A distanza di quasi un decennio è un po’ cringe ammettere di aver sinceramente creduto in questa cosa, ma per tre o quattro anni, all’inizio degli anni Dieci, sembrava davvero che il futuro fosse al femminile, come dicevano milioni di magliette, sticker, cappellini, infografiche su Instagram.
Una Emma Watson fresca di Harry Potter parlava della necessità di combattere le disuguaglianze di genere alle Nazioni Unite e il video circolava ovunque, avvicinando per la prima volta un numero incalcolabile di ragazzine e ragazzini al concetto di femminismo. Beyoncé si esibiva ai VMA di fronte a una gigantesca scritta FEMINIST; nella sua Flawless, passata in radio milioni di volte, includeva la voce della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie intenta a dire che la definizione di femminista è «una persona che crede nell’uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi». Una donna era tra le manager di maggiore spicco di Facebook, il social network più amato del mondo, e aveva venduto milioni di copie di un libro che prometteva di spiegare alle giovani professioniste come fare carriera in settori dominati fino a quel momento in larga parte da uomini. Nuovi termini nascevano e venivano accolti con entusiasmo (manspreading, mansplaining), altri venivano tirati fuori da cassetti che non venivano toccati da decenni (tra tutti, patriarcato). Era un femminismo individualista, all’acqua di rose, saldamente concentrato sul concetto di empowerment a scapito delle lotte collettive, certo. Ma era dappertutto.
Dall’empowerment di Hillary a Kamala
Sembrava, peraltro, che una donna fosse davvero a un passo da diventare presidente della più grande potenza economica e militare del mondo. «Se [Hillary Clinton] fosse diventata presidente», scriveva la giornalista Michelle Goldberg nel dicembre del 2016, « l’avrebbe fatto a dispetto di una diffusa opposizione maschile: anche i modelli che prevedevano una sua vittoria la mostravano perdente tra la maggior parte degli elettori maschi. [Clinton] proponeva politiche che avrebbero effettivamente aumentato il potere e l’autonomia delle donne a ogni livello della società: parità di retribuzione, congedo familiare retribuito, assistenza all’infanzia sovvenzionata, diritto all’aborto. Nonostante i suoi tanti difetti, la sua elezione sarebbe stata un progresso verso l’uguaglianza di genere e avrebbe reso possibile progressi ulteriori. Prima dell’8 ottobre [2016], sembrava che l’arco della Storia si stesse piegando a favore delle donne».
C’è chi ha nutrito qualche speranza simile anche nel novembre del 2024, augurandosi che Kamala Harris riuscisse a vincere le elezioni presidenziali statunitensi nonostante avesse avuto poco più di 100 giorni per organizzare una campagna elettorale credibile. Ma la sensazione che la Storia (dell’America, del mondo) stesse virando verso l’uguaglianza di genere e la marginalizzazione definitiva della misoginia era defunta da tempo, abbattuta dall’ascesa di un antifemminismo diffuso sia alle urne che, soprattutto, online.
Del tema sui giornali si è parlato tantissimo nei giorni successivi alla seconda elezione di Donald Trump. Secondo gli exit poll di NBC News, il candidato repubblicano alla presidenza statunitense è andato fortissimo tra i giovani uomini, ottenendo tra le altre cose il 56 per cento delle preferenze tra i giovani bianchi senza laurea. In parte, come è stato molto scritto, c’è riuscito andandoli a cercare negli angoli digitali più frequentati da giovani uomini: podcast, canali YouTube o Twitch dedicati a sport o videogiochi, show di comici gen Z seguiti da milioni di persone, spazi dove tendenzialmente si parla poco di politica in senso stretto, ma che vengono associati molto più con la destra che con la sinistra anche per via della loro scarsa tolleranza per il “politicamente corretto” e per chi osa prendere sul serio tematiche sociali delicate.
Economia del rancore misogino
Al contempo, però, Trump ha semplicemente continuato a cavalcare con grande successo una retorica a cui aveva già cominciato a lavorare nel 2016, all’epoca affiancato da Steve Bannon, ideologo notoriamente vicino agli ambienti dell’alt-right internazionale. E quindi si è concentrato moltissimo sul mostrarsi vicino alle preoccupazioni dei giovani uomini, soprattutto bianchi, che fanno fatica a completare la propria educazione, a trovare un lavoro soddisfacente, a mantenere una qualità di vita decente a fronte dell’aumento del prezzo della casa e dei beni primari, ad avere una vita affettiva, romantica, sessuale appagante. A fronte di questi problemi – che colpiscono peraltro in maniera molto simile anche le loro coetanee, e molto spesso in modo peggiore le persone razzializzate – il fronte conservatore riesce da anni con grande successo a spostare l’attenzione di una buona percentuale di uomini verso un presunto colpevole: la sinistra, la “cultura woke”, il femminismo.
Tutto il resto, però, rientra apertamente in una narrazione vittimista – quella del maschio risentito che teme di essere in via d’estinzione
Per citare il narratore anonimo di una pubblicità mandata in onda in radio e in televisione in Pennsylvania, uno degli stati in bilico, prima dell’elezione: «Mi sono diplomato, ho trovato lavoro, mi sono impegnato per avanzare nella vita. E a ogni occasione i Democratici mi hanno detto che il problema erano gli uomini bianchi. Hanno fissato delle quote nelle scuole per escluderci, hanno distorto i meccanismi dell’economia americana a nostro svantaggio e si sono voltati dall’altra parte quando siamo stati lasciati indietro. Anche se facciamo tutto come dovremmo, Harris e i Democratici troveranno un modo per farcela pagare».
È vero che negli ultimi anni il Partito Democratico statunitense ha messo al centro della propria piattaforma politica la protezione specifica dei diritti delle donne, a partire da quello ad abortire, minato con successo da una Corte suprema spostata molto a destra da Trump. Tutto il resto, però, rientra apertamente in una narrazione vittimista – quella del maschio risentito che teme di essere in via d’estinzione, o quanto meno del maschio spaventato che abbocca a una spiegazione semplice per la propria situazione – che da anni si diffonde a macchia d’olio online, e che ha fatto la fortuna economica di un certo numero di personaggi, ben al di là di Trump.
Alla cosiddetta “quarta ondata” del femminismo e alla grande diffusione di storie di molestie e violenze scatenata dal movimento #MeToo, sul web nell’ultimo decennio si è opposto con enorme virulenza un universo di gruppi antifemministi. Gruppi che vengono da esperienze diverse, si sono sviluppati in momenti diversi e ci tengono molto a ribadire le differenze tra loro, ma che finiscono comunque per essere compatti nell’identificare nel femminismo (e nei peggiori stereotipi affibbiati storicamente alle donne) la causa delle sofferenze del genere maschile, se non del collasso della società nel suo insieme.
I membri di questi gruppi partono da vissuti e priorità anche molto diverse tra loro: i men’s rights activists originali, che affondano le radici in movimenti che esistono dagli anni Settanta (e quindi da qualche ondata di femminismo fa), partono per esempio dalla percezione di ingiustizie e disuguaglianze sociali a discapito degli uomini, come la leva militare obbligatoria o gli assegni di mantenimento che vanno molto spesso a favore delle donne in seguito a un divorzio eterosessuale. Gli incel, che fanno altrettanto parte della manosfera, si concentrano principalmente sull’idea che non riusciranno mai a trovare una partner romantica (ma soprattutto sessuale), e incolpano le donne (e il femminismo, naturalmente) di questa ingiustizia.
Crescere nella manosfera
Sotto a questo termine ombrello, insomma, sta una marea di vissuti diversi, e gradi diversi di odio più o meno viscerale, per le altre ma anche per sé stessi. A metterli d’accordo è la volontà di reagire a una narrazione femminista percepita come dannosa e dominante: come hanno scritto le ricercatrici Valerie Dickel e Giulia Evolvi nel 2022, questa nuova onda lunga di misoginia digitale «agisce come forza contraria al femminismo: se i femminismi cercano di cambiare la società, i gruppi della manosfera costituiscono una forza reazionaria volta a mantenere lo status quo patriarcale».
Fino a qualche anno fa, per essere esposti alla visione del mondo di questi gruppi bisognava sapere dove si ritrovavano: blog e forum di nicchia, angoli di 4chan e Reddit che flirtavano costantemente con la possibilità di essere bannati. Negli ultimi anni, però, molte delle loro posizioni sono diventate molto più accessibili e visibili per via degli algoritmi di raccomandazione dei contenuti che utilizzano masse di dati relativi al comportamento e ai gusti degli utenti per somministrare loro video, foto e post. Più un contenuto è divisivo, più tocca corde dell’animo umano che fanno rumori bestiali, meglio è.
Perché i catastrofisti e i reazionari sono così onnipresenti nei feed dei giovani maschi?
Così, l’odio verso le femministe (e quello verso le donne) si è spostato prima su YouTube e poi su TikTok, peraltro terreno ideale per il genere di uomo che non si fa alcuno scrupolo a sfruttare le debolezze e le insicurezza di ragazzi anche molto giovani per fare un mucchio di soldi, come dimostra egregiamente la popolarità dell’influencer misogino Andrew Tate. Non aiuta il fatto che la misoginia abbia dalla propria parte migliaia di anni di stereotipi, mistificazioni e bugie radicatissime anche nella cultura contemporanea. Vive e vegete al bancone del bar dell’angolo come nei forum, nelle sezioni commenti come ai pranzi di famiglia, nei consigli d’amministrazione come nei dipartimenti di risorse umane, nelle relazioni di coppia eterosessuali, nei cervelli delle donne stesse. La manosfera starà pur distruggendo rapporti interpersonali, ispirando sparatorie di massa e rovinando la salute mentale anche di molte persone che ne fanno parte, ma non si è inventata nulla.
“Yeah bro I’m just worried about Kamala’s tax plan” pic.twitter.com/82buLewASP
— W.E.B. DaBoi (@Tyre_94) November 5, 2024
«È assolutamente vero che il tono e il contenuto dei video che le persone consumano su TikTok o Instagram influenzano la loro comprensione del mondo che li circonda, ma lo stesso vale per le loro esperienze offline, le loro relazioni, il loro lavoro, i loro stati mentali, i loro mondi sociali, le loro abitudini di spesa e così via. Perché i catastrofisti e i reazionari sono così onnipresenti nei feed dei giovani maschi?», si è chiesto per esempio il giornalista Max Read qualche giorno dopo la vittoria di Trump. «Potrebbe essere che quel genere di video sia ciò che quelle persone vogliono vedere, per ragioni in gran parte esterne a TikTok? Andrew Tate sta davvero trasformando da solo giovani idioti innocenti e senza cervello in misogini? Mi sembra molto più probabile che alcuni giovani uomini portino su TikTok e YouTube una serie di presupposti misogini e maschilisti, e che queste idee vengano rafforzate e trasformate in convinzioni consolidate. D’altronde, nessuno YouTuber o opinionista ha mai perso il lavoro perché ha detto alla propria audience esattamente quello che voleva sentirsi dire».
Come si esce da qui?
Alcuni ne escono crescendo, affezionandosi a persone che non corrispondono alla loro comprensione sfasata del reale, oppure rendendosi conto che le risposte trovate nella manosfera li fanno stare peggio di quanto non stessero prima. Altri faticano ad andarsene perché la manosfera è l’unica comunità che hanno, o perché la loro ideologia è legata troppo strettamente al loro senso di sé, o perché vogliono continuare a sentirsi dei coraggiosi anticonformisti che non hanno paura delle conseguenze di quello che pensano.
Che si tratti di un ragazzo appena tradito dalla fidanzata, di un gamer convinto che il politicamente corretto stia rovinando tutto ciò che ama, di un adolescente che fatica molto con l’autostima o di una persona cresciuta con la convinzione che le donne dovrebbero stare in cucina e idealmente lasciar votare ai mariti, l’offerta di misoginia online negli ultimi anni si è ampliata abbastanza da abbracciare qualsiasi preoccupazione e promettere una risposta semplice. Sempre più spesso, è una risposta che passa da una transazione economica esortata da un personaggio carismatico che sembra affascinante, muscoloso, di grande successo: per diventare proprio come lui, dice, è sufficiente l’iscrizione a un corso per diventare uomini alpha o per imparare a rimorchiare le tipe per strada, l’acquisto di supplementi per aumentare i muscoli, servizi di coaching personalizzati.
il loro unico obiettivo è perpetuare una sensazione di risentimento, entitlement e pensiero magico
«La genialità – e l’immoralità – della manosfera risiede nella sua potente miscela di problemi autentici, ideologia discutibile e marketing intelligente. Non hanno torto su tutto. Sì, ci sono molti uomini che faticano a rapportarsi con la propria identità. Sì, il mondo delle relazioni è difficile e confusionario. Sì, esistono disuguaglianze e doppi standard che influenzano negativamente anche gli uomini. Ma a loro non interessa nulla di tutto questo: il loro unico obiettivo è perpetuare una sensazione di risentimento, entitlement e pensiero magico. È come offrire un bicchierino di whisky a un alcolizzato: può far sentire bene sul momento, ma peggiora i problemi di fondo.», riassume la giornalista JA Westenberg. «E certo, c’è anche chi ci tiene sinceramente alla salute mentale degli uomini. Ma le loro voci vengono soffocate da una cacofonia di bugiardi, truffatori, presunti stupratori e “coach” che hanno scoperto una formula semplice ma potente: sfruttare le insicurezze maschili, offrire soluzioni semplicistiche e monetizzare il tutto». Se a perderci dovesse essere la società nel suo complesso, peccato.