Nato nel 2021 tra le strade di Roma, Santomanifesto è un collettivo artistico che nasce quasi per gioco con una serie di affissioni irriverenti nel centro di Roma. Il gruppo si è progressivamente trasformato in un laboratorio dove illustratori, designer, artisti e stampatori collaborano per sperimentare un nuovo linguaggio visivo. Non si tratta semplicemente di grafica, ma una pratica di comunicazione che attraversa lo spazio urbano.

Per l’edizione 2025 della Magnum D’Artista, Calafuria ha scelto di affidare la propria immagine alla loro visione. Con la curatela di Siamomine che ha fatto da ponte tra Calafuria e il contesto culturale della città di Roma — prende forma a partire dal concept “Nel bere e nel mare”, un dualismo che attraversa l’identità stessa del rosé pugliese: da una parte la convivialità, il gesto quotidiano del brindisi; dall’altra il mare, come spazio fisico e mentale, rilassato e luminoso.
L’etichetta è diventata manifesto, nel senso più autentico del termine: qualcosa che dichiara, che invita, che si mostra. Per l’occasione abbiamo chiesto a Santomanifesto di raccontarci come nasce un’etichetta che si guarda, si colleziona e, soprattutto, si condivide.

Cos’è Santomanifesto e com’è nato questo nome così evocativo?
Santomanifesto è un incubatore di artisti, pittori, grafici, illustratori, designer. Riproduce le loro opere su carta per diffonderle a un prezzo accessibile al grande pubblico. L’idea è quella di portare l’arte nelle case delle persone, invece di tenerla solo nei musei, nelle gallerie, nei luoghi istituzionali, ostaggio di critici e curatori. Il nome è ispirato alla famosa Taverna Santopalato di via Vanchiglia, che fu il ristorante futurista di Torino. Abbiamo pensato così a Santomanifesto.



Da dove siete partiti per immaginare l’etichetta della Magnum D’Artista 2025?
Siamo partiti da una frase che mixasse, sia attraverso un gioco di parole che attraverso un gioco grafico, la convivialità del bere e l’atmosfera sognante del mare, quindi Calafuria con le sue origini mediterranee.
C’è stata una suggestione iniziale, una parola chiave, un colore, un’emozione che ha guidato il lavoro?
Siamo partiti da un pattern di elementi grafici ricorrenti, da cui poi sono emersi dei veri e propri motivi: il bicchiere su tutti, con il moto delle onde sullo sfondo.


Il concept dell’etichetta gioca sul dualismo, tema chiave anche per Calafuria. Cosa rappresenta per voi questa tensione tra opposti? E come si è tradotta graficamente?
Sì, esatto, nell’etichetta il mondo sommerso, marino, torna a galla, e allo stesso tempo il mondo del vino, la convivialità, sembra svolgersi sott’acqua. Come a dire che non c’è differenza tra le due cose, che il mare è un elemento che compone la sostanza stessa di Calafuria, e che Calafuria è parte stessa del suo mare, da cui prende origine.
L’etichetta è solo una parte del progetto: accanto c’è il manifesto. Come dialogano tra loro queste due superfici?
Sicuramente attraverso una palette di colori e un pattern che ricorrono su entrambi, in modo da tenere l’occhio dello spettatore all’interno di una stessa atmosfera, di una stessa suggestione. Ritornano le linee, i movimenti: la cornice è altrove ma l’immaginario è lo stesso.

In un mondo dominato da contenuti effimeri e scroll veloci, perché continuate a credere nel potere del manifesto? Che tipo di attenzione o relazione cercate di innescare con chi guarda i vostri lavori?
Quello del manifesto è un modo di comunicare antichissimo, che si è trasformato nel tempo – cambiano le tendenze, quindi gli stili, i font, i colori – ma non è mai morto. Il manifesto ha una versatilità di usi incredibile. Lo possiamo trovare in strada, nell’uso che ne fanno i grandi marchi e la politica, come elementi di arredo di negozi e uffici, e come specchio della propria personalità nelle case delle persone. È un ponte tra l’arte e la pubblicità, il luogo dove queste due realtà si incontrano e dialogano. Per questo ancora oggi ha una forza, un’immediatezza, che molti altri supporti non hanno.