Nell’inverno del 1972, in un’aula del tribunale di Roma, l’anarchico Pietro Valpreda veniva
interrogato dai magistrati in merito alla strage di Piazza Fontana, la bomba che aveva tolto l’innocenza alla Milano del miracolo economico e dato il sanguinoso la alla lunga stagione degli Anni di Piombo. Nell’aula accanto, un processo di tutt’altro tenore. Come in un’eccentrica passerella felliniana, tra pellicce, stivali di pelle di pitone dal tacco cubano, montature fumè oversized e pantaloni a zampa, un codazzo di playboy, modelle, attrici, impresari della notte e altre figure di dubbia rettitudine morale, sfilava davanti ai banchi dei testimoni. La cornice è quella del processo al Number One, il locale romano più in voga all’alba dei ‘70. Qui, il ritrovamento di una bustina di cocaina da parte del produttore cinematografico Pier Luigi Torri aveva fatto deflagrare lo scandalo dei “droga party” della Roma Bene; che è anche il titolo di un sagace film di Carlo Lizzani con Nino Manfredi, che di soli pochi mesi sembra sardonicamente anticipare il trambusto della libertina noblesse capitolina. Tempo due anni e nelle sale arriva l’omonimo Number One, pellicola – a lungo pensata perduta – che ripercorre e romanza la vicenda giudiziaria. Il cinema e, dunque, la società dominante si appassionano a osservare con morbosità ed un certo perbenismo i vizi di una Roma diversa da quella da cartolina, una città che si eternizzava nell’effimero della notte.
La prima DJ capitolina
A catturare la curiosità di chi il Number One lo frequentava per davvero era, però, soprattutto ciò che si poteva osservare dietro ai piatti: Marilù Corradi, la prima ragazza a rivestire il ruolo di DJ a Roma. “Probabilmente c’è chi ha storto il naso inizialmente, ma Roma dopotutto è sempre stata una città avanti, abituata alla novità e a stare sotto i riflettori. Penso allo scandalo del Rugantino o ai primi club Queer, come l’Easy Going, l’Alibi o l’Angelo Azzurro… molto prima del Muccassassina. E così non stupiva molto vedere le prime DJ donne in consolle.” Con queste parole Corrado Rizza, istituzione della consolle e memoria storica della nightlife romana, autore di libri e documentari come Roma Caput Disco e Piper Generation, tra gli altri, ricorda gli echi di quando, ancora adolescente, si diffuse la voce di una ragazza ai piatti di uno dei locali di punti della capitale.
“Pur non essendo romana, Marilù è la figura che empiricamente noi romani consideriamocome la nostra prima DJ donna,” prosegue Rizza. Corradi, dopo un’infanzia trascorsa vicino Castel Sant’Angelo, si era formata al Tricheco, club yè-yè di Milano i cui interni lisergici erano stati decorati da uno dei componenti de I Balordi, prima di passare al Number One nella sua prima (e meno nota) incarnazione meneghina. Nel quartiere di Brera, ancora roccaforte della bohème cittadina prima delle invasioni dei turisti del Fuorisalone, Gigi Rizzi e Beppe Piroddi – due dei celebri les italiens, la cricca di playboy italiani dediti alle scorribande amorose in Costa Azzurra – avevano aperto il locale, poi destinato a diventare icona della notte romana. “Alla pensione dove albergavo, vedendomi uscire la sera e rientrare all’alba non capivano cosa facessi, pensavano che fossi un’entraîneuse”, ha raccontato Corradi alla rubrica Sottotraccia de Il Corriere della Sera.
Nella genesi della nightlife romana, si sa, tutto passa dal Piper Club di Via Tagliamento, da molti considerato come la prima discoteca d’Italia.
Al Number One capitolino, c’è anche Robert Drake, disc-jockey americano di adozione romana che aiuta Marilù ad affinare la tecnica, insegnandole soprattutto a utilizzare le cuffie per il pre ascolto, pratica inizialmente non scontata come può sembrare oggi. Su piatti gira molta Black music di importazione insieme a quell’ibrido sui generis di funk, soul, pop e glam che le varie etichette promuovono in Italia con serie dalle grafiche e dai nomi esotici: RCA Soul Explosion, Disc Jokey Series, Discotheque Special, The New York Sound, e così via. Qualcosa sta mutando nella fruizione del vinile, non solo più d’ascolto domestico ma ora anche da ballo. Nella genesi della nightlife romana, si sa, tutto passa dal Piper Club di Via Tagliamento, da molti considerato come la prima discoteca d’Italia. “Qui nel 1965 nacque la figura del DJ a Roma, quando i proprietari Alberigo Crocetta e Giancarlo Bornigia chiesero al tecnico delle luci e del suono Beppe Farnetti di passare della musica tra un complesso e l’altro, tra uno spettacolo di lenti e uno di shake. Beppe iniziò così con delle bobine e un giradischi, in maniera primordiale e senza preascolto,” spiega Rizza. Il pubblico si trovò a ballare per la prima volta in un locale italiano musica proveniente da un
supporto in vinile, una rivoluzione che riscosse così successo da spingere Bornigia a replicare con i DJ la formula di importazione di talent musicali dall’Inghilterra, come aveva già precedentemente funzionato con Mal & The Primitives, Rokes, Cyan Three (poi gruppo spalla di Patty Pravo), e tanti altri. Nel 1967, ad affiancare Farnetti, arriva Janice Munro, figura la cui storia sfuma sul sottile confine tra realtà e leggenda, che la incorona come prima selecter femminile delle notti romane. Con Janice arriva anche al quartiere Coppedè quello che a Los Angeles, al leggendario Whisky a Go-Go, accadeva già dal 1964 con Joanie Labine, che selezionava dischi Beat, Surf e R’n’B da una cabina sospesa sulla pista.
Le ragazze ai piatti. E in televisione
Con il trascorrere degli anni, le ragazze ai piatti aumentano. La cultura dell’immagine femminile promossa dalle riviste osè e dal cinema scollacciato a cavallo tra ‘70 e ‘80 sembra riflettersi anche in consolle, dove promoter e proprietari di locali non si lasciano sfuggire l’opportunità di unire la competenza musicale alla presenza scenica. La novità si avverte prima di tutto in televisione, dove a partire dal 1982 Gianni Boncompagni sceglie tre ragazze-discjokey per la conduzione del contenitore musicale Discoring: Anna Pettinelli, Emanuela Falcetti e Isabel Russinova. Il settimanale femminile Gioia commenta il fenomeno nella rubrica Le nuove professioni, appuntando che “anche per le donne si sono aperte le porte di questa insolita attività che suscita ancora molte illusioni e che sinora è stata esercitata solo dagli uomini”.
Al centro del servizio ci sono le gemelle Claudia e Silvana Longhino – “le due principesse delle discoteche” come vengono ribattezzate dalla stampa del tempo – che a quasi vent’anni di distanza dalla Roma della Dolce Vita, sembrano ricordare ai nottambuli delle nuove Kessler della consolle, questa volta con la permanente al posto del beehive. Il colpo d’occhio è assicurato. Se le gemelle si esibiscono back to back quasi esclusivamente in località estive della Sardegna, a Roma è soprattutto Claudia a ricoprire ruoli di spicco. “Nel 1979 facevo il commesso da Best Records e consegnavo i vinili ai DJ di Roma, che finii così per conoscere. Una sera al Bella Blu si assentò Marco La Stella che addirittura era il secondo di Claudia Longhino. Come il terzo portiere fui chiamato io in consolle, iniziando così la mia carriera. All’epoca era difficilissimo diventare DJ a Roma, dunque io sono molto grato a Claudia per l’opportunità datami,” Ricorda Rizza. Quasi un decennio più tardi i due si ritrovano in consolle, quando per la stagione 1987-88 Beatrice Iannozzi dell’Histeria, da poco vedova del marito Gilberto, già fondatore dei leggendari Much More e Jackie ‘O, propone a Corrado di condividere i piatti con Claudia Longhino. “Per me fu un piacere e un onore. Claudia, oltre ad essere una grande professionista, era anche una bellissima donna. Anzi, faceva una figura decisamente migliore di me ai piatti,” scherza Rizza.
Andrea Belfiore: idea maker
Scrivendo di bella presenza, impossibile non ricordare un’altra protagonista della notte romana a cavallo tra ‘80 e ‘00: Andrea Belfiore. Personaggio dalle molte sfaccettature, carismatico, decisamente moderno nella sua capacità di ibridare ruoli e contesti. In consolle esordisce al Bella Blu, dove indossa pantaloncini in raso Adidas, inguinali, e t-shirt di Playboy di cui è anche Playmate dell’anno. Ci sono poi i dischi incisi, le pubblicità, i concorsi di bellezza vissuti (e vinti) con grande ironia, tra cui il primo Miss Ibiza, la partecipazione a film di culto come Il tassinaro di Alberto Sordi, Io no spik inglish di Carlo Vanzina, Grand
Hotel Excelsior di Castellano e Pipolo, tra gli altri, e, addirittura, l’incoronazione nazionalpopolare con il Festival di Sanremo del 1992 dove premia Luca Barbarossa, vincitore dell’edizione.
“Mi chiamavano la ragazza con la valigia, perché appena arrivata a Roma da Piacenza, non sapendo dove andare a dormire, chiesi di una discoteca. Andai all’Easy Going e lasciai il bagaglio al guardaroba: gli piacqui subito, perchè una donna con la minigonna in un mondo maschilista e gli omosessuali sono entrambi emarginati.” Così racconta Andrea, ripercorrendo un periodo in cui “Roma non aveva vari locali: era un grande locale, come una casa con tante stanze, ognuna era un mondo a sé. Negli anni ‘80 la notte era un fermento, un mondo a parte, ma soprattutto era cultura.” Tra i tanti ruoli rivestiti, anche quello di PR, un altro ruolo di cui la stessa Marilù Corradi fu pioniere a Roma negli ‘80, dopo aver appeso le cuffie al chiodo. Un ruolo che all’epoca si intrecciava, molto più di oggi, con quello della direzione artistica tanto che Andrea preferisce definirsi “idea maker”, o meglio come la padrona di casa del locale.
“Eravamo in pochi a fare quel lavoro, io ho iniziato all’Alien, poi sono passata al Ciak (già Executive). Ogni sera organizzavano qualcosa. Il locale era uno spazio dove si poteva fare qualsiasi forma d’arte: mostre di pittori, sfilate di moda, performance. Era la nostra seconda casa, dove avevamo la libertà di fare ciò che volevamo, e dove offrivamo agli artisti una piattaforma di espressione gratuita,” ricorda Belfiore commentando alcuni scatti dell’epoca. Fotografie che la ritraggono al fianco di personaggi tanto diversi tra loro quanto valevoli di un’aneddotica infinita, dalla socialite e attrice Big Laura a Ottavio Missoni. Un’altra volta per promuovere il Quincy, un locale a Casal Palocco, ha l’intuizione di comprare dei pesci rossi e farli recapitare a casa di vari ospiti illustri. Sulla busta di plastica con l’acqua un messaggio: adottatemi o riportatemi a casa, seguito dall’indirizzo del club. Fu un successo.
“Io non portavo gente, la gente veniva,” sottolinea Andrea che negli anni ha saputo lottare contro la diffidenza di molte colleghe – “perchè il più grande nemico della donna sono le donne stesse,” ci tiene a sottolineare. Ma anche di colleghi che riconoscevano il DJ nel luogo comune dell’uomo. “Mi vestivo in tiro e andavo nei negozi di dischi, che erano delle roccaforti maschili. Mi guardavano e pensavano: ‘ma cosa si è messa in testa questa?!’…”
Alla serata inaugurale del Bella Blu si presenta in consolle, decidendo di prenderne le redini: è il suo esordio ai piatti. Spontanea, esuberante e autoironica, Andrea si affermerà poi oltre un decennio dopo al Le Cru, il wine bar del Gilda. All’elenco dei nomi che hanno segnato il clubbing romano, poi, non può mancare Susanna Munisso, DJ del Krypton di Ostia dove passava Funky e Disco. Di lei Marco Trani – eminenza del DJing capitolino a cui è stata recentemente dedicata una via – e
con cui aveva diviso anche la consolle diceva “tecnicamente Susanna è un mostro, la numero uno”.
E ancora, tra ‘90 e ‘00 con l’affermarsi della House e, in seguito, della Techno e della scena rave Flavia Lazzarini, De-Monique, Lusky, Simona Faraone, Alexia Tippell, Dj Red, Rosa Caputo oggi attiva a Berlino. Ma anche Lady Coco, istituzione dell’Hip Hop, che nella capitale già dagli anni ‘80 si è sempre amalgamato alla Black music ed alla House passata da Trani, Rizza e Giancarlino
A cavallo del decennio successivo, con l’avvento della musica elettronica, le frizioni tra cultura dominante e sottoculture sembrano delinearsi in una più netta distinzione tra discoteche e club underground, di cui è protagonista Monica Gardellini, in arte De-Monique.
Prima la folgorazione con la Chicago House dei Ragazzi Terribili e delle loro serate al Devotion, poi promoter di eventi ed, infine, l’arrivo in consolle nel 1999 agli Ex Magazzini, e poi all’Atom a Testaccio. De-Monique sperimenta con l’Ambient, ma anche con i Breaks e la Drum ‘n Bass, fondendoli ad influenze orientali, come nella sua storica serata Hot4Tandoori.
La seconda metà dei ‘90 è anche il periodo dell’ascesa del berlusconismo e di un cultura edonista e oggettificante dell’immagine femminile che sembra giustificare il dualismo tra discoteche e club underground.
Female Cut
“Non mi sono mai sentita fuori luogo, forse per via dell’entusiasmo che ci ho messo e anche perchè la musica che selezionavo non era commerciale,” racconta De-Monique che, autodidatta, riesce a sconfiggere la titubanza degli esordi con l’attitudine. “Ho sempre avuto un pubblico attento e colto, questo aiuta molto ad essere apprezzate. All’epoca eravamo veramente poche [ragazze], Simona Faraone è stata una delle prime a segnare la strada. In generale, anche tra gli uomini non c’era quello che accade adesso: o eri bravo o stavi a casa…” De-Monique in consolle veste per essere comoda, non per apparire. Felpe Adidas, t-shirt e pantaloni cargo, a loro volta stilemi di un’estetica clubber e normcore che oggi viene riscoperta e celebrata. “Capitava comunque che anche l’Alien facesse serate interessanti, dove trovavi le cubiste che ballavano sul bancone. Effettivamente è stato tosto da digerire, ma per fortuna si incontravano anche dei performer e delle performer che sapevano essere diversi, esprimendosi attraverso il corpo o inventando nuovi abiti ogni volta, dando più spessore alla serata.”
A portare avanti l’eredità di queste pioniere del mixing, c’è oggi il collettivo Female Cut, che nel 2025 si prepara a spegnere le sue prime 15 candeline. Fondato, tra le altre, da Miz Kiara, Beatriz Gonzales e dalla stessa De-Monique, ha tra i suoi membri anche la romana Maria Egizia Fiaschetti, DJ e giornalista (sua l’apprezzata rubrica musicale de Il Corriere della Sera Sottotraccia). “
“Female Cut nasce perché le donne si sono volute prendere gli spazi da sé, facendone una lotta alla rivendicazione,” spiega Maria Egizia, “La situazione oggi non è più quella in cui hanno iniziato DJ come Marilù. A Roma mi sono sempre sentita molto inclusa, anche se alcuni esponenti della vecchia scuola erano un po’ chiusi inizialmente, secondo la vulgata per cui se una ragazza suona lo fa perchè è, come si dice qui, ‘gnocca’, e non perché è brava. A differenza dei DJ maschi, per cui le considerazioni sull’aspetto fisico sembrano non valere mai. La mia sensazione è che comunque le cose siano molto cambiate, in positivo.” Miz Kiara, dopotutto, è stata promotrice del DJing femminile come attitudine, oltre ai clichè dell’aspetto fisico che secondo Maria Egizia sono in parte ancora duri a morire. “Mi piaceva l’idea che una donna in consolle non dovesse per forza rispettare lo stereotipo della gnocca o della ex modella che si reinventa o improvvisa DJ e soprattutto che non è più giovanissima. È il modello virtuoso di The Blessed Madonna ed Ellen Allien, dove contano l’attitudine e la tecnica, non la bellezza. Noi vogliamo smentire che si suoni solo perché si è belli, ribadendo che si suona quando si ha qualcosa da dire.”