano che il pubblico si domandi quanto le persone che vede sullo schermo avessero voglia di mostrarsi nude, e negli ultimi anni è successo che vari attori, da Penn Badgley a Henry Cavill, abbiano chiesto ai propri produttori di tagliare quante più scene di intimità possibili sui set in cui lavorano. Alcuni registi hanno sottolineato che questa tendenza al puritanesimo è radicata molto più fortemente tra il pubblico statunitense che tra quello europeo. Ira Sachs, autore del recente Passages, che racconta di un triangolo amoroso tra un regista tedesco, suo marito e una giovane donna, ha detto per esempio che “le tradizioni e la morale al di fuori degli Stati Uniti sono molto diverse”, e che non ha incontrato alcuna reticenza a girare questo genere di scene da parte degli attori che ha scelto, ovvero Frank Rogowski, Ben Whishaw e la già citata Exarchopoulous. 

C’è poi il fatto che un numero crescente di persone sembra del tutto priva di un concetto basilare necessario alla fruizione e comprensione dei media che consuma, ovvero che includere qualcosa nel proprio film non vuol dire necessariamente essere d’accordo con quella cosa. E che quindi se gli uomini di Povere creature! sfruttano e sminuiscono Bella – uno di loro, a un certo punto, proverà addirittura a infibularla dopo averla fatta prigioniera – non vuol dire che Lanthimos ritenga che la sua protagonista si meriti di essere trattata in quel modo. A maggior ragione quando il film non fa altro che sottolineare quanto ridicola e infima si riveli essere la volontà di controllo maschile se la si osserva un po’ più da vicino. Sono discorsi che sembra difficilissimo fare online, fosse solo perché discutere di temi complessi su piattaforme che espongono il tuo pensiero a migliaia di sconosciuti spinge spesso il livello della discussione tremendamente verso il basso. E così parti volendo parlare delle forti provocazioni che Lanthimos e Stone lanciano dal proprio film – sulla prostituzione, il matrimonio, la famiglia, la libertà – e finisci costretta a tornare per l’ennesima volta alle basi del consenso, del femminismo, del rispetto reciproco.

un numero crescente di persone sembra del tutto priva di un concetto basilare necessario alla fruizione e comprensione dei media che consuma

Sia Lanthimos che Emma Stone, che interpreta Bella ma ha anche avuto un ruolo di primo piano nella produzione del film, si sono lamentati pubblicamente del fatto che un pezzo del pubblico abbia deciso di interpretare la storia in modo eccessivamente letterale, scegliendo di vedere Bella come una donna che ha letteralmente il cervello di una bambina, e non come un’allegoria per l’infantilizzazione subita storicamente anche dalle donne adulte, ritenute incapaci di votare, lavorare, fare qualsivoglia decisione sulla propria vita, da cui Bella si emancipa una scelta alla volta. “Io non l’ho mai vista come una bambina in alcuna di quelle scene”, ha detto per esempio Stone.

Più interessante, e meno superficiale, è guardare a Povere creature! in buona fede, cercando di capire cosa intendono dirci tutte quelle scene di sesso. In una bella recensione su GQ, per esempio, la critica Daisy Jones scrive di aver molto apprezzato il fatto che spesso nel film queste scene non sono né straordinarie né traumatiche, ma soltanto rappresentative di un tipo di sesso che chiunque si è trovato a fare, prima o poi: bizzarro, scoordinato, poco piacevole, mediocre. “Ci viene presentato come un’esperienza ricca di sfumature, che può essere scomoda e complicata, e che non è sempre la cosa migliore che può capitarti, ma che spesso è anche divertente e talvolta incredibile”, dice Jones. “Mentre noi siamo abituati a vedere scene di sesso di due tipi: strabilianti e tenere, atte a mostrare quanto compatibili sono due persone, oppure talmente traumatiche da essere difficili da guardare. È molto più raro che ci venga mostrata una via di mezzo (…). Ma con ogni esperienza sessuale, Bella impara a conoscere se stessa e le altre persone, come accade a molte donne, specie tra l’adolescenza e i vent’anni, prima di acquisire maggiore consapevolezza di ciò che veramente desideriamo. Il sesso è solo l’ennesima cosa di cui Bella deve fare esperienza”. 

Fa un ragionamento simile e molto interessante Becca Rothfield in un lungo articolo sul New Yorker che esamina la filmografia di un altro regista che per decenni ha inquietato gli spettatori dagli animi più delicati, David Cronenberg. Secondo Rothfield, al centro delle tante critiche nei confronti della rappresentazione della sessualità nei film c’è un conservatorismo di fondo terrorizzato dalla possibilità che la società sia sempre sull’orlo di collassare sotto il peso della devianza sessuale altrui. Lo stesso terrore da cui scaturisce l’omobitransfobia, l’umiliazione delle donne che vogliono esplorare liberamente il proprio desiderio, la totale opposizione all’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. Quello che sta dall’altra parte di questo conservatorismo è complesso, contraddittorio, spesso spaventoso o comunque travolgente per le persone che decidono di viverlo. Ma come dice Madame Swiney, la donna che gestisce il bordello parigino in cui Bella scopre il socialismo, la bisessualità, l’indipendenza economica ma anche l’ambiguità, la subordinazione e la violenza dei rapporti tra generi: “Dobbiamo sperimentare ogni cosa, non solo il bene, ma anche il degrado, l’orrore, la tristezza. È questo a renderci completi”.

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