La gioia espressa mentre si infligge dolore è un mistero che mi porto dietro da quando mi arrestarono a Genova nel 2001 e mi trasferirono nella caserma di Bolzaneto. Cosa sono queste risate mentre si frantumano costole e si spaccano denti di persone alla propria mercé?
Sono naturalmente attratto da tutti i racconti che provano a girare intorno a questa domanda. Mi ricordo che quando tornai a casa e descrissi la violenza delle forze dell’ordine molte persone mi dissero: “È fascismo”. Ma il rumore della risata durante gli abusi è qualcosa che nessuno, credo, sia mai riuscito a definire adeguatamente.
Poi ho potuto assistere in anteprima a tutte le otto puntate di M – Il Figlio del Secolo, e ho visto il ghigno di Italo Balbo.
È una serie tv prodotta da Sky Studios e The Apartment. È tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati che vinse il Premio Strega sei anni fa. La sceneggiatura è di Stefano Bises e Davide Serino (il soggetto è stato scritto insieme a Scurati) e la regia è del britannico Joe Wright.
Mussolini ci accompagna dalla fondazione dei Fasci di combattimento, 1919, fino al gennaio 1925, esattamente cento anni fa, quando il duce tenne un discorso in parlamento in cui rivendicava la responsabilità politica e morale delle violenze fasciste e dell’omicidio del deputato socialista Matteotti.
M non è un Mostro
Durante la conferenza stampa di presentazione della serie Joe Wright ha spiegato che la sfida più importante aveva a che fare con Mussolini. Non avrebbe dovuto “essere un clown”, né un mostro, ma un essere umano con cui si poteva provare addirittura empatia: questa è la grande scommessa politica e drammaturgica della serie.
E credo che questo principio narrativo potrebbe essere la cartina di tornasole su cui si rivelerà la maturità artistica del nostro Paese. Dalla reazione di pubblico e media comprenderemo se in futuro i drammaturghi gli sceneggiatori gli scrittori potranno trattare il pubblico in maniera adulta oppure alla stregua di un bambino da educare.
Fin dall’iniziale voice over sulle immagini di repertorio in bianco e nero, intuiamo di essere finiti dentro una prospettiva straniante: Mussolini parla con noi. Ci spiega come sono andate le cose guardando dritto nell’obiettivo. Rompe la quarta parete – una convenzione scenica teatrale (e poi cinematografica) per cui il pubblico e i personaggi sono divisi da una barriera, trasparente per il primo e opaca per i secondi che non sono consapevoli di essere osservati. La rottura è un meccanismo shakespeariano (in realtà, anche se non conosciamo la declinazione scenica, veniva usato già nel coro della tragedia greca) che molti di noi conoscono dalle serie tv House of Cards e Fleabag e che è stato teorizzato anche dal drammaturgo tedesco Bertolt Brecht al fine di combattere la manipolazione emotiva del teatro borghese: un tentativo di interrompere la comodità dell’osservatore e di portarlo dentro, coinvolgerlo direttamente, come se fosse responsabile di ciò che osserva. E questo fatto, per quanto riguarda M, sarà ancora più evidente nell’ultima scena di tutta la serie (ma lo vedremo dopo, senza spoilerare).
“Seguitemi. Anche voi mi amerete. Anche voi diventerete fascisti.”
Che a chiedere la complicità dello spettatore non sia un personaggio di finzione ma un personaggio storico di questa valenza politica, rende la narrazione tremendamente efficace e giustamente inquietante. Soprattutto se ammiccando con sguardo sornione ci dice: “Seguitemi. Anche voi mi amerete. Anche voi diventerete fascisti.”
M in pagina e in tv
La serie riesce a rendere bene un cortocircuito narrativo: Mussolini parla sapendo già come finisce la Storia – il suo corpo appeso a Piazzale Loreto – e allo stesso tempo è il personaggio che agisce nel presente del video riuscendo a mantenere la suspense di chi non sa come va a finire la scena. In questo gli autori sono riusciti a tradurre bene il piano letterario del romanzo: per l’appunto Scurati invece di utilizzare come tempo verbale un passato remoto, più distanziante, è riuscito a rendere la vicenda più vicina con il presente storico.
Eppure osa di più del romanzo.
Se lo scrittore si era privato di molti strumenti tipici del romanzesco, qui gli autori scommettono sul piano dell’immaginazione e dell’invenzione con l’obiettivo di non raccontare – come ha fatto con incredibile furore documentario Scurati – solo il fascismo italiano, ma di renderlo l’archetipo del populismo mondiale. Per l’appunto, all’inizio Mussolini commenta Piazzale Loreto così: “Ditemi a cosa è servito. Guardatevi attorno. Siamo ancora tra voi!”
E perché il mondo è ancora affascinato da queste figure autoritarie, violente e bugiarde? E siamo sicuri che non ci sia una parte di noi che ne subisce il fascino?
Mentre il romanzo tenta in tutti i modi di evitare l’empatia del lettore, attraverso un’abile distanza narrativa e non una banale demonizzazione, la serie vuole proprio affrontare la capacità seduttiva di Mussolini. Qui sta il vero obiettivo artistico e politico, il tentativo di rispondere alle domande: perché nonostante la brutale repressione degli oppositori, la violenza horror, la dittatura, una parte di noi ha amato quest’uomo? E perché il mondo è ancora affascinato da queste figure autoritarie, violente e bugiarde? E siamo sicuri che non ci sia una parte di noi che ne subisce il fascino?
Il divano comincia a diventare un po’ più scomodo.
Ci sono momenti della serie in cui dimentichiamo il Mussolini reale (il Mussolini a cui pensiamo con i filtri del giudizio che si è sedimentato durante la nostra vita) e ci identifichiamo nel personaggio sullo schermo come fosse un immaginario Walter White. Con il suo cinismo e la sua ferocia, certo, ma anche con le sue troppo umane debolezze: il vittimismo, la vanità, il bisogno di essere amato da tutti. Subito dopo ci ritroviamo di fronte al costo della nostra empatia: scene di violenza inaudita ordite dall’uomo che fino al fotogramma precedente ci faceva l’occhiolino. Siamo di fronte allo shock di prendere in considerazione che il “male” non è emotivamente distante da noi, da qualsiasi essere umano, lo sapremmo riconoscere oggi?
I Mutaforma: Mussolini e Marinelli
La M di Mussolini è la M di mutaforma.
All’inizio della serie appare l’impresa di Fiume compiuta dagli arditi e dai legionari guidati da D’Annunzio. È un passaggio storico molto delicato e spesso equivocato. L’impresa di D’Annunzio e la costituzione promulgata (sostanzialmente di sinistra: la Carta del Carnaro) furono oggetto d’attenzione da parte di Lenin e dell’Unione Sovietica. C’erano fascisti e futuristi, ma anche socialisti, comunisti e anarcosindacalisti. Insomma, la storia è molto complicata, la serie non può soffermarcisi, ma utilizza questo evento per marcare la distanza tra D’Annunzio e Mussolini.
Se il primo ardisce, il secondo ordisce.
Mussolini è il mutaforma in grado di assumere le sembianze dell’estremista e del conciliatore, dell’anticlericale e del moderato. E si rivela, già nell’iniziale incontro con D’Annunzio – di cui Mussolini era geloso e timoroso -, un abile politico: grande seduttore, amico dei padroni con una retorica popolana, baciapile mentre uccide i sacerdoti, vampiro di tutta la liturgia fiumana e d’annunziana – il discorso dal balcone e le parole d’ordine A noi!, Eia! Eia! Eia! Alalà!, Me ne frego, per citare le frasi più pop – al fine di stringere patti con la borghesia corrotta per cui ha sempre ostentato disprezzo. È un traduttore e traditore di D’Annunzio.
Luca Marinelli fa lo stesso lavoro con Mussolini. La sua interpretazione del duce dimostra le capacità mimetica di uno dei più grandi attori italiani. Il regista Joe Wright ne ha parlato con una certa esaltazione: Marinelli si è rasato la testa, si è allargato il naso con due tubicini che infilava nelle narici e ha indossato le lenti a contatto, niente di più. Il resto è stato uno straordinario lavoro dell’immaginazione. Neanche la madre lo ha riconosciuto sul set.
Nella prime puntate Marinelli assume alcune pose da commedia all’italiana. Si albertosordizza
Eppure ci sono alcuni aspetti che a volte stridono nella sua interpretazione del duce. Nella prime puntate Marinelli assume alcune pose da commedia all’italiana. Si albertosordizza. Questo atteggiamento è probabilmente una richiesta registica volta a coinvolgere il pubblico, a farlo sentire a casa, per consentire di perdere quella distanza critica di cui parlavamo sopra. A un livello di strategia drammaturgica ha senso: Mussolini non è il Grande Cattivo immediatamente riconoscibile ma un simpatico vile che abbiamo visto tante volte interpretato da Alberto Sordi. Dopo, lo shock del terrorismo squadrista.
Tuttavia, sebbene abbia senso come arco narrativo, forse questo lato gigionesco non racconta a fondo Mussolini. E non perché non sia realista (nella serie ci sono molte ottime intuizioni surreali e anacronistiche), ma perché non è stato questo il fascino. Sono inezie nel complesso, ma il rischio è che a volte questa sottile vena comica, al contrario dell’intenzione autoriale, ci metta di nuovo a distanza, in una posizione di superiorità. In una maniera simile a Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, che aveva altri intenti. Così come la battuta sui treni puntuali e un riferimento smaccatamente trumpiano rischiano di non aggiungere nulla, se non una complicità con cui gli autori vogliono ricompensare lo spettatore “critico”. Sono brevi attimi in cui non è più Mussolini a parlare con noi.
Musica Mimesi Messa in scena
A proposito di anacronismi, la musica, la regia e la fotografia scelgono una soluzione metaforica per raccontare il tempo storico. La scelta di puntare su Tom Rowlands (The Chemical Brothers) e avvolgere la Storia in una confezione di elettronica di trip-hop e techno piuttosto che su musica d’epoca restituisce a pieno l’atmosfera di tensioni violente, rivoluzionarie, caotiche. Futurismo postindustriale. Come se Filippo Tommaso Marinetti partecipasse a un rave party.
La messa in scena e la regia sono un altro pezzo di alta qualità, insieme alla scrittura. Il piano sequenza iniziale in cui Mussolini illustra ci guida presentandoci i fascisti della prima ora mette subito le carte in tavola: lo sguardo è cinematografico. O almeno delle migliori narrazioni della prestige tv statunitense. In maniera simile alle scelte estetiche delle nostrane The Bad Guy a Bang Bang Baby la rappresentazione di una questione sociale non passa per il nostro consueto filtro (neo)realista. Ed è una scelta che paga.Molto belle e terribili le scene di massa in cui i fascisti sembrano una volta ultras in trasferta, un’altra paramilitari aguzzini, un’altra ancora ragazzi a un rave. Mussolini si tuffa dal palco come una rockstar in trionfo dopo aver sconfitto mozioni contrarie durante il terzo congresso fascista, e noi ci crediamo.
cosa fu il fascismo storico: le coltellate a Matteotti, le innovazioni umilianti di Italo Balbo (quante risate con l’olio di ricino e lo stoccafisso), le torture sessuali e i contadini immobilizzati e uccisi di fronte alle proprie figlie.
Le scene di violenza inaudita in cui gli squadristi si muovono sui camion nelle campagne contadine per bruciare le sedi socialiste e le case dei sindacalisti delle leghe rosse sono fascismo puro. Riusciamo a capire come uno dei suoi capisaldi fu la violenza estrema – una terapia dello shock, l’avremmo chiamata qualche decennio dopo in ambito militare – , qualcosa di cui dovremmo sempre tenere a mente quando usiamo troppo leggermente l’aggettivo fascista. Rischiamo di svalutarlo, o di farlo ricadere nella categoria dell’Ur-Fascismo di Umberto Eco. Invece la fotografia scura e contrastata e la regia innovativa di Joe Wright non hanno remore a mostrarci cosa fu il fascismo storico: le coltellate a Matteotti, le innovazioni umilianti di Italo Balbo (quante risate con l’olio di ricino e lo stoccafisso), le torture sessuali e i contadini immobilizzati e uccisi di fronte alle proprie figlie.
Queste scene che strizzano l’occhio al Kubrick di Arancia Meccanica sono l’efficace contraltare all’apparente rispettabilità borghese di Mussolini. Gli autori si premurano di sottolineare che si trattò di caos e godimento prima che di legge e ordine. Gli interpreti sociali furono i reduci della Grande Guerra, i veterani dimenticati, uomini bisognosi di idee semplici, i pochi fascisti rivoluzionari dell’inizio che sarebbero potuti entrare tutti in una grande stanza (come si vede in alcuni congressi iniziali). Questo, prima del salto.
Politica di M
Ci sono alcune pagine del romanzo, che la serie mostra più brevemente per motivi produttivi, che sono significative del passaggio politico fondamentale di Mussolini: la capacità di intuire che doveva guardare in alto con più decisione, senza fare semplicemente il servo sciocco.
È il momento in cui la rabbia degli ultimi viene rimpiazzata con il risentimento, l’insoddisfazione e la paura dei penultimi – impiegati, piccolo borghesi, militari traditi, piccoli commercianti, operai timorosi del socialismo -, emozioni nutrite dai soldi degli industriali e degli agrari che scendono come pioggia per finanziare lo squadrismo e la propaganda del movimento fascista.
Mussolini intuisce che deve stare dalla parte dei “vampiri” contro contadini e operai.
Il motivo per cui le élite dirigenziali di un paese – dal re ai partiti liberali e agli industriali – scelsero il fascismo. Perché?
La narrazione di Wright (e Bises e Serino) è molto abile nel racconto di alcuni snodi politici fondamentali senza mai far perdere la tensione emotiva sui personaggi.
Capiamo dagli avvenimenti di Sarzana che il fascismo può contare sull’avallo indiretto del governo liberale: quando, per una volta, i Carabinieri affrontano le squadracce come se fossero operai socialisti in corteo i fascisti si dissolvono. Lo capiamo anche durante la Marcia su Roma per bocca di un generale dell’esercito. Capiamo che Mussolini non ebbe un atteggiamento dannunziano durante la Marcia. Per sua ammissione capiamo anche che qualsiasi Stato degno di questo nome l’avrebbe già arrestato. Capiamo i tentennamenti di Facta e le illusioni di Giolitti. Capiamo che Matteotti non denunciava semplicemente le violenze fasciste ma era venuto in possesso di fogli che provavano il coinvolgimento del duce in uno scandalo di corruzione internazionale.
Quello che forse non capiamo a fondo è il motivo per cui le élite dirigenziali di un paese – dal re ai partiti liberali e agli industriali – scelsero il fascismo. Perché?
Quello che rimane sullo sfondo è il biennio rosso: i grandi scioperi operai, il controllo politico delle leghe socialiste in molti territori del Centro-Nord, la paura della rivoluzione sovietica, gli scioperi e gli scontri duri che spaventarono la borghesia italiana.Il romanzo di Scurati si prende spazio per parlarne, forse la serie avrebbe potuto dedicare del minutaggio in più. Il rischio è mostrare che la partita si sia giocata tra due fazioni, quella liberale e quella fascista. Con la conclusione che i liberali fallirono nel loro tentativo di contenere le forze fasciste. Sicuramente ci fu l’incapacità politica – questa ben mostrata – di comprendere. D’altra parte nessuno si era fatto illusioni aveva voglia di giocare con il fuoco fascista, semplicemente il socialismo faceva molta più paura. Questa fu la scelta delle élite dirigenziali italiane.
A noi?
Ci troviamo davanti a una produzione che eleva la maturità artistica e politica della serialità televisiva italiana. L’eccezionale lavoro creativo di tutti reparti coinvolti la renderà, a nostro avviso, un punto di riferimento futuro.
Per concludere, la scena finale di M è perfetta: la quarta parete, già incrinata per tutte le otto puntate, crolla definitivamente e noi diventiamo partecipi di un silenzio spaventoso.
Quello che personalmente posso dire di fronte alle risate gaudenti di Italo Balbo è che mi hanno rivelato meglio qualcosa di oscuro. Extimité è un concetto che lo psicanalista Jacques Lacan utilizza per definire una sorta di “esteriorità interna”, il contrario dell’intimità. Qualcosa che abbiamo dentro ma non sappiamo padroneggiare, né esprimere. In qualche maniera, osservando alcune scene di M – il figlio del secolo credo di aver visto meglio quello che accadde nella caserma di Bolzaneto, pur mantenendo l’incapacità di esprimerlo.
E credo anche che, grazie a questa serie, tutti noi possiamo osservare quello che l’Italia si porta dentro da un secolo e interrogarci sul fatto se sia o meno un corpo estraneo.