15.04.2025

I dipinti di Vilhelm Hammershøi ci raccontano il nostro bisogno di silenzio

Vilhelm Hammershøi, artista danese che visse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, con i suoi dipinti di spazi domestici, spesso spogli e inanimati, offre allo spettatore l’opportunità di entrare in contatto se stesso, immergendosi in un silenzio a cui, forse, non è poi tanto più abituato.

Se sei un millennial o appartieni alla Gen Z ci sono ottime possibilità che nel corso della tua vita virtuale ti sia già accorto, almeno un paio di volte, di quel rumore, a volte bianco, a volte grigio, a volte assordante, che proviene dai social media. Il rumore dell’audio di un reel, il rumore delle immagini scattate al buio, delle informazioni, delle opinioni, delle polarizzazioni, delle ingiustizie, delle frasi a effetto, dei cagnolini e dei meme che riempiono i nostri schermi e il nostro immaginario, ormai saturo.

Vivremmo diversamente se ci fosse ancora spazio da esplorare o da godere semplicemente dentro la nostra mente? A pensarci bene, quando mi capita di frugare nella mia mente, ho spesso la sensazione di trovarmi in una stanza ricoperta da carta da parati colorata, tappezzata di quadri e cornici fatiscenti, riempita di tappeti. All’interno di questa stanza, ogni superficie è occupata da un oggetto, un candelabro, una piccola statuina, una porcellana, un portacenere, un piattino dipinto a mano, una pila di libri… Abbiamo paura del vuoto? Viviamo, forse, nel timore dell’assenza (di suoni, di oggetti, dell’altro)?

L’horror vacui della nostra quotidianità

Spesso, infatti, la nostra di vita di tutti i giorni si riempie, di eventi, di incontri, di cose da fare o che crediamo di dover fare come se anche noi, come la natura per Aristotele, avessimo così tanta paura del vuoto da riempire le nostre vite e le nostre giornate fino all’orlo. Così, finiamo per trovarci davanti a una situazione che potrebbe sembrare paradossale: l’assenza ci fa così paura che ci ammaliamo del sintomo contrario. Ci ingozziamo, più o meno volontariamente, di immagini, di frasi, di contenuti, di rumori di sottofondo che non ci facciano mai percepire il vuoto e la nostra inevitabile solitudine. Ma c’è di più.

Infatti, arrivati a questo punto, potrebbe esserci utile cercare di seguire un’educazione emozionale che passi proprio attraverso la conoscenza di quello che noi percepiamo come vuoto. In un’epoca che ci riempie di voci, così tante che diventa spesso difficile riuscire a distinguerle, potremmo avere bisogno semplicemente di un po’ di silenzio, di vuoto. “Ho sempre pensato che una stanza potesse essere così bella anche se non c’erano persone, forse proprio quando non ce n’erano” ha detto il pittore Vilhelm Hammershøi, come riporta The Art Story, un’enciclopedia online sulla storia dell’arte. Ed è proprio il pittore danese a ricordarci l’importanza di quelle cose che, a volte, per eccesso di familiarità, cominciamo a dare per scontato, o meglio di cui sembra che non ci rendiamo più conto.

Alla scoperta del vuoto: Vilhelm Hammershøi

Vilhelm Hammershøi, da qualche tempo riscoperto e celebrato, è diventato uno dei più noti e importanti artisti scandinavi in tutto il mondo, con le sue stanze spoglie, i suoi colori tenui e freddi ma soprattutto con quel silenzio “assordante” che risuona proprio a partire dalle sue tele. I dipinti ci immergono in un’atmosfera di riflessione interiore, di ricerca e di attesa.

Sebbene l’artista inviti ripetutamente lo spettatore a visitare la sua casa, non condivide nulla di privato.

Qui ritroviamo quella stessa solitudine che aspetta con noi alla banchina dell’autobus in una fredda e umida serata invernale, quella sensazione che per qualche attimo ci permette di emergere dal tran tran della nostra quotidianità, come se ciò che custodiamo dentro di noi – e che può capitare che non abbiamo modo o proprio non desideriamo affrontare – fuoriuscisse. “Gli interni di Hammershøi sono dipinti di genere che mancano di narrazione e non tradiscono nulla degli abitanti. Sebbene l’artista inviti ripetutamente lo spettatore a visitare la sua casa, non condivide nulla di privato. È un immenso silenzio quello che domina le stanze di Hammershøi e la cui presenza cattura lo spettatore. Questo effetto è rafforzato dalla tavolozza, concentrata in pochi colori tenui, che non offre alcuna distrazione” ha commentato Felix Krämer, grande conoscitore del pittore danese, proprio in occasione della retrospettiva che si è tenuta alla nuova galleria di Hauser & Wirth a Basilea nel 2024 dal nome “Vilhelm Hammershøi. Silence” di cui è stato il curatore.

E se nel vuoto non si nascondesse alcun mostro?

All’inizio potrebbe essere un po’ doloroso, rimanere immersi nel silenzio a stretto contatto con noi stessi, le nostre emozioni e i nostri pensieri. Ma abbiamo ormai imparato che questa pratica di avvicinarsi a noi stessi, in punta di piedi senza fare rumore, sebbene possa essere in parte un’esperienza malinconica, triste o spaventosa, è anche un percorso che ci porta a un miglioramento. Stiamo meglio emotivamente, ci sentiamo più consapevoli, l’oscurità che a volte percepiamo è più illuminata e ci siamo avvicinati a noi stessi: siamo diventati, anche se per una sola sera, anche solo per quei secondi o minuti in cui osserviamo una tela di Hammershøi, alleati di noi stessi.

In questa prospettiva ricordiamo le parole del poeta tedesco Rainer Maria Rilke (1875 -1926) “Hammershøi non è uno di quelli di cui si debba parlare rapidamente. La sua opera è lunga e lenta, e ogni volta che la si studia, quel momento sarà sempre un’occasione per parlare dell’importante e dell’essenziale nell’arte”, come leggiamo sul sito della mostra alla galleria di Basilea Hauser & Wirth e come riporta anche il Corriere.

Come faceva a concentrarsi, come si chiese anche il poeta Rilke che avrebbe voluto scrivere sul pittore, quando c’erano così pochi oggetti su cui fissare lo sguardo?

I quadri di Vilhelm Hammershøi non solo raccontano la solitudine e il silenzio ma anche la fedeltà e l’amore del pittore per la sua città d’origine, Copenhagen. Ed è proprio l’appartamento in cui il pittore visse dal 1898 al 1908, come leggiamo sul sito di Staedel Museum, insieme a sua moglie Ida, che spesso vediamo ritratta di spalle in questi luoghi spogli e apparentemente freddi, ad avere quasi un ruolo da protagonista nella produzione artistica di Hammershøi. In particolare, è la casa di Strandgade 30, con le sue stanze luminose e arredate con grande semplicità che ci immergono in quel silenzio statico e color cobalto che caratterizza le sue tele.

Ma che cosa trovava l’artista in queste stanze spoglie? Come faceva a concentrarsi, come si chiese anche il poeta Rilke che avrebbe voluto scrivere sul pittore, quando c’erano così pochi oggetti su cui fissare lo sguardo? Sebbene qualcuno dica che non fosse un uomo di molte parole, la risposta proviene da Hammershøi in persona “ciò che mi spinge a scegliere un motivo sono… la linea, quello che mi piace chiamare l’atteggiamento architettonico dell’immagine. E poi la luce, naturalmente. Ha certamente anche lei molto da dire, ma ciò che ha più significato per me sono proprio le linee”, come riporta in un inglese un po’ incerto The Art Story.

Affrontare il silenzio: la mostra “Hammershøi e i pittori del silenzio” a palazzo Roverella.

Quando si parla di silenzio una delle prime frasi che spesso viene citata, forse a ragion veduta, è la famosa citazione tratta dal dialogo tra Mia Wallace e Vincent Vega in Pulp Fiction.

Riuscire a stare in silenzio con qualcuno, e noi aggiungiamo anche con se stessi, è il segno che si sta davvero bene. Ebbene, se vogliamo regalarci qualche ora per riflettere, per rimanere in silenzio e riuscire a trovare una posizione per rimanere presenti “nel vuoto”, vi basti sapere che dal 21 febbraio al 29 giugno 2025 potrete visitare la mostra “Hammershøi e i pittori del silenzio” che si terrà a palazzo Roverella, a Rovigo. Qui potrete trovare più di 100 opere a introdurvi nella visione artistica del pittore danese insieme ai dipinti dei suoi contemporanei. Come leggiamo sul sito della mostra “una pittura che racconta il silenzio e l’introspezione, dove gli ambienti domestici così come le vedute cittadine descrivono i paesaggi dell’anima”. La mostra, se desiderate approfondire, è promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Comune di Rovigo e Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo ed è curata da Paolo Bolpagni.

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